Nel segno delle donne. Tra Boldini Sironi e Picasso
I Musei Civici Gian Giacomo Galletti in Palazzo San Francesco a Domodossola ospitano una nuova grande mostra, dedicata al ruolo della donna negli anni che chiudono l’Ottocento e aprono il XX secolo, in un percorso che proietta la società e l’arte verso la modernità.
Comunicato stampa
A un anno dall’apertura dei Musei Civici Gian Giacomo Galletti in Palazzo San Francesco, torna a Domodossola la grande arte con la mostra Nel segno delle donne. Tra Boldini, Sironi e Picasso curata da Antonio D’Amico e Federico Troletti che è il neo Conservatore dei Musei Civici, realizzata dal Comune di Domodossola in partnership con la Fondazione Paola Angela Ruminelli e il Museo Bagatti Valsecchi di Milano, il contributo della Fondazione CARIPLO e il sostegno di Soc. Coop. Pediacoop, Ultravox Srl e Studio Abc, Centro Sos Dislessia di Domodossola. La mostra si avvale di prestigiosi prestiti e della collaborazione dell’Istituto Matteucci.
Come afferma l’Assessore Folino “E’ un momento straordinario, sono incredibilmente emozionato. Domodossola, finalmente, riparte con le Grandi Mostre, dopo l’interruzione del 2020 e 2021, con un progetto di assoluta qualità artistica, che entusiasmerà visitatori e cittadini. L’offerta culturale, già ricca con le collezioni permanenti di Palazzo San Francesco, si accresce ulteriormente, regalando opportunità uniche, descritte, in particolare, attraverso i Maestri Boldini, Sironi e Picasso”.
Prosegue l’assessore Folino “Grazie di cuore al dott. D’Amico e al dott. Troletti che hanno realizzato un percorso espositivo di pregio, così come ci inorgoglisce la partnership con il Museo Bagatti Valsecchi di Milano”.
Un’esposizione che continua il lavoro intrapreso negli anni precedenti dal Museo volto alla riscoperta delle collezioni ossolane e del ruolo che la città di Domodossola ha avuto nel panorama nazionale e internazionale: dopo le mostre De Chirico De Pisis. La mente altrove e Balla Boccioni Depero. Costruire lo spazio del futuro, entrambe grandi successi di pubblico e critica, si indagano ora i decenni tra la fine dell’Ottocento e il primo quarantennio del Novecento attraverso gli occhi degli artisti che hanno saputo cogliere il ruolo della donna nella società, proiettandosi verso la modernità.
La mostra espone oltre sessanta opere tra dipinti, sculture, macchine fotografiche d’epoca, abiti e fotografie, poste fra loro in una serie di accostamenti che indagano le interconnessioni tra le varie manifestazioni della modernità, ponendo sempre al centro della ricerca la città di Domodossola che in questi decenni era più che mai viva protagonista dei tempi.
Nel 1906, infatti, era stato inaugurato il traforo del Sempione che aveva aperto una via di comunicazione diretta con la Francia e di conseguenza con Parigi, capitale della Belle Époque. Un clima vivace e internazionale si respirava nella stessa Domodossola dove il Teatro Galletti ospitava il cinematografo e rappresentazioni di prosa e operistiche che attraevano pubblico da tutta la zona del Lago Maggiore - dove soggiornava la Marchesa Casati e dove si incontravano, tra gli altri, Umberto Boccioni, Arturo Toscanini, Daniele Ranzoni e Paolo Troubetzkoy - mettendo la città in connessione con le capitali moderne d’Europa.
Il Teatro Galletti è ben rappresentato nel percorso: è esposto, dopo oltre quattro mesi di restauri, l’originale sipario dipinto nel 1882 da Bernardino Bonardi, ossolano di origine e scenografo del Teatro Nazionale di Madrid, con la raffigurazione della Piazza Mercato, ricca di scene quotidiane e personaggi abbigliati nei costumi tradizionali delle valli dell’Ossola. Presente in teatro fino agli anni Venti del Novecento, il sipario è stato poi nei depositi per gli ultimi quarant’anni.
La Domodossola del primo Novecento rivive anche grazie alle parole del grande poeta Giovanni Pascoli, del quale sono esposti alcuni scritti autografi: Pascoli si era adoperato in prima persona per raccogliere fondi utili per la costruzione a Domodossola di un ospizio per gli emigranti e, quando nel 1906 fu inaugurato dalla Regina Margherita e da mons. G. Bonomelli, il poeta inviò un'epigrafe che fu posta sulla facciata del palazzo.
