Nataly Maier – Percezioni Cromatiche
Ci sono artisti che sanno armonizzare perfettamente un naturale senso per la pittura con il sentimento proprio della poesia. Nataly Maier esprime appieno il significato della celebre locuzione latina del poeta Orazio, quell’ ut pictura poësis che vuole indicare come realizzare un quadro equivalga a scrivere in modo poetico.
Comunicato stampa
UT PICTURA POËSIS
Testo introduttivo alla mostra di Francesca Baboni
Ci sono artisti che sanno armonizzare perfettamente un naturale senso per la pittura con il sentimento proprio della poesia. Nataly Maier esprime appieno il significato della celebre locuzione latina del poeta Orazio, quell’ ut pictura poësis che vuole indicare come realizzare un quadro equivalga a scrivere in modo poetico. Il termine poësis non a caso deriva da un verbo greco che indica il generare. Aristotele parlava di poiesis come il “fare” tangibile, in contrapposizione alla praxis, l’azione morale dell’essere nel mondo. Il “fare pittura” nelle opere di Nataly Maier è dunque pura espressione poetica, fin dai suoi esordi. Un’impronta che vede il suo inizio esattamente da quella ricerca sulla composizione che parte dagli anni ‘90 e come un fil rouge attraversa tutta la sua produzione, con una coerenza strutturale di fondo riscontrabile in ognuna delle diverse serie affrontate durante il suo percorso, dalle prime fotosculture che corrono in parallelo coi dittici, ai lavori degli ultimi anni in cui il dipingere assume un significato pregnante e ineluttabile.
E’ singolare notare come nel lavoro dell’artista si passi con naturalezza da rappresentazioni in cui in modo originale costruisce rapporti tridimensionali tra immagine fotografica, volume, spazio e oggetto, o dittici in cui al linguaggio fotografico si associa un pigmento saturo, arrivando poi ad un linguaggio puramente pittorico, come se ci fosse da sempre l’esigenza da parte del colore stesso di esplodere, come se fosse presente fin dalle origini una forza propulsiva e latente all’interno dell’opera. Un’urgenza che sente il bisogno di fuoriuscire e si fa sentire prepotente quando compaiono le prime scritte successivamente modificate coi nomi di pittori, vere e proprie icone universali della storia dell’arte, nella quali il verbum si rivela accanto alla pienezza monocroma della superficie divenuta materia pittorica lucida, nel momento in cui l’alluminio si accosta alla tempera, e che procede insistente fino agli ultimi lavori in cui l’artista mostra anche una tecnica figurativa eccellente, pur rimanendo sempre ancorata ad un piano ontologicamente concettuale.
La scelta cromatica univoca pone così la base per la costruzione della sua poetica, nella quale il soggetto, che pur si modifica negli anni, rimane soltanto come pretesto per focalizzare un pensiero ricorrente e per mettere in atto una sperimentazione che vira verso l’ambito pittorico senza mai discostarsi da quello filosofico. Una pittura profondamente emozionale quella di Nataly Maier, che gioca sulla finzione apparente coniugata assieme ad un’astrazione che sceglie come modalità esplicativa una rarefazione oggettiva estremamente raffinata. Segna il passaggio la serie Invert che fa riferimento al mondo digitale, sintetizzando la tavolozza dei colori su quella del computer e che ci traghetta direttamente verso la purezza della serie di dipinti Sconfinitudini, in cui l’artista recupera tecniche antiche come la tempera all’uovo e l’encausto e le confronta volutamente ai mezzi contemporanei. Nataly Maier attualizza la procedura consolidata della tempera - che non ammette alcun ripensamento - modulando sullo sfondo tasselli di colore puro ma sempre discreto e sobrio, mai roboante o accecante, che trasudano una raffinata e ovattata morbidezza e che sconfinano al di fuori della tela perdendo volutamente il bordo, costruendo geometrie solide e perfettamente equilibrate, dimostrando una necessità di espansione da parte dell’opera stessa. Successivamente, le opere trovano una limitazione del proprio limes nella serie Confinitudini, nella quale una cornice bianca va a delimitare la chiusura, il confine insuperabile che ora circoscrive la purezza della visione, creando una mediazione tra spazio interno ed esterno. Il gioco dei cromatismi si estende anche alla leggerezza del collage delle carte, fogli sovrapposti che creano composizioni fluide e minimali, fluttuanti nel loro avvicendarsi una sull’altra. Il cerchio si chiude in modo armonico, con il ritorno ai dittici in bianco e nero che abbandonano l’aspetto fotografico e ci riportano ad una figurazione che riprende il tema della vanitas e della natura morta seicentesca. Nataly Maier riprende senza alcuna esitazione di sorta le ricerche del passato rielaborandole, ritorna con scioltezza al punto di partenza dimostrando come anche nella figurazione la mano sapiente dell’artista si muova con abilità e precisione. E come quel modus profondo dell’armonia del dipingere lo possieda da sempre come un destino già assegnato.
Nataly Maier nasce a Monaco di Baviera nel 1957
Vive e lavora tra Starnberg (D) e Milano(I)
Testo introduttivo alla mostra di Francesca Baboni