Natalino Tondo – Progetti di spazio
La mostra intende tracciare una sintetica panoramica della ricerca artistica di Natalino Tondo (Salice Salentino, 1938 ‒ Lecce, 2017) attraverso una selezione ragionata di opere provenienti dalla collezione della sua famiglia.
Comunicato stampa
La mostra intende tracciare una sintetica panoramica della ricerca artistica di Natalino Tondo (Salice Salentino, 1938 ‒ Lecce, 2017) attraverso una selezione ragionata di opere provenienti dalla collezione della sua famiglia.
Con questo progetto, pertanto, Oneworks, studio internazionale di architettura con diversi sedi nel mondo ed headquarter a Milano, inaugura la retrospettiva di un artista sperimentale, attivo sin dai primi anni Sessanta in piena connessione teorica con le istanze d’avanguardia che hanno attraversato la seconda metà del Novecento.
Il percorso in mostra delinea alcune tappe fondamentali della sua operatività, senza tenere conto di cronologie specifiche, poiché nello spazio di Oneworks le opere sono installate tenendo conto di sottili analogie che le legano tra di loro e con lo spazio.
D’altronde il lavoro di Tondo per oltre quarant’anni è stato quanto mai coerente ed orientato, seppur con sempre differenti vie di analisi e riflessione, sostanzialmente verso un unico grande tema: lo spazio.
La prima opera che accoglie i visitatori in mostra è un grande dipinto appartenente al ciclo Spazio n-dimensionalerealizzato nel 1989 su tela. Una serie di tracce bianche si muovono attraverso specifiche traiettorie, incrociandosi; ma lo spazio dell’opera è suddiviso idealmente in due aree grazie a una linea orizzontale che lo fraziona. Nel secondo campo d’azione, le medesime tracce assumono differenti cromie, pur mantenendo quel rigore sofisticato che è poi una costante in tutto il lavoro di Tondo.
La riflessione su uno spazio potenzialmente infinito accompagna la sua ricerca di questo periodo, che lo spinge – come in diverse altre fasi del suo impegno – ad affiancare la produzione delle opere a una fase di scrittura teorica: «Se nella dimensione infinita dello spazio la coscienza si relaziona con la totalità del reale interno ed esterno, tale relazione è anche tra coscienza e l’Altro, tra soggettività ed alterità», afferma l’artista in uno dei suoi fogli programmatici, esplicitando questioni filosofiche ed esistenziali a proposito di Spazio n-dimensionale. D’altronde il suo era uno spirito intellettuale curioso che spaziava dalle arti visive alla letteratura, dall’estetica alla filosofia tout court. Nel suo studio di Lecce ha lavorato ininterrottamente per oltre quarant’anni, alternando i lunghi periodi di studio, a viaggi e momenti di formazione. Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti di Lecce, dove dedica la propria tesi a Jackson Pollock (ed è difatti di questa fase la parentesi gestuale della sua pittura), avvia l’attività espositiva con una personale nella sua città d’adozione. È invece del 1967 la mostra personale alla Galleria Uno di Fiamma Vigo a Roma e del 1969 quella alla Galleria Carolina di Portici (Napoli).
In mostra sono esposte alcune opere di questi anni in cui si comprende immediatamente che è il rapporto intrinseco tra spazio, struttura e segno (quando traccia linee dal forte afflato costruttivista su carta) ad interessare il giovane Natalino. Tensioni strutturatedel 1967 evidenzia una propensione alla modularità:«Il bisogno di dare maggiore concretezza alla luce e la necessità di sfuggire allo spazio virtuale della superficie mi portano a servirmi di materiali tecnologici: tubi di materia plastica. Rimane inalterato, anzi si precisa, il senso di tensione del quadro, nello stesso tempo la struttura acquista maggiore essenzialità; ogni elemento è in funzione della sua massima resa tensionale nella totalità della struttura», precisa Tondo a proposito di questo ciclo di lavori. Sempre in questi anni opera attraverso l’installazione (in mostra un raro lavoro del 1969 mai esposto dopo la mostra di Portici), che gli consente di entrare direttamente nello spazio che fino ad allora aveva soltanto immaginato in ambito bidimensionale.