Sarà questa una grande occasione per tornare a parlare del ruolo di Domodossola e della storia dell’Ossola, come afferma il Sindaco Lucio Pizzi: “Finalmente giungiamo a realizzare questa nuova mostra. L’abbiamo fortemente voluta, con un impegno importante sotto ogni profilo: è il segno della ripartenza e della voglia di cultura di Domodossola, ormai capofila nel nostro territorio per eventi di questo tipo”.
Continua il Sindaco Lucio Pizzi: “Ho seguito l’evolversi del progetto con l’Assessore Folino, apprezzando particolarmente i temi della mostra e la figura femminile che ci racconta la modernità, sapientemente calata nella Domodossola del Novecento. Attingiamo alla nostra meravigliosa storia per pensare al futuro”.
Dal percorso espositivo emerge con forza la vera protagonista assoluta della mostra: la figura femminile, la donna nelle sue diverse sfaccettature che diventa chiave di lettura della modernità. Le donne sono presenti nelle opere di Boldini, Zandomeneghi, Cavaglieri, Corcos, Carrà, Pellizza da Volpedo e Sironi a volte intellettuali, altre lavoratrici, giovani o anziane, madri o figlie. Queste figure si fanno testimoni dei tempi che evolvono e del mutare del gusto estetico, dai ritratti in tulle e crinoline della fine dell’Ottocento le ritroviamo tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento rappresentate da Sironi come figure solide e spoglie di orpelli e con un segno forte e melancolico ne Le Corsage a Carreaux di Picasso.
Antonio D’Amico, già direttore dei Musei Civici di Domodossola, ricorda che “è questo un progetto di ampio respiro, nato prima dell’ondata pandemica e che adesso vede la luce con una nuova spinta e una visione più allargata e condivisa con il nuovo Conservatore, Federico Troletti. La bellezza di tornare a Domodossola, studiandola dal cuore di Milano e grazie all’accordo tra il Comune e la Fondazione Bagatti Valsecchi, mi concede un’analisi del mondo femminile tra fine Ottocento e gli anni ’40 del Novecento, mettendo in evidenza la bellezza della pittura, con la sua palpabile sensualità, l’eroica visione del mondo e della società tra centro e periferia”.
Si indagano, quindi, le mutazioni del gusto e della sensibilità della società che passa dalla vita in campagna con un andamento lento, alla città, specchio di innovazione e modernità, elementi che sono rintracciabili nel grande “racconto” intimo di Leonardo Dudrevuille, un capolavoro assai raro, e di notevoli dimensioni, di proprietà della Fondazione Cariplo, nello struggente saluto di una madre alla figlia di Italo Nunes Vais, fino alla visione cubista di Picasso.
Particolare enfasi è data alla moda con il sontuoso mantello a strascico indossato dalla Regina Margherita, esposto in un allestimento che pone il manto in dialogo con il ritratto della regnante, accessori dell’epoca e fotografie che sono lo strumento d’elezione della modernità, capace di immortalare le nuove tendenze e il mondo circostante.
La mostra Nel segno delle donne. Tra Boldini, Sironi e Picasso vuole essere una riflessione sulla figura dell’artista in quanto tale: è l’artista che con la particolare sensibilità del suo sguardo si accorge dei mutamenti della società e che diventa testimone del divenire della modernità.
“Questa esposizione è un’occasione per assaporare la bellezza. Il percorso espositivo ha l’intento d’immergere il visitatore in un mondo governato dal piacere estetico, affinché anche l’occhio dell’uomo contemporaneo venga coinvolto e travolto dalla ricerca della bellezza, vero alimento anche per la mente.” – conclude Federico Troletti, conservatore dei Musei Civici di Domodossola – “La mostra porta a dialogare con i grandi anche artisti meno noti, con opere inedite, proponendo quindi nuovi filoni di ricerca. Sono grato ad Antonio D’Amico che ha voluto condividere questo suo primordiale progetto espositivo con un gruppo di ricercatori. Tra questi Elena Pontiggia e Stefano Bosi, esperti conoscitori del periodo che offrono spunti di riflessione sui grandi nomi presenti in mostra; Silvia Malaguzzi, che con un’indagine trasversale alle opere delinea l’evoluzione e l’uso del gioiello; e Paola Caretti, che con studi inediti offre una lettura storico-sociale che annienta il divario tra periferia e centro. Si tratta di una mostra che osa, crea delle suggestioni, traccia un percorso di ricerca, stimola la curiosità e porta a riflettere il visitatore, come i curatori, sugli effetti dell’arte sulla società e della società sulle manifestazioni della creatività umana”.