ogni strada è un ritorno
La mostra nasce da un progetto di Gaetano Salerno, declinato in più episodi, ispirato alla filosofia della decrescita incentrato sull’analisi, riflessione e discussione dei fenomeni artistici della contemporaneità.
Comunicato stampa
ogni strada è un ritorno
Tiziano Bellomi Mirta Carroli Christian Gobbo Enrico Minato Federica Palmarin
a cura di
Gaetano Salerno e Adolfina De Stefani
inaugurazione
venerdì 29 gennaio 2016, ore 21.00
Complesso del Baraccano | Sala Esposizioni Giulio Cavazza
Via Santo Stefano, 119
Bologna
apertura mostra
29 gennaio 2016 > 1° febbraio 2016
venerdì 29 gennaio 2016: ore 21.00 - 24.00
sabato 30 gennaio 2016: ore 15.00 - 24.00 (Art City White Night)
domenica 31 gennaio 2016: ore 10.00 - 12.30 e 15.00 - 19.00
lunedì 1° febbraio 2016: ore 10.00 - 12.30
in occasione della serata di inaugurazione verranno proposte le performance
OMAGGIO/OLTRAGGIO 2 di Adolfina De Stefani
(con la collaborazione di Anastasia Moro, Martina Pasqualetto, Antonello Mantovani, Donato Ceron, Gian Paolo Lucato, Samuela Scatto, Agustina Pellegrini)
INCERTEZZA SICURA e NOSTALGIA di Enrico Minato
In occasione di ArteFiera Bologna 2016, nell’ambito di Art City White Night 2016, verrà presentata presso il Complesso del Baraccano - Sala Esposizioni Giulio Cavazza del Quartiere Santo Stefano di Bologna (via Santo Stefano, 119; vedi scheda evento allegata) la mostra OGNI STRADA E’ UN RITORNO, collettiva degli artisti Tiziano Bellomi, Mirta Carroli, Christian Gobbo, Enrico Minato e Federica Palmarin.
L’inaugurazione è prevista per venerdì 29 gennaio 2016 alle ore 21.00 (con presentazione critica a cura di Gaetano Salerno e interventi performativi); sabato 30 gennaio 2016 è prevista inoltre una lunga apertura, dalle 15.00 alle 24.00, in occasione della notte bianca dell’arte organizzata dal Comune di Bologna.
La mostra, a cura di Gaetano Salerno (curatore e critico d’arte) e Adolfina De Stefani (artista e curatrice), realizzata in collaborazione con Segnoperenne e patrocinata dal Comune di Bologna - Quartiere Santo Stefano, nasce da un progetto di Gaetano Salerno, declinato in più episodi, ispirato alla filosofia della decrescita incentrato sull’analisi, riflessione e discussione dei fenomeni artistici della contemporaneità; il progetto espositivo Ogni strada è un ritorno (progetto in fieri introdotto dalla collettiva AXIAL AGES, a cura di Gaetano Salerno, presentata nel mese di dicembre 2015 presso gli spazi espositivi di Villa Orsini di Scorzè - Venezia), presenterà al pubblico un’eterogenea e ragionata selezione critica dei lavori di cinque artisti (diversi per linguaggi e ricerche) attraverso i quali istruire scambi biunivoci e sintonie per individuare pretesti d’indagine verso nuove significazioni dell’oggetto artistico e del gesto creativo, oltre l’immediata e superficiale sua decodifica, considerato nella sua valenza di veicolo di conoscenze condivise.
Pittura, scultura, installazione, video, neon, fotografia, azione performativa invaderanno lo spazio espositivo senza soluzione di continuità, per sviluppare invece un complesso percorso enunciativo ed escatologico, privo di evidenti e aprioristiche direttive, nel tentativo di condurre lo spettatore a rivelazioni posteriori, sospendendone il giudizio e la comprensione in un limbo d’indefinitezza e di dubbi condivisi, necessari per la riscoperta di verità non più individuali, inferite dai propri saperi pregressi ma riconducibili a esperienze esistenziali collettive di una società in formazione.
