My Beautiful Mongo
La mostra prende spunto da un libro scritto del giornalista del Los Angeles Times Ted Botha intitolato appunto Mongo. Si tratta di un’analisi sociologica legata alla necessità delle persone di collezionare oggetti presi dalla spazzatura.
Comunicato stampa
Mongo, Adventures in Trash
“Capitalism is so invasive in our lives that it has become basically impossible to live without it. The idea for this show came to mind after reading Ted Botha’s book, “Mongo”, a record of his travels among rubbish collectors, who are as varied as the kinds of mongo. The myriad reasons for collecting rubbish draw upon the most basic of human desires: some people collect for fun, others to make a living; some to find friends, others to snoop; some to make a political statement, others because it is an addiction. We are so invaded by mongo that artists have to start or arrive to that point to create something beautiful. This show is about beautiful rubbish, something that has value just because it has no value at all, something that has been dismissed and tossed out, discarded and then saved, reused. These two different approaches aim for the same goal: to appreciate something useless, problematic to the public’s purview, and transform it into an object of value. This assertion is inherently mystical and shakes the very foundation of societal beliefs concerning worth. All of the artists in this show are attracted to the idea that something considered by our society as negative, is actually the sacred heart where beauty is preserved. “
Mongo, Adventures in Trash
Mongo indica, secondo il dizionario di slang Cassell, il vocabolo newyorkese per qualsiasi oggetto riutilizzato dopo il suo scarto. La mostra prende spunto da un libro scritto del giornalista del Los Angeles Times Ted Botha intitolato appunto Mongo. Si tratta di un’analisi sociologica legata alla necessità delle persone di collezionare oggetti presi dalla spazzatura. Due sono gli approcci degli artisti alla mostra. Uno parte proprio dalla volontà di distruggere l’oggetto, di rovinarlo (come in David Adamo o in Brendan Fowler). L’altro, al contrario, si basa per lo più sulla riutilizzazione dell’oggetto abbandonato (Alexandra Bircken, Gabriele Picco e Agathe Snow). I due approcci che la mostra analizza sono opposti ma ambiscono alla stessa meta: apprezzare la bellezza e la poesia dell’inutilità. Tutto ciò, oltre a scuotere le certezze sociali riguardante il concetto di valore, ha in se una dimensione “religiosa”. Ciascuno degli artisti partecipanti alla mostra è attratto dall’idea che qualcosa considerato dalla società come negativo preserva nella sua più profonda intimità una bellezza da proteggere e preservare