Non tutto è interpretazione
Un’esposizione collettiva che tende all’organicità dell’opera, e che mostra – ma non dimostra – come sia fallace l’idea comune che vuole verità e realtà scisse tra due poli.
Comunicato stampa
Con la mostra NON TUTTO È INTERPRETAZIONE si è voluto creare un piccolo sistema metastabile, un’esposizione collettiva che tende all'organicità dell'opera, e che mostra - ma non dimostra - come sia fallace l’idea comune che vuole verità e realtà scisse tra due poli: da una parte vi sarebbe la realtà inserita in una cornice di stabilità e dall’altra una realtà che perde la sua forza e validità perché interpretata come instabilità assoluta, impedendoci di dire qualcosa di vero sul mondo: la realtà che deve fare i conti con il relativismo. Il senso del divenire, invece, è qui inteso come un processo metastabile, ovvero si vuole sottolineare che non esiste nulla di assolutamente stabile, come non esistono condizioni pure, né condizioni di assoluta stabilità, senza per questo arrendersi all’impossibilità di produrre un giudizio oggettivo sul mondo. L’idea di costruire in mostra un “sistema” metastabile non ha la pretesa di essere un progetto compiuto, ma vuole delineare e percorrere una direzione di ricerca, dove il richiamo al recupero di un atteggiamento - quello della percezione immediata o ingenua - è un passo importante per capire cosa possiamo intendere per reale. La realtà nel suo essere divenire è uno dei temi affrontati in questa mostra. Ma non si tratta della realtà così come veniva descritta nel postmoderno, è piuttosto la realtà intesa come qualcosa che esiste e si dà in modo oggettivo e temporale. Occorre imparare a distinguere la differenza tra ciò che crediamo e sappiamo del mondo e della realtà e ciò che il mondo e la realtà sono, indipendentemente dalla nostre credenze. I lavori portati in mostra sono delle ricerche personali dove ogni artista tenta di scardinare la propria poetica per provare ad andare oltre. Emblematico è il lavoro di Elia Gobbi, che per la prima volta espone qualcosa che non è esattamente una pittura a olio, ma ci mostra invece un acquario all’interno del quale è stato inserito un bollitore rudimentale, home made. Un paesaggio che Elia sostiene essere metafora della pittura. Pittura intesa anche come puro atto di creazione di immagini e sostanze. Così, allo stesso modo, il processo di elettrolisi innescato dal bollitore in funzione genera dello zinco e della ruggine, polvere utilizzabile alla stregua del pigmento. Un acquario che contiene un paesaggio mobile ma che richiama, così come lo stesso artista dichiara, a una natura morta. E dato che nessuna cosa appare come perfettamente isolata, ma ogni volta in relazione a uno sfondo e a un determinato contesto, basta girare lo sguardo per trovarsi di fronte all’opera di Alessandro Vizzini: un pilastro composto da cemento, calce, gesso zolfo, cristalli di sale, acido e vari metalli. All’intero del pilastro saranno posti i cristalli di sale che lentamente sprofonderanno nel pilastro. Tra il pilastro e i cristalli di sale l’artista ha sparso e depositato pigmenti e polveri di diverso materiale che, a contatto con l’acqua rilasciata dall’umidità creata dal cristallo di sale, innescano delle reazioni chimiche e fuoriuscite di colore dai cromatismi chiari. La stabilità del sistema creato da Alessandro è in stretto collegamento con i meccanismi che conducono alla sua dissoluzione, e quindi alla creazione di nuovi stati. Uno stato dinamico stabile o metastabile non è uno stato di equilibrio, ma mantiene aperto lo scambio di energie con l’esterno pur conservando la propria struttura fondamentale, dove la violenza dell’atto dell’artista è avvertita nell’oscillare della cosa tra l’essere e il niente. L'opera di m rivela che la realtà possiede un proprio attrito che l’essere nella sua purezza non comprende. Un collage digitale in PVC adesivo su vetro con soggetto il Parlamento Europeo in multicolor. Quest’opera non ha bisogno di molti commenti aggiuntivi, il suo senso resta compreso in sordina. È una realtà in atto, in cui ogni “interpretazione” può trovare il suo posto, ma dove in realtà il senso ultimo dell’operazione appare immediato e lampante. Davanti a questa immagine sembra più facile ricordarsi che: non tutto è interpretazione, quello che vedi è quello che è. A compendio di questo lavoro ironico, che non scade nella mera provocazione, m si esibirà in una “performance normale”, sintagma scelto dall’artista stessa per descrivere la sua azione. Ho chiesto a m cosa intendesse per “performance normale” e lei mi ha risposto in questo modo: «La performance normale è: lavare i piatti e scoprire che tutti ti stanno guardando, pulire la cucina e scoprire che tutti ti stanno guardando, tagliarsi i capelli e scoprire che tutti ti stanno guardando, montare un trapano e scoprire che tutti ti stanno guardando. Intanto, io penso a Vito Acconci, cadere dalla sedia e masturbarsi sotto il pavimento». m lavorerà alla creazione di nuovi collage digitali per tutta la durata dell’inaugurazione della mostra. Da una parte quindi avremo un grande collage su vetro, dall’altra sarà possibile vedere come l’artista lavora mimando la sua quotidianità. Un colpo di scena o semplicemente una sterzata verso la realtà. Enrico Boccioletti trascura l’immagine e con audacia riproduce in loop un archivio di campionamenti. Il lavoro portato in mostra è un file audio con l’installazione sonora 38 Sequenced Original, Unwarped, Unmixed, Unedited, Personal Samples (Either mono or stereo). Il titolo dell’opera funge da vera e propria didascalia: l'opera è composta infatti da 38 campioni personali/originali, ovvero creati dall’artista, non mixati, non editati e messi semplicemente in sequenza. Questa sequenza costituisce una sorta di archivio personale di suoni iniziato due anni fa. I campioni sono stati poi salvati dentro progetti di Ableton Live (software sequencer) e costituiscono tanti punti di partenza - per l’esattezza 38 - per nuovi lavori audio. È possibile intendere l'opera come una sorta di “ritrovamento”, si tratta di 38 pezzi di una collezione personale e, come Enrico dichiara, «totalmente arbitraria». Sono stati montati insieme così come li ha trovati, senza l’esigenza di creare una vera e propria composizione musicale, semplicemente posti l'uno di seguito all'altro. Nonostante la procedura “casuale” del montaggio, il brano, nel suo complesso di 47 minuti, si lascia ascoltare, riempiendo lo spazio e completando l’atmosfera del sistema metastabile. La realtà formale di questo lavoro affiora proprio dalla dialettica sottile che vi è tra il caso e la necessità, in cui creatività e caso irrompono nel mondo della necessità. Con i suoi 38 campioni, l'opera nega il concetto del "sample" come elemento appartenente unicamente al mondo del dj-ing o del hip-hop o come punto di partenza per pratiche di remix. "Questa piccola collezione" - dichiara Enrico - “appunto perché personale, mia e basta, fronteggia il cliché diffuso di un’estetica del remix". Altro polo fondamentale di quest'opera è la presenza visiva dell’impianto audio. Il suono in questo modo non va a insinuarsi nello spazio come se fosse una presenza fantasmagorica ma esibisce il suo punto d’origine, la sua appendice di ottusa matericità.