I libri-oggetto (blocchi di sapere inerti, libri depotenziati della funzione d’uso primaria, contenitori di culture inevitabilmente elitarie alle quali l’artista, incollando le pagine, nega il libero accesso, costringendo il lettore a intuire percorsi autonomi, alternativi e sperimentativi, verso la conoscenza e l’apprendimento) e l’azione performativa di Enrico Minato, ragionamento sul valore delle parole, ricomposte attraverso azioni guidate alla decrittazione del messaggio e alla sua compiutezza; le sculture al neon di Christian Gobbo, attraverso le quali la parola - diffusa e trascesa in metafisici bagliori che smaterializzano l’oggetto nel concetto - diventa pretesto riflessivo per percepire presunte forme d’illuminazione simili a scoperte iniziatiche; gli scatti fotografici di Federica Palmarin, linee intricate e intersecate su sfondi bianchi e lattiginosi, visualizzano il tentativo d’interconnessione tra saperi multipli e trasversali, l’unione di coscienze individuali (come i fili dell’alta tensione che la fotografa ritrae privandoli della loro immediata riconoscibilità) ricomposte nella rete intellettuale comune per originare un sovra-sapere appartenente all’umanità intera; le minimali e materiche sculture di cemento di Tiziano Bellomi - anch’esse eternizzazione di un archetipo - i cui oggetti artistici (selezionati tra le opere prodotte da altri artisti), cementificati e imprigionati dentro l’oggetto-manufatto, rifuggono un’immediata quanto parziale fruizione visiva e ridiscutono - intraprendendo molteplici digressioni concettuali tra apparenza ed essenza - i principi di verità e di autorevolezza di forme d’arte onnipresenti e onniscienti; le sculture di acciaio Cor-Ten di Mirta Carroli, materie piegate ai voleri etici dell’intelletto, elementi totemici e assoluti, per alludere a verità iniziatiche, estranee al tempo, originate da un flusso di saperi archetipici che sopravvivono nelle culture o oltre le culture originando gli archivi storici di ciascuna forma di contemporaneità (l’essere qui proprio di tutte le cose del mondo).
“OGNI STRADA E’ UN RITORNO” spiega il critico Gaetano Salerno “rilegge e interpreta visualmente una teoria formulata da Karl Jaspers e incentrata sui dubbi esistenziali dell’uomo e sulla loro valenza “nel tempo e oltre il tempo”, rimasti cioè invariati nei secoli.
Secondo il filosofo, infatti, in un periodo della storia dell’umanità collocabile tra l’800 e il 200 a.C. e in un’area geografica estesa, compresa tra Asia ed Europa, pensatori di grandi civiltà culturalmente lontane tra loro iniziarono a ragionare su argomenti comuni, sviluppando atteggiamenti auto-riflessivi e cercando contestualmente risposte ai medesimi dubbi esistenziali ai quali l’uomo, nonostante il progresso tecnologico e scientifico raggiunto in un breve lasso di tempo, non è stato (e non è) in grado di pervenire. Jaspers denomina questo lungo momento, fondamentale per la nascita e lo sviluppo di un pensiero moderno e per la formazione di una coscienza collettiva morale ed etica, periodo assiale.
Come allora, quando nuovi pensieri prodotti dalla speculazione filosofica soppiantarono le vecchie mitologie e credenze nelle quali l’uomo si era rifugiato, così l’arte dovrebbe oggi invertire la propria attitudine allo sviluppo di linguaggi disorganici e autocratici, elaborare nuove e strategiche visioni condivise, sostituendo ai molti idiomi per mezzo dei quali si esprime una sovra-scrittura, retta da nuove logiche sintattiche, per la formazione di un registro (densamente parlato e densamente compreso) in grado di individuare, esprimere ed evidenziare i limiti (e i dubbi) di una civiltà ancora incompleta, testimone passiva dei molti e frammentati saperi acquisiti.
Ogni strada è un ritorno parla così dell’esigenza di invertire il cammino lungo la strada della conoscenza, riconsiderandone tutte le deviazioni incontrate nei labirinti dell’evoluzione, dell’esigenza cioè di esplorarne con maggior rigore e consapevolezza i saperi ignorati e ricostruire un archivio delle conoscenze disperse nel tragitto compiuto dall’umanità; operazione necessaria per scardinare le sovrastrutture mentali dell’uomo moderno, le prigionie di percezioni fallaci, per la ri-semantizzazione cioè dell’oggetto artistico il cui valore (etico e didattico), nell’epoca odierna, dovrebbe essere inversamente proporzionale alla certezza evocata dallo stereotipo nel quale è racchiuso, la negazione della sostanza aristotelica della quale l’opera è prigioniera ma che contemporaneamente ne garantisce l’esistenza e la cui sola esistenza sopravvive oltre ogni ragionevole dubbio.
Tra certezza e suggestione Ogni strada è ritorno costruisce un dialogo speculativo sopra i due massimi sistemi del mondo, prima contemplando e poi negando verità palesate da strutture assiomatiche e da pensieri mistificati; un ulteriore ed evocativo moto intellettuale alla scoperta poiché nella perpetua assenza di definitive certezze è indicato il solco della crescita, le linee guide che il codice sincretico dell’arte (oltre a ciò che sembra essere) avrebbe il compito di tracciare e definire, rifuggendo dirette ed esaustive risposte quanto piuttosto ritrattando e confutando accomodanti ma parziali verità”.
