Nu Barreto – La vertigine delle lucciole
L’artista reduce da un ciclo di mostre prestigiose in spazi museali come la Fondation Boghossian di Bruxelles e la Calouste Gulbenkian Foundation di Lisbona, per la sua prima mostra italiana ha prodotto appositamente un articolato complesso di opere, che rappresentano la summa della sua ricerca espressiva.
Comunicato stampa
Si apre sabato 28 dicembre dalle ore 12:00 alle 20 presso Lis10 Gallery di Arezzo (Via Cavour 5) la mostra dell’artista Nu Barreto, (1966 São Domingos, Guinea Bissau) dal titolo “La Vertigine delle Lucciole” curata da Alessandro Romanini.
L’artista reduce da un ciclo di mostre prestigiose in spazi museali come la Fondation Boghossian di Bruxelles e la Calouste Gulbenkian Foundation di Lisbona, per la sua prima mostra italiana ha prodotto appositamente un articolato complesso di opere, che rappresentano la summa della sua ricerca espressiva.
“Il titolo fa riferimento sia alla vertigine che connota tutti gli elementi inclusi nelle sue opere, conferendogli un senso di precarietà e di moto continuo, che al titolo di uno scritto di Pier Paolo Pasolini (di cui ricorre il centenario della nascita), che tratta tematiche omologhe a quelle della ricerca di Barreto.
“La scomparsa delle lucciole”, è il titolo dell’articolo che Pasolini pubblicò il 1° febbraio del 1975 in che alludeva – come i dipinti di Barreto - alla perdita drammatica di valori, il depauperamento dell’ambiente e del connesso sistema antropologico a beneficio di un processo improntato alla produzione e al consumo, che genera disparità diffuse e migrazioni globali. Le tecniche impiegate da Barreto spaziano dal disegno alla pittura, dal collage alla tecnica mista fino all’assemblaggio plastico, come dimostrano le opere esposte.
Partendo sempre dalle sue origini e dal legame con il continente africano e le disparità che lo caratterizzano, Barreto, con un impegno costante e militante, sottolinea nei suoi dipinti, in chiave metaforica l’impossibilità di miglioramento e di elevazione così come la precarietà che regna sovrana nei suoi dipinti, costellati di figure e oggetti che hanno perso il loro equilibrio e la loro funzione originaria per fluttuare in un’erranza senza sosta alla ricerca di una stabilità seppur temporanea, in uno spazio privo di riferimenti reali, temporalmente sospeso.
Cartoni (anche macerati), collage polimaterici, oggetti di riciclo, i materiali impiegati sono residuati del processo industriale e commerciale, che servono all’artista per marcare il legame con la vita quotidiana e con la dimensione produttiva e del consumo che è responsabile dei disequilibri odierni.
Così come la serie delle “Tongs”, (infradito), abbandonate sulle spiagge turistiche esotiche, che diventano opere plastiche grazie a un processo di elaborazione che richiama il ready made modificato dadaista riletto in chiave upcycling. Il ciclo di dipinti delle “bandiere” noto a livello internazionale, diventa critica che illustra la natura convenzionale della segnaletica della politica, le distorsioni del potere che si estende allo spazio, espresso tramite confini e frontiere, che possono essere attraversati tranquillamente dalle merci ma non dagli esseri umani.
Come afferma lo stesso artista “Cerco da sempre una scrittura pittorica aperta e sensibile, che evochi la situazione di instabilità e disparità con cui ci confrontiamo quotidianamente e che rappresenti un individuo imperfetto e incoerente come l’essere umano. Una scrittura che parli delle mie origini e delle possibilità future”.