Nell’opera aperta Dinamiche Visioni
Mostra collettiva.
Comunicato stampa
Nell’opera aperta dinamiche visioni
Testo di Vittoria Coen
Nel 1962 Umberto Eco scriveva nel catalogo di presentazione Arte cinetica - Arte programmata: “Non so bene come abbia fatto, ma è sempre stata l’arte, per prima, a modificare il nostro modo di pensare, di vedere, di sentire, prima ancora, certe volte cento anni prima, che si riuscisse a capire che bisogno c’era”.
Quelli che si è soliti definire “i favolosi anni sessanta” sono realmente, per l’arte e non solo, anni di grandi trasformazioni, addirittura, di rivoluzioni culturali, di cui ancora oggi viviamo le modifiche radicali nella nostra vita di tutti i giorni e nel nostro comune modo di sentire.
Sono gli anni in cui si assiste, da una parte, alla prepotente invasione Pop che coltiva il culto dell’immagine attraverso la mitologia del consumo felice e di un orizzonte culturale, quello angloamericano, che si propone ai nostri occhi, abituati a ben altro, come obiettivo da raggiungere e da emulare, dall’altra, alla estenuazione e implosione della ricerca informale storica aniconica. Da una parte, dunque, la sublimazione della zuppa, delle star di Hollywood e di tutto il mondo musicale in gran fermento, dall’altra, sgocciolamenti di colore su tele giganti e pennellate sovversive nelle poetiche di quanti si sono ribellati alle geometrie razionalistiche di certe avanguardie.
Sono gli anni della crescita economica, dell’ottimismo verso il progresso, della corsa alla modernizzazione e le nuove tecnologie cominciano a entrare nelle case sotto forma di elettrodomestici, televisori, lavatrici e automobili.
La tecnologia affronta, naturalmente, anche il tema dei materiali nuovi, di meccanismi che azionano utensili per produrre servizi.
Per chi ha sentito parlare di “macchine celibi”, e poi di “macchine inutili”, il percorso individuato dallo sviluppo della ricerca artistica propone un linguaggio del tutto innovativo. Anche se, infatti, i primi pionieri di questa ricerca vanno trovati tra i dadaisti, i surrealisti, e poi nel Nouveau Réalisme, penso a Tinguely e a Duchamp, per citare due tra i nomi più noti, lo sviluppo dell’Arte Cinetica, Arte Concreta, Arte Optical, produce una fioritura straordinaria di talenti italiani e internazionali.
Nel 1965 Il MOMA di New York celebra con la mostra The Responsive Eye l’arte optical. E’ una sensazionale rivoluzione del pensiero artistico, poiché in essa è raccolta la sintesi della traduzione di un’idea nuova in forme plastiche. Nascono il Gruppo Zero, il Gruppo 1, la rivista Azimut/h (1959), l’Arte Programmata.
Riflessi metallici, giochi cromatici che creano illusioni ottiche, opere che si muovono nello spazio con movimenti reiterati azionati da input meccanici, materiali innovativi, questi alcuni dei temi oggetto di indagine.
Nella mostra, qui rappresentata, ci troviamo di fronte ad un ventaglio di possibilità intriganti che giocano tra “opera aperta e opera aperta e in movimento”, per citare ancora Umberto Eco. Nei lavori degli artisti esposti non troviamo più la dicotomia tra pittura e scultura, ad esempio, ma un flusso, un divenire dell’opera stessa mentre noi la guardiamo.
I lavori di Toni Costa, ad esempio, ci pongono subito di fronte ad una duplicità di sensazioni/sentimenti creati su variazioni cromatiche. Misteriosa ci appare la struttura di Enzo Mari del 1962, giocata come è sui contrappunti spaziali.
Il titolo dato alle due opere esposte di Franco Grignani: Psicoplastica, crea proprio tutte le premesse per un avvincente gioco antropologico tra il materiale e la sua celebrazione. I campi elettromagnetici creati da Davide Boriani scandiscono il tempo di una costruzione quasi biomorfica della superficie sulla quale si espande l’elettromagnetismo. Negli Spazi elastici di Gianni Colombo il movimento crea una reiterazione del processo. La partitura è interpretata all’infinito.
In questa mostra l’alternanza dei materiali ci immerge da subito nelle poetiche legate alle sperimentazioni del decennio sessanta/settanta. Acciaio, magneti, plexiglass, apparati elettrici: nelle due opere esposte di Armando Marrocco scatta una sorta di corto circuito di interferenze spaziali e linguistiche.
Dell’uso sincopato e illusionistico del colore la critica ha ampiamente argomentato, soprattutto per richiamare l’attenzione su artisti anche diversi fra loro. Da Vasarely e Le Parc, da Alviani a Scheggi, l’idea prende forma nell’assemblaggio delle varie componenti: movimento, ma anche colore, luce e ombra nello spazio. Nel Rilievo fluorescente di Dadamaino, del 1969, la tensione strutturale colpisce nel suo istantaneo inveramento.
Infine possiamo ammirare uno straordinario lavoro dell’argentina Martha Boto, un’opera del 1967 che rappresenta un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio carico di ironia e senso del ludus più profondi.
Comprendiamo, quindi, che la sperimentazione legata al concretismo/cinetismo, in un periodo così ricco di artisti propositivi, rappresenta un fenomeno mondiale che investe tutta l’arte occidentale tra Europa e Stati Uniti, e che attraversa competenze e saperi diversi, in una mescolanza interessantissima di professionalità. E’ proprio in questo fervore di creatività che le parole architettura, design, arte, ricerca scientifica, danno origine a relazioni simbiotiche dove tutto è possibile fin dalla fine degli anni cinquanta.
Il Gruppo T di Milano, di cui fanno parte tra gli altri Colombo e Boriani, il Gruppo N di Padova, (che si presenta come un vero e proprio collettivo) lo Studio MID di Milano, il Gruppo Zero, hanno costituito veri e propri gruppi di ricerca, di scambi culturali, di confronti tra specificità differenti. Grazia Varisco, Enzo Mari, Toni Costa, ma anche Bruno Munari segnano con il loro lavoro il superamento del limite alla creazione, incredibilmente dentro le cose e nel loro tempo.
Nella molteplicità delle proposte, nel passaggio da periodo informale a questa ulteriore apertura definita tale da Eco, le vicende legate alla condivisione, ma anche gli scontri dialettici tra le varie proposizioni artistiche, testimoniano comunque il rigore intellettuale delle figure legate a queste avventure creative.
Anche se sono passati molti anni da quelle esperienze, noi sentiamo, attraverso questa mostra alla Galleria Futura, la intelligente vivacità creativa dei protagonisti le cui opere dialogano perfettamente tra loro con una forte capacità comunicativa, anche se oggi il led ha sostituito il neon e il “virtuale” ha spazzato via la reale fisicità e concretezza dell’opera.
Il nostro ruolo? Quello stabilito anche allora con la parola “fruitore”, di partecipazione attiva all’esperienza artistica e all’opera, che non è stata “chiusa” per una sola funzione contemplativa pseudo romantica, ma che, invece, resta aperta alle sollecitazioni esterne.