Gli artisti, selezionati per l’occasione, sono posti in dialogo tra loro e con lo spazio espositivo che accoglie, nel vuoto e nel silenzio, pochi e selezionati lavori per generare un cortocircuito sensoriale tra aspettative e risultati dell’indagine artistica; l’assenza di verità pre-definite e pre-definibili - espresse dai lavori dei cinque artisti esposti - rappresenta così l’assenza di verità certa, il luogo delle probabilità in cui l’oggetto artistico sconfina oltre i limiti della sua fisicità, della sua contingenza spaziale, della sua sussistenza materica, per diventare prodotto spirituale, non più vincolato alle allusioni della forma espressiva bensì contenitore di un’idea originaria e originante che indaga la genesi umana muovendo dalla contemporaneità, ripercorrendo a ritroso le strade delle conoscenze per mappare, sulla linea del tempo, le molte epoche assiali vissute e porre in relazione ciò che l’uomo è con ciò che l’uomo è stato e pervenire a nuove analogie dell’essere.
Biografie artisti
Tiziano Bellomi. Verona, 1960; vive e lavora a Verona. Diplomato presso il Liceo Artistico Statale di Verona e in Discipline Pittoriche presso l’Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona. Espone in numerose mostre personali e collettive, in Italia e all’estero. Con i lavori dal titolo Concrete, indaga il concetto di autorialità dell’arte. L'operazione artistica consiste nel creare un blocco di cemento il quale contiene, al suo interno, un'altra opera donata da amici artisti. Un’iscrizione su piastra di ferro informa sul contenuto, indicando il nome dell'autore, il titolo e l'anno di esecuzione dell'opera contenuta. In questo modo il lavoro finito è composto di più opere: l'operazione artistica, il manufatto e l'opera che esso contiene. Concettualmente tende verso la negazione dell'opera poiché l'opera è presente ma non visibile. Tutti i lavori sono accompagnati da un video che presenta le fasi della creazione del blocco di cemento e ne mostra il contenuto, svolgendo una funzione documentativa. Idealmente si collega alla tradizione in uso nei tempi passati di celare importanti documenti nelle fondamenta di costruzione di cattedrali, chiese e fortezze.
Mirta Carroli. Laureata in scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna insegna per diversi anni Discipline Plastiche presso il Liceo Artistico Francesco Arcangeli e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 1999 le viene conferito dall’Università, dal Circolo Artistico di Bologna e della Fondazione Marconi il Premio Marconi per la scultura. Partecipa a numerose e importanti esposizioni personali: dal 1991 alla Galleria Juliet di Trieste, a quella ricca di opere installate nel parco di Villa Fidelia presso Spello nel 1995 a cura di Vittoria Coen; la presentazione de “La grande promessa in forma di aratro” all’Associazione Italo-Francese di Bologna, la realizzazione dell’opera di grandissime dimensioni, “Il tempio delle voci” presso Brufa di Torgiano nel 1997 su invito del critico d’arte e curatore Giorgio Bonomi. Nel 1999 espone nel chiostro di San Giovanni in Monte a Bologna per il Premio Marconi e l’anno successivo viene invitata con sculture e disegni all’Istituto italiano di cultura a Bruxelles. Nel 2000 la Galleria Studio G7 presenta a Bologna la sua personale dedicata ai “Rilievi”; nel 2003 è presente all’inaugurazione della nuova sede della Raccolta Lercaro a Bologna con la scultura Il volo, la luce. Nel 2004 Nel tempio e nel 2007 Tribale presso la Galleria Plurima di Udine. Nel 2007, presso il Moma di Shanghai, realizza in performance un grande disegno su seta per il Consolato Italiano. Nel 2008 presenta a Brisighella, sua città natale, una sua prima antologica L’Alfabeto del Grano con sculture ed installazioni sul territorio a cura di Pietro Bellasi e Giorgio Bonomi. Viene invitata dal curatore Franco Batacchi a realizzare per l’anno 2009 il grandioso allestimento di sue scultore presso il Castello di Pergine Valsugana “La persistenza del Segno”. Tra le più significative esposizioni collettive, le nuove Triennali d’Arte Contemporanea di Bologna nel 1993 e 1997; la XXII Biennale di scultura di Gubbio nel 1994 e quelle di Palazzo Massari a Ferrara nel 1994 e 1996. Espone nel 1994 e nel 2003 a New York e nel 1995 è presente alla Quarantaseiesima Biennale d’Arte di Venezia (sezione Grafica) con una versione del menabò del suo libro d’artista “Dieci nell’uno”. Nel 2010 è invitata dal curatore Luciano Caramel a partecipare con una sua grande opera alla collettiva “Scultura Internazionale a Racconigi, presenze ed esperienze del passato”.
