Non si può essere incolti al punto di amare solo cose di alta qualità
Invitata da Martina Simeti a curare un progetto per la galleria, Valérie da Costa è partita dalla storia del luogo – l’ex laboratorio di un argentiere – per sviluppare una mostra dedicata alla relazione tra l’arte e l’oggetto domestico.
Comunicato stampa
Invitata da Martina Simeti a curare un progetto per la galleria, Valérie da Costa è partita dalla storia del luogo – l’ex laboratorio di un argentiere – per sviluppare una mostra dedicata alla relazione tra l’arte e l’oggetto domestico.
Per raccontare questa attrazione ricorrente nel percorso di molti artisti, la curatrice ha scelto figure di diverse generazioni, unendo a nomi italiani riconosciuti, Elisabetta Benassi, Alberto Garutti, Piero Gilardi, Fabio Mauri, due artiste francesi alla loro prima mostra in Italia, Mimosa Échard e Chloé Quenum.
Il titolo Non si può essere incolti al punto di amare solo cose di alta qualità è preso in prestito da Fabio Mauri. Si tratta di una delle frasi che l’artista ha stampato sulle strisce di moquette, materiale dello spazio domestico, che compongono l’ultima sua grande installazione, L’universo d’uso, presentata nel 2008 all’Auditorium Parco della Musica in occasione del Festival della filosofia.
«Questo incontro generazionale, culturale e materiale è frutto di una visione intima e personale. La galleria è vissuta in questo caso come uno spazio di sperimentazione in cui si confrontano pratiche, gesti e interrogativi diversi. Tappeti, cuscini, cibi in trasformazione, tracce di oggetti ricamati e una maquette danno forma a un dispositivo in cui i visitatori sono invitati a muoversi liberamente, sperimentando i vincoli e l’elasticità dello spazio espositivo» afferma la curatrice. «Svuotate o addirittura deviate dalla loro funzionalità, le opere in mostra rivelano la porosità tra dimensione intima e collettiva nell’intento di rompere gli schemi dell’atto creativo».
A richiamare l’installazione di Fabio Mauri che offre il titolo alla mostra, è esposta una maquette: L’universo d’uso, l’opera con cui l’artista ha compiuto la sintesi della sua costante riflessione sulle ideologie assume qui la forma di una scultura trasportabile, da viaggio si potrebbe dire, che ci conduce in una dimensione intima.
Al centro della galleria, un tappeto di Elisabetta Benassi (Cosciente Solidale, 2019) riporta il testo del telegramma con cui il compositore Luigi Nono annunciò il suo rifiuto a partecipare alla Biennale di Venezia del 1968, edizione segnata da una contestazione politica collettiva: «coerentemente mia cosciente solidale partecipazione movimento studentesco giusta contestazione contro biennale in nessun caso partecipero festival biennale musica stop segue lettera cari saluti».
A questo lavoro fa eco un tappeto natura di Piero Gilardi (Incendio a Madeira, 2018) che esprime la sua ricerca di una coscienza politica e collettiva, tema presente nell’opera dell’artista, precursore fin dagli anni ’60 delle attuali sfide ecologiche.
E’ in questo dialogo che che si colloca l’installazione evolutiva di Chloé Quenum (Châtaignes, 2020), composta da frutta e verdura avvolta da argilla fresca che si sgretola nel corso della durata della mostra, testimoniando la costante evoluzione della materia vivente.
Hanno perso tutta la loro funzionalità i grandi cuscini di Mimosa Échard (Friends 2, 2019), riempiti di piante medicinali cinesi, di fiori di crisantemo, di semi di loto, di uova di ginkgo o ancora di spugne detergenti, condensando al loro interno la sfera dell’intimo.
Sono infine «fantasmi domestici» quelli che convoca Alberto Garutti nei sui Piccoli spazi tra le cose (1991/2018), ricami che rappresentano una serie di oggetti assenti attraverso il loro contorno, invitandoci così a immaginare la loro presenza.