Norma e capriccio
La mostra metterà a fuoco l’intenso scambio artistico fra grandi pittori e scultori spagnoli – a partire da Alonso Berruguete – e artisti fiorentini e italiani del Rinascimento inoltrato, entro i codici espressivi della prima “maniera”.
Comunicato stampa
“L’edizione 2013 del programma espositivo Firenze - Un Anno ad Arte si apre nella Galleria degli Uffizi con una mostra dedicata, per dirla in breve, ai rapporti artistici fra Firenze e la Spagna nel primo ventennio del Cinquecento. Una scelta eccellente, a conferma dell’incessante azione di studio documentario e di sistemazione critica intorno alle opere di artisti presenti in Galleria, che trova momenti alti di visibilità e di valorizzazione nelle mostre temporanee. (Cristina Acidini)”
Le ragioni dell’esposizione sono sintetizzate da un parere attribuito a Michelangelo nei Dialoghi romani di Francisco de Hollanda, pubblicati a Lisbona nel 1548. In quel trattato, contenente osservazioni raccolte dall’autore durante un lungo soggiorno italiano prolungatosi dal 1538 e al 1547, il Buonarroti afferma:
“così pure dichiaro che nessuna nazione e nessun popolo (ad eccezione di uno o due spagnoli) può assimilare perfettamente né imitare la maniera di dipingere italiana (che è quella della Grecia antica), senza essere subito riconosciuto facilmente per straniero, per quanto si sforzi e lavori”
Questo autorevole apprezzamento è servito d’ispirazione alla mostra, la prima dedicata all’attività degli artisti spagnoli approdati in Italia fra l’inizio del Cinquecento e gli anni Venti del secolo, partecipi del fervido clima culturale sviluppatosi fra Firenze, Roma e Napoli; gruppo nel quale devono certo essere inclusi alcuni dei nomi cui Michelangelo intendeva far riferimento col giudizio raccolto dall’Hollanda.
Nel numero di queste presenze, spinte al viaggio da un vorace desiderio di confronto con i testi fondamentali dell’arte moderna, si contano personalità provenienti da centri diversi della penisola iberica: il castigliano Alonso Berruguete (1488 circa -1561), Pedro Machuca nativo di Toledo (1490 circa – 1550), Pedro Fernández (meglio noto come lo “Pseudo-Bramantino” e proveniente da Murcia), Bartolomé Ordóñez (? –1520) e Diego de Silóe (1490 circa - 1563) (entrambi di Burgos); tutte figure di pittori e scultori capaci di imporsi come veri e propri protagonisti del manierismo europeo, anche grazie al loro apprendistato nelle più importanti città dello Stivale.
Sono le fonti storico-artistiche italiane a riconoscer loro una posizione preminente sulla scena internazionale del Cinquecento. Giorgio Vasari, ad esempio, nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori (1550; 1568) ricorda il Berruguete accanto a Rosso e Pontormo nello studio delle opere di Michelangelo e Leonardo, così come nell’indagine attenta sui capolavori del Quattrocento fiorentino (in particolare la Cappella Brancacci di Masaccio).
La mostra si articola in otto sale che intendono esemplare i cataloghi di questi artisti con una scelta ragionata di prestigiose creazioni, eseguite durante le loro residenze nel nostro paese o immediatamente dopo il rientro in patria.
Nelle quattro sale d’apertura si indagherà pertanto il percorso italiano di Alonso Berruguete, ricostruito da Roberto Longhi e Federico Zeri: Berruguete - pittore e scultore di tenore poetico altissimo (Antonio Natali) -, infatti, destinato dal terzo decennio del secolo, ad imporsi come il più autorevole scultore al servizio di Carlo V e della sua corte, fu – assieme ai valenzani Fernando LLanos e Fernando Yáñez de Almedina, anch’essi testimoniati da un dipinto in mostra – fra i primi artisti iberici a scegliere la strada di un viaggio “di formazione” con l’intento di aggiornare il proprio linguaggio pittorico.
Si avrà così, nella prima e nella seconda sala, l’inedita possibilità di confrontare direttamente le tavole e le sculture fin qui riferite alla brillante carriera di Alonso lontano dalla Spagna – opere per lo più oggi conservate agli Uffizi e in altri importanti musei italiani e stranieri. Si potrà dunque verificare la coerenza del catalogo riunito dagli studi di Longhi e di Zeri, valutandone interrelazioni e dipendenze. Nella terza sala ci si concentrerà su due circostanze rilevanti del soggiorno dell’artista in centro Italia: e cioè il suo rapporto di familiarità vissuto con il pittore cremonese Giovan Francesco Bembo, voce significativa della maniera eccentrica per l’Italia settentrionale (ugualmente trasferitosi a Firenze attorno al 1509), e la partecipazione di Berruguete al concorso per una copia del Laocoonte in Vaticano, indetto da Bramante nel 1510, con Raffaello a far da giudice. La modernità del linguaggio del castigliano, nutrito da esperienze e contatti tanto eterogenei vissuti fra il Lazio e la Toscana, sarà poi vagliata – nella quarta sala – accostando la sua prima produzione spagnola ai risultati significativi di pittori e scultori toscani a lui contemporanei, fra cui Andrea del Sarto, Rosso, Pontormo, Baccio Bandinelli e Domenico Beccafumi. In questa parte iniziale del percorso, si potrà del resto anche giudicare il peso che la tradizione fiorentina ebbe sull’arte di Alonso, grazie ad autografi di Donatello, Leonardo, Michelangelo, Filippino Lippi e Piero di Cosimo provenienti dal Bode Museum di Berlino, dal British Museum di Londra e dall’Albertina di Vienna.
