Mon cher Abbé Bionaz! Mario Cresci per la Valle d’Aosta
La mostra di Mario Cresci nasce con l’intento di valorizzare le sedici fotografie dell’artista conservate nelle collezioni regionali, ma non si limita a questo.
Comunicato stampa
Mario Cresci è uno dei maestri della fotografia italiana che dall’inizio degli anni Sessanta ha contribuito a far evolvere il linguaggio fotografico nel nostro Paese inserendolo a pieno titolo nell’alveo dell’arte contemporanea. L’Assessore ai Beni e attività culturali, Sistema educativo e Politiche per le relazioni intergenerazionali della Regione Autonoma Valle D’Aosta è lieto di presentare Mon cher Abbé Bionaz! Mario Cresci per la Valle d’Aosta, la mostra curata da Luca Fiore, che apre la stagione espositiva 2023 del Castello Gamba, Museo di Arte moderna e contemporanea della Regione Valle d’Aosta.
La mostra di Mario Cresci nasce con l’intento di valorizzare le sedici fotografie dell’artista conservate nelle collezioni regionali, ma non si limita a questo. Quello tra il maestro e il territorio valdostano è un rapporto che inizia nel 1990, quando Cresci venne invitato a partecipare al progetto confluito nella mostra Viaggio fotografico nell’interno della Valle d’Aosta, a cui presero parte grandi nomi della fotografia del Novecento come Luigi Ghirri, Mario De Biasi, Gabriele Basilico e Vasco Ascolini, affiancati ad alcuni artisti della Valle. Allora Cresci si confrontò con il tema del “mondo rurale” delle montagne della valle.
Dopo la lunga e complessa esperienza degli anni Sessanta e Settanta in Basilicata, il fotografo partecipa a una ricerca sul mondo rurale della Valle d'Aosta: fienili, tetti di ardesia, utensili per la produzione della fontina sono al centro della sua fotografia. È un'immersione nella "cultura materiale" di un popolo. Scrive il curatore Luca Fiore nel catalogo della mostra: «Quando arriva in Valle d’Aosta, Cresci ha ancora nella mente la lezione imparata a Matera e si fa guidare dalle intuizioni maturate esplorando il rapporto tra fotografia e design. Se il contesto naturale, culturale e linguistico è lontanissimo da quello lucano, sulle Alpi il fotografo insegue gli elementi su cui la sua ricerca aveva fatto leva fino ad allora. La mungitura delle mucche nella stalla di Vetan, i gesti del casaro dell’alpeggio Maisonettes, gli utensili e i giocattoli di legno, la festa delle mele a Gressan, il raduno delle bande a Donnas. L’obiettivo di Cresci indugia sui grandi massi visibili lungo strade e sentieri, sui muri di pietra, sopra ai tetti di lastre di ardesia. L’occhio del designer-artista vede le texture prodotte dal “progetto” spontaneo della tradizione o, semplicemente, dall’accumulo del fieno».
Trent'anni dopo torna negli stessi luoghi interagendo con le immagini dello scrittore, escursionista e fotografo Émile Bionaz (1862-1930), per trentasette anni parroco di Saint- Nicolas, che ha lasciato un'importantissima testimonianza del suo tempo e le cui opere sono conservate al Museo di Châtillon. Un altro punto di interesse per Cresci sono stati gli oggetti conservati al MAV, Museo dell'Artigianato Valdostano di tradizione di Fénis, appartenenti alla Collezione IVAT e alla Collezione Brocherel (Museo Civico d’Arte Antica e Palazzo Madama Torino).
Nascono così due serie di immagini Mon cher Abbé Bionaz! e Fatti a mano che coniugano il linguaggio contemporaneo con i contenuti della tradizione. Da una parte, Mario Cresci seleziona venti immagini di Bionaz e le rielabora al computer in modo ironico e poetico. Gioca con l’immagine dell’uomo nella maestosa caverna di ghiaccio di Courmayeur, con il cappello- aureola che passa da un prete a un altro, con gli ottoni di una banda di paese, con il sacerdote che mostra come trofeo una grande aquila reale. Punteggia i volti di una foto di gruppo, con
la leggerezza di un John Baldessari, finge che un vecchio muova il capo fiero da un’inquadratura all’altra, si innamora delle mani mosse di quello che, quasi certamente, è lo stesso don Bionaz. Dall’altra, se negli anni di Matera, Cresci “analizzava” le forme degli oggetti appoggiandoli sulla carta fotografica ottenendo una fedele sagoma bianca a grandezza naturale su fondo nero, oggi, nel 2023, l’artista sceglie di percorrere un’altra strada. Utilizzando ancora una volta il computer, isola da foto digitali a bassa risoluzione alcune delle statuette e dei giocattoli del MAV e con paziente lavoro ne ridisegna le sagome: il cavallo, lo stambecco, il gallo, il contadino. Quasi loghi, eleganti ed espressivi, che Cresci usa per comporre delle tavole che sono un omaggio all’antica sapienza dell’artigianato valdostano. Commenta il curatore: «È un paradosso perché la tecnologia permette all’artista di tornare alla dimensione manuale (ogni linea delle sagome è ricostruita minuziosamente) per produrre figure che mantengono la forza iconica degli originali in legno, ma che posseggono una nuova energia contemporanea. È una via questa per tornare ad attingere alla miniera dei significati intrecciati, patrimonio della cultura materiale e dar così vita a un linguaggio originale spendibile anche oggi».
Quello di Mario Cresci al Museo Gamba è un vero e proprio viaggio nel tempo, un omaggio al territorio, alla storia e alla cultura valdostana.
La mostra è accompagnata da un prezioso catalogo che raccoglie le 16 fotografie conservate al Castello Gamba, altre fotografie inedite del progetto Il mondo rurale della Valle d’Aosta del 1990 e le nuove immagini realizzate per la mostra.
Il volume inaugura la nuova collana «Archivi fotografici» del Castello Gamba Museo di Arte Moderna e Contemporanea.