Nunzio – Giallo di Napoli Nero Pece Blu Cobalto
Le opere di Nunzio non sono eppure sembrano. Non sono sculture, non sono quadri, non sono installazioni. Tuttavia si presentano in un modo o nell’altro.
Comunicato stampa
Le opere di Nunzio non sono eppure sembrano. Non sono sculture, non sono quadri, non sono installazioni. Tuttavia si presentano in un modo o nell’altro. Il non essere niente di definito, raffigurato, rappresentato, benché appaiano molto sicure di sé, presenze sempre ben piantate sulle pareti o sui pavimenti, fa sì che queste opere alludano a uno spazio e a un tempo diversi da quelli in cui si espongono. Ad una mostra di Nunzio è come stare davanti al sipario vellutato di un teatro che si apre a poco a poco e sbirciare tra le pieghe morbide, immaginare il tutto nel poco che esce dal buio piano piano, aspettando che da un momento all’altro, forse alla fine, le cose si compiano e prendano senso. Se solo si avesse la pazienza di aspettare, forma e significato sarebbero forse una certezza. Oppure conta di più il momento del passaggio, che non è un istante ma una durata? Magari né una cosa né l’altra. Come lo spazio espositivo è spaziosità, il tempo è frattempo, la forma si trasforma. Una cosa che sta diventando un’altra, gli opposti che si attraggono (il piombo che modella il quadro come fosse vernice pastosa di un colore che non c’è o viceversa le luci del giallo e del blu che traspaiono dalla combustione del legno). Il poter essere altro, l’ambiguità ontologica, il peso che è anche un contrappeso, le differenze che diventano somiglianze o viceversa: sono queste indecisioni visive, fremiti e sussulti, a increspare il velo dell’arte, senza mai scoprirlo. Tutto un mondo di pieghe che si ripiegano e si dispiegano, così nasce la forma quadro o scultura di Nunzio. E non è detto che dietro ci sia realmente qualcosa, perché niente si può spiegare davvero. La piega, infatti, è il movimento che non finisce e che anzi si trasmette da un cosa all’altra come un’onda. Un evento che si ripete, che dura, che sembra poter non finire mai. Per un’alchimia che è scritta nel codice della materia, accade nel piombo dei quadri i cui risvolti sono piegature di un uno che è molti. E si vede nella combustione dei legni, una costellazione in cui il piccolo e il grande, il nero e il colore si afferrano l’uno all’altro, attratti dalla medesima forza. Quadri o sculture, le opere di Nunzio sono strumenti di conoscenza sensibile, il che vuol dire semplicemente che sono opere d’arte. Non dicono, non mostrano ma pensano quel che si può fare e vedere. Dentro una tradizione umanista, italiana ed europea, hanno memoria lunga delle strade molto battute, delle scorciatoie già provate, delle mete sbagliate o troppo frequentate e perciò si muovono con calma e soprattutto evitano indicazioni e segnaletiche convenzionali. Non sono e non esibiscono concetti chiari e distinti, frasi ad effetto e nemmeno fanno spettacolo. Arrivano dove arrivano per una serie di possibilità che si esplicano nel processo, interagendo con fattori ambientali, fisici o chimici sorvegliati, perché non sia il caso a prevalere ma il metodo e la cura. Ogni opera alla fine è un dispositivo libero di stare e di agire nella forma che assume agli occhi dell’artista, tuttavia così flessibile e programmaticamente incompleto da rendersi disponibile a molte altre possibili relazioni di senso. Non essere ciò che sembrano è la qualità artistica peculiare delle opere di Nunzio. In fondo è l’idea antica, fascinosa e spiazzante, quasi erotica, che il sembrare qualcosa di non definito sia il quid dell’arte, quel non so che di cui ci accorgiamo ma non sappiamo dire perché sia e che cosa sia quando siamo di fronte a un’opera d’arte.