Nella quinta stanza, partendo dalle tavole di Pedro Machuca prestate dal Museo del Prado e dalla Galleria Borghese, si rifletterà invece sul suo contributo fra gli anni dieci e venti del secolo alla bottega di Raffaello, con la quale l’artista toledano dovette collaborare durante la campagna decorativa delle Logge vaticane. Se ne verificherà inoltre il ruolo di mediatore, al fianco di altri artisti coevi come Cesare da Sesto, nel veicolare la lezione del Sanzio in Italia del Sud, grazie al confronto della sua produzione romana con la tavola di Andrea da Salerno proveniente da Nocera Inferiore. Nella stessa sala si esemplerà l’articolato percorso di Pedro Fernández, grazie a tavole prestate dal Museo de Arte de Catalunya di Barcellona, dalla Pinacoteca Ala Ponzone di Cremona e dalla chiesa di San Lorenzo a Pisciarelli (Bracciano): l’artista fu infatti attivo nella penisola italiana fra il Lazio e la Campania, dopo una formazione vissuta con ogni probabilità a Milano a contatto con le esperienze figurative di Bartolomeo Suardi, noto anche come Bramantino.
La sesta e la settimana stanza indagheranno invece più da vicino l’ambiente artistico partenopeo, concentrandosi sulla produzione di Bartolomé Ordóñez e Diego de Silóe, i quali vi operarono negli anni dieci collaborando ad alcune importanti realizzazioni come l’altare marmoreo per la cappella Caracciolo di Vico in San Giovanni in Carbonara. A testimonianza di quella straordinaria impresa saranno esposte sculture eseguite dai due fra Napoli e la Spagna, confrontando per la prima volta opere oggi conservate in luoghi consacrati e frequentati dall’attenzione critica come il Museo Nazionale di Capodimonte o statue provenienti da centri più piccoli della penisola iberica, fra cui la cattedrale di Zamora e la chiesa parrocchiale di Barbadillo di Herreros: provenienti da questi luoghi saranno in mostra una Madonna col Bambino e san Giovannino dell’ Ordóñez e un San Sebastiano del Silóe, testimonianze della maestria raggiunta dai due scultori nella lavorazione del marmo, materiale consacrato dalla tradizione italiana e al centro di una nuova vague di portata europea, presso le corti del continente, dall’inizio del Cinquecento.
Nell’ultima sezione della mostra si raccoglieranno invece opere realizzate da questi stessi artisti al rientro in patria, fra Valladolid, Granada e Toledo, quando l’elezione al trono di Carlo d’Asburgo nel 1516 offrì loro la promessa di un rinnovato e più generoso mecenatismo artistico da parte della Corona spagnola, dopo quello già munifico di Ferdinando d’Aragona e Isabella la Cattolica. Saranno esposte la Sacra Famiglia dipinta da Machuca per Jaén attorno al 1520 (esempio di uno squisito gusto raffaellesco nella composizione e nel tono sentimentale), ma anche due tavole dipinte da Pedro e da un pittore fiorentino noto come l’Indaco (trasferitosi in Spagna assieme al toledano) per la cattedrale di Granada, dove Ferdinando aveva voluto la propria reale sepoltura (affidata nel 1513 allo scultore settignanese Domenico Fancelli): monumento evocato in mostra da una preziosa incisione pubblicata nel 1872 nel “Museo Español de Antigüedades”. Il percorso si concluderà con due sculture provenienti dall’imponente retablo mayor di San Benito el Real, messo in opera da Alonso Berruguete negli anni venti del Cinquecento, guardando a modelli italiani desunti dall’Antico (come il Laocoonte) o dall’arte fiorentina del Rinascimento (come il San Giorgio di Donatello): opere testimoni di un gusto italianista comune ai pittori e agli scultori iberici, attivi sulle sponde orientali del Tirreno nel primo quarto del secolo, i quali contribuirono a diffonderlo in patria, decretando così il successo su un piano europeo dei principî formali della maniera moderna.
Il progetto scientifico della mostra è di Tommaso Mozzati, che ne ha condiviso con Antonio Natali anche la cura e il catalogo edito da Giunti Editore.
Promotori dell’esposizione il Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, la Galleria degli Uffizi, Firenze Musei e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.