Olivia Plender – Many Maids Make Much Noise

Informazioni Evento

Luogo
AR/GE - KUNST GALLERIA MUSEO
Via Museo 29, Bolzano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Martedì – Venerdì dalle ore 10 – 13 e dalle ore 15 – 19
Sabato dalle ore 10 - 13

Vernissage
05/12/2015

ore 19

Patrocini

Con il gentile sostegno di:
Provincia Autonoma di Bolzano, Ripartizione Cultura
Fondazione Cassa di Risparmio
Comune di Bolzano, Ripartizione Cultura

Artisti
Olivia Plender
Generi
arte contemporanea, personale

Con la prima personale italiana dell’artista inglese Olivia Plender (1977), si conclude il programma del 2015 dedicato alla riflessione sui trent’anni di attività di ar/ge kunst come Kunstverein di Bolzano e sul significato suggerito dal proprio nome (ar/ge kunst come Arbeitsgemeinschaft o gruppo di lavoro).

Comunicato stampa

Many men make money
Merry maidens dance in May
Mining means moving mounds
Militant miners means more money
Many maids make much noise

Con la prima personale italiana dell’artista inglese Olivia Plender (1977), si conclude il programma del 2015 dedicato alla riflessione sui trent’anni di attività di ar/ge kunst come Kunstverein di Bolzano e sul significato suggerito dal proprio nome (ar/ge kunst come Arbeitsgemeinschaft o gruppo di lavoro).

Plender usa la voce come materia e strumento per indagare come forme di autorità e rapporti di potere possano essere instaurati. In particolare si interroga sul senso dell’atto stesso del parlare in pubblico, su chi si sente legittimato a farlo e chi no, e sugli effetti che questo comporta nella costruzione e nel racconto della Storia.

In Many Maids Make Much Noise, Plender porta avanti la sua ricerca più recente intorno alle vicende del Women’ Social and Political Union (WSPU) – ala militante del movimento delle Suffragette che all’inizio del ventesimo secolo lottarono per il diritto di voto alle donne – per far emergere aspetti considerati minori dalla storiografia ufficiale ma centrali nella genealogia delle lotte per i diritti civili.

In particolare, la mostra ad ar/ge kunst si struttura intorno al magazine Urania, fondato nel 1915 da un gruppo di suffragette e attivo fino al 1940. Urania fu la prima rivista inglese a produrre una discussione culturale e politica sui temi di genere e su istanze di individui e comunità lesbiche e gay. Il nome Urania si riferisce ad una specifica idea di Utopia, come posto in cui le categorie di “maschio” e “femmina” non esistono. All’inizio del ventesimo secolo, quelle persone che non si conformavano ordinatamente alle norme sociali e sessuali, costruite intorno alle idee di comportamento “maschile” e “femminile”, spesso si definivano “Uraniani”. Il giornale Urania era quindi una sorta di catalogo di episodi incentrati su problematiche di genere e lotta femminista. Una raccolta di ritagli di articoli da giornali da tutto il mondo, pubblicati in quasi totale assenza di commento editoriale e analitico e distribuita privatamente ad un ampio network di amici e sostenitori. I commenti erano spesso non firmati o pubblicati sotto uno pseudonimo collettivo utilizzato da più autori. Tutto questo rese Urania un’istituzione che si costituiva attraverso la voce di una soggettività collettiva.

In una serie di poster, stendardi e un’opera sonora che trasmette la propria voce, Olivia Plender riedita frammenti, articoli, statements e l’indice di Urania (Star Dust Index) per costruire uno spazio testuale che invita i visitatori ad una lettura “pubblica”.

Il titolo della mostra è un estratto da una serie di esercizi vocali che l’artista ha praticato giornalmente per un anno per rieducare la propria voce dopo averla persa nel 2013 a causa di una malattia. Esercizi che è tornata a ripetere per realizzare il lavoro sonoro con l’aiuto di un trainer. Durante la riabilitazione, Plender iniziò a speculare sull’identità dell’autore anonimo di queste parole e frasi: forse un’assistente sociale impiegato dall’ospedale in cui Plender era in cura, i cui messaggi venivano così distribuiti clandestinamente attraverso i corpi di coloro che tentavano di ritrovare la propria voce. Nascosti tra i suoni assurdi e “senza senso”, ci sono esercizi che sembrano fare riferimento alla storia recente, come lo sciopero dei minatori inglesi negli anni ’80, e che sono dedicati alla militanza e all’atto del parlare stesso: al significato del “far rumore” collettivamente per essere ascoltati in pubblico.

Olivia Plender riflette sulla relazione tra ideologia e istituzioni, e sui modi in cui queste influenzino il corpo come luogo in cui il personale ed il politico coesistono. In questa mostra polifonica, attraverso cui molte voci possono essere ascoltate, rimane fedele alla dimensione educativa, formativa ed emancipatoria delle azioni di tutte coloro che si riunivano per “fare molto rumore”.