Novecento Italiano. Una storia
La mostra, curata da Maria Teresa Benedetti, Lea Mattarella e Francesca Villanti, intende documentare alcuni momenti fondamentali della cultura e dell’arte italiana del Novecento, evidenziando l’importanza dei cambiamenti storici ed inducendo a riflettere sugli aspetti del mondo contemporaneo.
Comunicato stampa
«Se la centralità del secolo XIX è francese, l’impermanenza sensoriale e il rapido mutamento dei linguaggi estetici, [..] quali dominano il secolo XX verso il XXI, devono molto alle innovazioni italiane»
(Germano Celant)
Nelle Sale Duca di Montalto di Palazzo Reale a Palermo sarà ospitata dal 25 marzo al 31 agosto 2017 la mostra Novecento Italiano. Una storia, organizzata dalla Fondazione Federico II, presieduta da Giovanni Ardizzone, in collaborazione con C.O.R, Creare Organizzare Realizzare di Alessandro Nicosia.
“Ancora una volta la Fondazione Federico II – spiega il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone – sceglie di puntare sulla qualità del nostro patrimonio artistico. Il Novecento italiano è un secolo che nel suo rapidissimo evolversi non ha eguali con nessun altro nel passato e che proprio per siffatta ragione ha dato anima e corpo alle tante istanze artistiche qui rappresentate, rilette alla luce di chi caparbiamente ha creduto nella loro genialità e nella necessità di sperimentare”.
La mostra, curata da Maria Teresa Benedetti, Lea Mattarella e Francesca Villanti, intende documentare alcuni momenti fondamentali della cultura e dell’arte italiana del Novecento, evidenziando l’importanza dei cambiamenti storici ed inducendo a riflettere sugli aspetti del mondo contemporaneo.
Come spiega Maria Teresa Benedetti, “Non un percorso onnicomprensivo, impossibile viste le dimensioni della rassegna, che risulterebbe inefficace per l’affollarsi di temi difficilmente approfondibili, ma la volontà di costruire con la qualità delle opere, tutte nel loro ambito necessarie, un tessuto ricco di rimandi storici, al fine di documentare l’alto valore di una vicenda italiana, meritevole del più ampio riconoscimento in ambito internazionale”.
Attraverso circa 70 opere, molte delle quali provenienti da prestigiose collezioni private e per questo raramente o mai esposte, la mostra si presenta come un viaggio ideale tra le tendenze e le personalità dei più grandi maestri italiani del XX secolo.
"Palermo - sottolinea Francesca Villanti - è una città fortemente ancorata al suo passato, ma proiettata alla contemporaneità, ospitando nel 2018 la XII edizione di Manifesta (Biennale delle Arti Visive). Colto e profondamente eterogeneo, il capoluogo siciliano rappresenta quindi il posto ideale per raccontare la storia dell’arte del Novecento italiano. Farlo in una mostra con poco più di sessanta opere è un’impresa impossibile: per questo abbiamo voluto tracciare un percorso che dia al visitatore la possibilità di trovare degli spunti di riflessione attraverso la visione di opere straordinarie, per lo più nascoste in collezioni private, offrendo il privilegio di poter godere di capolavori gelosamente custoditi".
Apre il percorso una selezione di opere di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Gino Severini e Mario Sironi, che documentano l’esperienza divisionista e il passaggio degli artisti al linguaggio futurista. Citiamo il Ritratto di Ettore Roesler-Franz di Balla (1902), il Ritratto della pittrice Adriana Bisi - Fabbri di Boccioni, (1904, il Ritratto del fratello Ettore di Sironi (1908) e per documentare l’aspetto rivoluzionario del Futurismo la fondamentale scultura di Boccioni Forme uniche della continuità nello spazio (1913), alcune opere di Balla fra cui La Guerra (1916), e Tete de jeune fille di Severini (1913).
Dopo la tragedia del primo conflitto mondiale, domina un atteggiamento antitetico alle istanze delle avanguardie, cui dà voce Giorgio De Chirico insieme a Carlo Carrà, attraverso formule come "ritorno all’ordine”, “ritorno al mestiere”, “realismo magico”, “metafisica del quotidiano”, lanciate dalle pagine della rivista “Valori Plastici”(1919-1922). Atteggiamenti che si riflettono nell’opera dello stesso De Chirico che, negli anni Venti, realizza opere dove permangono elementi dell’esperienza ferrarese della Metafisica, fonte di ispirazione perenne per l’artista, insieme a nuovi contenuti, riscontrabili anche nei temi delle Ville Romane, degli Archeologi, dei Gladiatori, mentre Alberto Savinio con L’isola dei giocattoli (1930), propone il suo particolare surrealismo, e Filippo de Pisis trasforma l’impressionismo francese in linguaggio italiano. Fabrizio Clerici nel più tardo Sonno romano (1955) sviluppa un surreale citazionismo, debitore in qualche modo a De Chirico.