Christian Gobbo. Treviso, 1971. Vive e lavora a Casale sul Sile (TV). Diplomato presso la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia ha compiuto uno studio attento sull'uso della luce e del suo influsso sul colore, stato emotivo e luogo eletto delle riflessioni, mai fine a se stesso ma funzionale alla comprensione del tutto. Prende parte a numerose esposizioni personali e collettive. Nel 2009 viene insignito dalla giuria internazionale della Biennale Internazionale d'Arte Contemporanea di Firenze con il quarto premio nella categoria “installazioni” con le opere Maternità e Icaro e nel 2010 l’opera Icaro vince il Premio Installazioni presso la Mostra Internazionale Italia Arte a Villa Gualino, Torino. I suoi lavori racchiudono tutto ciò che, nascosto dentro di sé, trova espressione e sfogo tramite forme semplici e ampie gamme cromatiche. Dopo aver lavorato su immediati e forti contrasti tra materiali (vetro e metalli) ha intrapreso una ricerca incentrata unicamente sul neon e sulla luce, la cui poetica trascende il dato fisico dell’oggetto per elevare il messaggio insito nell’opera verso nuove forme di spiritualità.
Enrico Minato. Fonte (TV), 1960; vive e lavora a Crespano del Grappa (TV). Si diploma in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Qui sperimenta le sue attitudini con la Land Art e l’Arte Concettuale. Fin dalle prime esperienze si avvale delle performance come strumento per un coinvolgimento più diretto del pubblico. Prende parte a numerose esposizioni personali e collettive, in Italia e all’estero. Poeta visivo, lavora dai primissimi anni ottanta, concentrandosi soprattutto sulla parola. Espone in numerose La sua ricerca ha come oggetto il pensiero coltivato attraverso la parola e il suo valore simbolico, in rapporto alle cose che essa rappresenta, va alle radici stesse della comunicazione e ci induce alla riflessione sul valore della conoscenza che nel pensiero è potenzialmente racchiusa. Con il suo lavoro ha sperimentato tutte le tecniche artistiche, con una costante preferenza per il libro - oggetto, per le installazioni, per la performance, per il multiplo, per il video. Quattro sono gli ambiti principali in cui si esercita la sua capacità creativa: l'uso del codice verbale come mezzo essenziale della comunicazione visiva, l'attenzione alle situazioni socio-politiche della realtà, l'ironia come strumento di presa di coscienza della propria e altrui condizione, la ferrea convinzione della perfezione formale ottenuta solo con la manualità garantita dal lavoro dell'artista stesso. Tanto la potenzialità comunicativa quanto il potere evocativo della parola sono oggetto costante della sua ricerca. L’artista attraversa lo spazio delle emozioni con ironia o con estrema serietà, fino a toccare la soglia del dolore…l’emozione è punto di arrivo e punto di partenza del suo percorso di ricerca, l’emozione è motore della conoscenza e a sua volta riconduce la conoscenza al suo valore più alto.
Federica Palmarin. Venezia, 1977. Si diploma presso lo I.A.E.S di Milano in fotografia. Utilizza fotocamera e video, come mezzi espressivi. Artist in residence presso Fabrica (Centro di Comunicazione Benetton) dove ha realizzato progetti artistici e campagne per Fabrica, Benetton, Unicef, Amnesty International, Avis, Benetton, Autostrade e altro. Vince il World Competition Photo-Paris Photo Magazine con la foto “Men likes blondes”. Le sue opere sono state esposte in collettive e individuali a Milano, Firenze, Venezia, Rotterdam, Osaka, Miami. Espone i suoi lavori ad Art Basel - Miami e Artissima - Torino. Molti suoi scatti sono stati pubblicati in Colors Magazine, Vogue, Photo Magazine, Vice America, Welt Woche, Diario, La stampa, Io Donna. Alcune opere sono state recentemente acquistate dalla Deutsche Bank per la collezione permanente di Milano. A Venezia coordina arte e divulgazione in I.A.E.S. Fotografa di Colors Magazine, collabora frequentemente con la rivista Vice. Photoeditor di Colors Magazine e pubblica con La Motta Editore "PZERO PHOTO PIRELLI "Pax Tibi Marce. Pubblica con Electa, Fabrica Files 07/12 “BELIEVERS” preghiere dell’uomo contemporaneo. Vince un Atelier dalla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e successivamente vince il premio dell’esposizione collettiva messo in palio dalla stessa Fondazione. Realizza la campagna per il Nuovo Logo LANCIA, segue tutta la campagna pubblicitaria Nuovo Logo LANCIA 2008 e la relativa campagna pubblicitaria per la Mostra del Cinema di Venezia. Il suo lavoro è incentrato soprattutto sul ritratto, reportage e ricerca. Esegue diversi documentari video e opere video musicali, tra le principali quella realizzata per l'Orchestra del Gran Teatro La Fenice di Venezia per un'opera dedicata al disastro di Bhopal (India) e presentata a Venezia nella Basilica dei Frari e a Palazzo Ducale. Federica Palmarin è anche autrice di cortometraggi. Ha partecipato e vinto numerosi concorsi fotografici e video e partecipato a numerosi eventi espositivi in personale e collettive.