Successivamente, siamo nei primi Anni Settanta, Natalino Tondo avvia una considerazione legata all’antropologia e alle ricerche sociali con il ciclo Rilevamenti salentini(in mostra un polittico fotografico appartenente a questo ciclo): l’ausilio della fotografia gli consente di individuare spazi di cambiamento, mutazioni in atto in una civiltà contadina, legata con ancestrale forza a un Salento primigenio, allora in procinto di affacciarsi alla modernità, ancora lontano dai più recenti flussi turistici della comunicazione di massa.
E la fotografia è comunque uno spazio che connette altri spazi e la superficie rimane il punto di partenza per ulteriori tangenze di forme che inquadrano l’immagine stessa sul supporto.
Per l’artista, «I rilevamenti salentini costituiscono il tentativo di rifondazione critica di un rapporto primario con lo spazio-luogo, che si da come analisi e conoscenza contemporanea del luogo e di me stesso. Dimensione mentale delle esperienze umane stratificate, inconscio collettivo, il luogo è lo spazio in cui si svelano continuamente, durante itinerari di immersione ed attraversamento, i momenti tipo dell'esperienza dei fenomeni: la natura, la cultura, la società».
Prima di Spazio n-dimensionale, elabora un significativo ciclo dedicato alla dilatazione e alla contrazione di forme, talvolta legate persino allo spazio di un paesaggio, sintetizzato nella sua medesima struttura. È ancora una volta il colore – Tondo qui chiarisce ulteriormente la sua forte vocazione pittorica di natura analitica, naturalmente – e il suo stesso vivere nello spazio dell’opera a dare forma e struttura a essa stessa, mentre quelle le tracce bianche troveranno poi una sintesi proprio in Spazio n-dimensionale, orientandosi verso un profilo più definito e minimalista. È sul dicotomico rapporto tra micro e macro si stabilisce la relazione di connessione con lo spazio, ancora una volta. Ed è lo spazio celeste ad incuriosirlo: attraverso la pittura e la fotografia indaga il cielo stellato, ovvero il macro, e l’interiorità del micro. In mostra ci sono opere legate alla sua attenzione verso lo spazio celeste. Dopo l’esperienza di Spazio n-dimensionale(in mostra, oltre al grande dipinto citato in apertura, anche una carta dal raro profilo monocromatico giallo), Tondo approda a Pagine di spazio, concepite nei primi Anni Novanta: qui lo spazio è dato da pigmenti di vari colori spruzzati con numerose stratificazioni sulla tela, conferendo all’opera una spazialità indefinita, anzi “infinita”, come suggerisce lo stesso artista. Le fasce nere, che nascono da rapporti matematici, in queste opere rappresentano lo spazio finito; mentre il resto dello spazio è da intendere come «spazio della coscienza, infinito del nostro essere». Sono esperienze di pittura analitica, che egli elabora, ancora una volta, nella piena autonomia della sua operatività.
«L’itinerario della mia ricerca è una discesa, un muoversi dal sensibile verso l’infinito, un aprire, via via, spazi sempre più vasti, in cui le divisioni logiche lasciano il posto ad una unità del tutto», appunta l’artista nella sua pubblicazione Cripticodel 1981.
La mostra è pertanto un’immersione in alcune sue specifiche aree d’indagine, in attesa di un progetto museale in cui sarà possibile esporre anche il suo lavoro di ricerca su Piero della Francesca e sugli altri ambiti del suo percorso che l’ha visto impegnato fino ai 2014. Sono gli anni della sua maturità in cui però Tondo ha sempre preservato il rigore assoluto dei suoi esordi, la struttura tangibile di una geometria non riguardava più soltanto se stessa e lo spazio attorno, ma si faceva portatrice di una sintesi totale, esistenziale ed emotiva.