Contemporaneamente si snoda la vicenda, destinata a durare ben oltre la metà del secolo, di due centrali protagonisti della vicenda italiana, quali Giorgio Morandi e lo stesso Carrà .
Durante il corso degli anni Venti e nel successivo decennio “ realismo magico” e “metafisica del quotidiano” si manifestano nell’opera di Francesco Trombadori, Antonio Donghi, Riccardo Francalancia, mentre le prime manifestazioni di quella che latamente viene definita “Scuola Romana”, si hanno nel “primordialismo plastico” di Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Emanuele Cavalli, che affermano il legame con la classicità e la storia, ribadendo inoltre la necessità di esprimere valori spirituali. .
Contemporaneamente emerge il suggestivo episodio della Scuola Romana di Via Cavour, che vede prodigarsi il generoso talento di Mario Mafai e di Antonietta Raphael, ricco di una libertà espressiva, legata a esperienze europee. Parallelamente citiamo la presenza di Franco Gentilini con La Famiglia (1934), opera vicina a Novecento, movimento promosso da Margherita Sarfatti, del quale è alfiere principe Mario Sironi, qui proposto con una grande e suggestiva opera del 1934 La famiglia del minatore, densa di contenuti etici, tesi a celebrare valori universali.
La prima parte dell’esposizione si chiude proponendo il forte realismo di Renato Guttuso, profondamente legato alla terra d’origine e culminante con l’affresco de La Vucciria, come dalla Sicilia all’Europa si volge l’opera monumentale di Fausto Pirandello.
Un esempio della complessità di un percorso, dalla figurazione all’astrazione, è proposto dalle tre opere di Capogrossi, documento insieme di una evoluzione di linguaggio, e della fedeltà ai presupposti etici del proprio lavoro.
A favore dell’astrattismo si dichiarano nel secondo dopoguerra gli artisti del Gruppo Forma: Carla Accardi, Piero Dorazio, Achille Perilli, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Antonio Sanfilippo, Giuseppe Capogrossi (Superficie 230, 1957). Quest’ultimo è figura - simbolo di congiunzione tra la prima e la seconda parte del Novecento.
Se Capogrossi è impeccabile nella celebrazione del segno, Alberto Burri (Muffa, 1952) esplora la materia e Lucio Fontana (Concetto Spaziale – Attesa, 1968) dichiara la centralità del gesto. Assoluto e perentorio il suo taglio sulla tela.
A rappresentare la Pop Art è un monocromo di Mario Schifano che dimostra come gli artisti italiani siano profondamente legati alla tradizione della pittura. L’Arte Concettuale e l’Arte Povera mostrano una stagione straordinaria e internazionale di cui fanno parte Mario Merz, Enrico Castellani, Alighiero Boetti, Giulio Paolini e Jannis Kounellis, con cui si è voluto iniziare il percorso espositivo. Un omaggio a un grande protagonista scomparso da poco. Si chiude con Mimmo Paladino, che rappresenta la Transavanguardia e con il siciliano Emilio Isgrò, Fabrizio Clerici nel più tardo Sonno romano svolge un surreale citazionismo, voce fuori dal coro.
Come sottolinea la curatrice Lea Mattarella: “È difficile rappresentare il secolo di una nazione come l’Italia, ancor di più se si tratta di un periodo così complesso come il Novecento. Così il sottotitolo scelto, “una storia”, sta a significare che la nostra è solo una delle letture possibili. Il nostro intento è quello di invitare ogni visitatore a immaginare il suo percorso ideale, grazie alle nostre suggestioni, indicazioni, tappe di questo incredibile racconto che è l’arte italiana del XX secolo”.
“La scelta di Palermo non è casuale: il suo Palazzo Reale e la Cappella Palatina - sottolinea il Direttore generale della Fondazione Federico II, Francesco Forgione - ormai da due anni rappresentano il cuore pulsante dell’itinerario arabo-normanno riconosciuto dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. Ma ancora più significativa è la scelta di offrire questo percorso artistico - culturale alla vigilia di un anno importante: nel 2018 Palermo sarà Capitale italiana della cultura e ospiterà Manifesta, la biennale delle arti visive”.
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira.