Naturalia ed Artificialia
Nel corso di questa mostra i lavori di Silvia Camporesi e Chiara Lecca si inseriscono all’interno del tessuto del Museo Internazionale delle Ceramiche, il più esteso museo specialistico al mondo.
Comunicato stampa
Nel corso di questa mostra i lavori di Silvia Camporesi e Chiara Lecca si inseriscono all’interno del tessuto del Museo Internazionale delle Ceramiche, il più esteso museo specialistico al mondo.
La risposta alla specificità del museo è in chiave dialogica: alla ceramica rispondono le ricerche polimateriche e plurilinguistiche delle artiste.
La prima sfida della presente esposizione è cioè quella di far dialogare nuovi linguaggi con la poderosa tradizione rappresentata dal museo faentino. Tuttavia, il senso della mostra non risiede solo in questo dialogo linguistico, ma tenta di allargare il senso del discorso ad una riflessione strutturale. Non innovazione opposta alla tradizione, come due termini antitetici costretti a fronteggiarsi, ma specificità e vastità.
I lavori di Chiara Lecca e Silvia Camporesi dialogano apertamente con i due termini che costituivano le raccolte delle Wunderkammer: i Naturalia (cioè le curiosità e stranezze provenienti dal mondo naturale) e gli Artificialia (i migliori prodotto dell’artificio umano).
Il gioco tra i due poli, artificio ed elemento naturale, sorregge la ricerca poetica di Chiara Lecca che descrivendo il suo lavoro arriva ad affermare: «gli opposti ‘finto’/’vero’, ‘organico’/’inorganico’ convivono in un piccolo teatro tragicomico, proponendo diverse facce del quotidiano tramite un linguaggio inaspettato, fuori dalla norma».
All’interno del percorso del museo, nella stanza dedicata alla ceramica italiana, tra maestosi servizi da tè, Chiara ha deciso di portare alle estreme conseguenze questo dialogo. Un oggetto ovoidale che ricorda le uova di struzzo inserite a pieno titolo nei Naturalia che adornavano le prime Wunderkammer, campeggia al centro dello spazio. L’opulenza della base, realizzata in marmo, fa in nascere noi il dubbio che anche l’ “uovo” sia stato realizzato mediante la lavorazione di una pietra preziosa. Siamo dunque portati a leggere la strana cromia dell’oggetto come un estremo artificio, un tributo alla preziosità degli oggetti contenuti nello spazio museale. È solo un’analisi più dettagliata, coadiuvata dalla lettura dei materiali compositivi, a svelare l’ultimo sovvertimento: il materiale con cui è realizzato l’oggetto ovoidale è vetro, ma esso è rivestito da vescica animale.
Naturale ed artificiale divengono così parte di un continuo rimando linguistico. Siamo di fronte ad un paradosso: l’elemento naturale, cioè la vescica animale, tramite l’artificio allude ad un grande uovo, uno di quei naturalia che fungevano da contraltare agli artificialia. Tuttavia, mai come in questo caso, l’artificio è portato alle sue estreme conseguenze.
Il lavoro di Silvia Camporesi si muove parallelamente, anche nella struttura espositiva, a quello di Chiara Lecca.
Nell’ala dedicata alla ceramica faentina si inserisce il lavoro di Silvia Camporesi nelle cui ricerche ricorre frequentemente la contrapposizione tra elemento naturale ed artificio. Prova di un percorso costantemente segnato dai due poli di questo dialogo è il progetto installativo (e costante work in progress) realizzato nel corso di una residenza in Canada: una molteplicità di fotografie installate direttamente a parete senza l’uso di alcuna cornice che formano un’installazione di grandi dimensioni. Ad una prima lettura, dettata dalla distanza, il lavoro ci appare come una graduale sequenza di toni che ci porta dal nero iniziale al totale candore degli ultimi scatti. Tuttavia, ciò che appare come una costruzione artefatta che tende all’astratto si svela come una sequenza di scatti di elementi naturali della flora e della fauna acquatica. In questo caso la riflessione sul termine naturale non è garantita dalla semplice scelta del soggetto, ma si situa proprio nella riflessione linguistica attorno al tema della luce. La luce è in sé elemento naturale, ma anche riflessione metalinguistica sulla fotografia, dunque celebrazione dell’artificiosità del mezzo.
In questo percorso espositivo l’artista prosegue le sue più recenti ricerche dialogando con la costruzione mimetica dei più noti stili faentini (denominati per l’appunto “garofano”, “melograno”, etc.)
Il gruppo teatrale dei Menoventi, oltre le arti visive.
In questa ricerca tra natura ed artificio si impone il confronto con l’arte che più dialoga con questi due poli: il teatro. Seguendo le più recenti aperture del museo verso una pluralità di linguaggi, ci è sembrato estremamente calzante proporre il gruppo teatrale dei Menoventi, vincitori del Premio Rete Critica assegnato ai Premi Ubu del 2011. La ricerca dai Menoventi è segnata dalla costante riflessione sugli artifici della costruzione teatrale, come avvenuto nell’ultimo spettacolo L’uomo della sabbia- Capriccio alla maniera di Hoffman che imposta la sua costruzione drammaturgica mediante l’esplicita messa in scena degli artifici scenografici del teatro.
In occasione della settimana del contemporaneo il gruppo, nello spazio dedicato alle esposizioni temporanee del museo, presenterà una personale riflessione sui termini di artificio e natura.