Olinsky
Surplace presenta una mostra di un artista che opera da tempo ma che ancora si misura con il proprio tempo, mescolando nei contenuti dei suoi dipinti l’attualità e quello che si è lasciato alle spalle, finanche un po’ di quello che accadrà.
Comunicato stampa
Surplace presenta una mostra di un artista che opera da tempo ma che ancora si misura con il proprio tempo, mescolando nei contenuti dei suoi dipinti l’attualità e quello che si è lasciato alle spalle, finanche un po’ di quello che accadrà. Nato nella seconda parte dell’ottocento, attivo fin dall’inizio del secolo scorso, incontra a metà degli anni’40 un personaggio Disney, “Mickey Mouse”, che ne cambia fin da subito l’operatività, influenzando enormemente tutta la sua ricerca e diventando la sua ossessione. L’arte dei maestri, da sempre guardata da Olinsky con ammirazione, inizia a contaminarsi con la presenta di Topolino, che passa dal fumetto all’arte alta, come omaggio estremo ad un eroe immaginifico, un gesto d’amore per un plagio tutto emozionale. Olinsky dipinge storie di topolini ambientati in bellissimi e morbidi paesaggi, storie per immagini, rarefatte e semplici, e nello stesso tempo pregnanti e dirette, non rispetta confini di spazio né di tempo, si trova a suo agio in ogni epoca. La sua forza è appoggiarsi ai temi e ai tempi e farli propri per articolare un punto di vista personale e distintivo. Il suo topolino (o i suoi topolini - si moltiplicano con le storie… -) mingherlino e filiforme è il protagonista, ormai da molti decenni, di una pittura eclettica praticata come attraversamento dei generi, contraddistinta da uno stile e da un atteggiamento distaccato, con un linguaggio che rende la pittura stessa sovratemporale, un po’ stravagante e irreale, e pop quanto basta. Il gioco di realtà e finzione fa assumere ai sui soggetti una carica ironica, la messa in scena delle storie testimonia una precisa scelta d’ordine psicologico di indagine della storia dell’arte perché Olinsky ha sempre molte cose da raccontare. In fondo il Topolino di Olinsky e lui stesso, sono un ready-made, Olinsky ha proprio il fisico da commediografo concettuale. Dandy snob e ruffiano, modello massificato che ci prende in giro ammiccando una naturalezza da personaggio mitico, Olinsky è la biografia riunita di molti artisti, è un pittore che si guarda bene in giro e viaggia molto anche se è sempre chiuso ed esiliato nel suo atelier a dipingere. Warhol disse una volta che avrebbe voluto essere per 15 minuti il longevo Olinsky. Oggi conosciamo il suo lavoro attraverso l’operatività critico-autoriflessiva di Paolo Sandano, depositario dell’oggetto sociologico Olinsky e dell’intera opera olinskiana, suo attento biografo e mentore, instancabile divulgatore della sua opera e pittore lui stesso.
In mostra un grande dipinto “La fête de la soupe” ispirato dall’opera di Watteau e alla struggente malinconia di un secolo dorato; Watteau eccelso pittore di feste galanti e giochi, capace con l’artificio tecnico e coloristico di ricreare la natura e la sensazione del reale. Olinsky nel suo percorso culturale e pittorico toglie a quel secolo, e forse anche al nostro, cipria e talco, e anche le buone maniere, rivede e rinnova la pittura a suo piacimento per dipingere l’ultimo raggio di luce opaco della pittura occidentale.
Luca Scarabelli
Le prime testimonianze su Olinsky, misterioso pittore di origini slave, risalirebbe alla fine del XIX secolo. L’artista tiene mostre nelle principali città europee, finché nel 1946, in un’edicola della gare de Lyon, acquista un numero di Topolino e ne rimane folgorato. Da quel momento si dedica alla creazione di un nuovo stile che mescola arte disneyana e arte europea. L’ultimo posto in cui è stato visto è Budapest. Qui vive in un prestigioso palazzo sul Danubio. Dal 1995 ad oggi il suo lavoro inizia ad avere successo tra i collezionisti d’Europa ma negli anni Olinsky si ritira in totale isolamento e avrà rapporti con il mondo esterno solo attraverso la cauta mediazione del suo biografo italiano, il Prof. Paolo Sandano attuale curatore dell’archivio.