Performance
venerdì 29 gennaio 2016, dalle ore 21
OMAGGIO/OLTRAGGIO 2 performance di Adolfina De Stefani
Con la collaborazione di Anastasia Moro, Martina Pasqualetto, Antonello Mantovani, Donato Ceron, Gian Paolo Lucato, Samuela Scatto, Agustina Pellegrini.
Verrà rappresentata e ridiscussa un’ ICONA della storia dell’arte: LA GIOCONDA.
L’artista e performer Anastasia Moro, simile nei tratti del volto alla donna ritratta da Leonardo Da Vinci, rappresenterà il tableau vivant sul quale i performer interverranno realizzando, attraverso intense e brevi azioni, alcune interpretazioni di carattere artistico.
Unica icona riconoscibile e riconosciuta nel percorso espositivo della collettiva OGNI STRADA E’ UN RITORNO, (la cui valenza artistica è invece incentrata su forme estreme di iconoclastia) la Gioconda diventerà il pretesto e il territorio dell’azione dei numerosi performer per ragionare sul cambiamento di identità e sull’analisi delle definizioni dell’apparenza, ridiscutendo il valore stesso dell’icona, della sua definizione e decodificazione come contenitore assoluto di saperi eterni e immutabili, giocando con travestimenti alla ricerca di differenti, inattese e nuove entità.
Creando ritratti diversi e possibili (improntati a nuove quanto necessarie forme interpretative) che coesistono nella personalità di ciascuno di noi, verrà affrontato il tema del doppio, della comunicazione di massa e dell’idea della propria individualità (carattere proprio del genere della ritrattistica) in rapporto ai ruoli sociali conferiti a ciascun individuo dalla contemporaneità.
INCERTEZZA SICURA performance di Enrico Minato
Analisi dell’uomo moderno, portatore di verità apparentemente assolute e inoppugnabili, prigioniero invece di malesseri esistenziali del fisico, dell’animo e della psiche che l’artista, travestito da medico-demiurgo, illustrerà e per le quali, forte dell’autorevolezza conferita dall’inatteso ruolo scientifico (antitetico a quello espresso invece dall’artista), cercherà di fornire soluzioni, primariamente operando un risveglio della coscienza collettiva del pubblico.
Verrà così rimessa in discussione, attraverso la breve lezione (e con l’ausilio di cartelle esplicative), la fragilità dell’uomo moderno e il vuoto esistenziale che nemmeno la certezza dell’arte - il valore universale del quale dovrebbe essere latrice - è in grado di colmare, il bisogno di riconoscere e accettare la propria natura incompleta per innescare - anche attraverso la pratica artistica - processi di guarigione, miglioramento, crescita.
NOSTALGIA performance di Enrico Minato
Grandi lettere, lanciate con deferenza e apparente casualità sul pavimento della sala dall’artista, comporranno, a ritroso, l’evocativa scritta DEVO RITORNARE SUI MIEI PASSI?
Anche l’artista ripercorrerà a ritroso la frase, saltando sopra le lettere e lungo il tortuoso percorso, prendendo coscienza dell’esigenza di guardare - anche nella pratica artistica e nella ricerca di nuove e appaganti verità – al passato, alla propria esperienza e intuendo in questo sguardo globale l’esigenza di accettare il cambiamento come parte integrante del percorso esistenziale, di metabolizzare la metamorfosi della nostra essenza in divenire (il dubbio continuo come moto alla scoperta) per sconfiggere la diffusa condizione di alienazione e frustrazione dell’uomo moderno, prigioniero della propria limitata e parziale esistenza nella contemporaneità.