Olmo Amato – La luna e il bambù
«Un’istantanea tutta giapponese – quella di Olmo Amato – cui fa eco un’antica fiaba popolare che va sotto il nome di Taketori Monogatari (Storia di un tagliabambù), il cui racconto ha inizio con la scoperta di una minuscola e luminosa creatura femminile proprio all’interno di una canna di bambù» Testo di Nour Melehi.
Comunicato stampa
Dopo le mostre Rinascite e Bambini nel tempo, Olmo Amato sceglie di tornare nello spazio di 28 Piazza di Pietra - Fine Art Gallery per esporre un nuovo progetto dedicato al Giappone, sviluppato con la tecnica del fotomontaggio, divenuta un segno distintivo della sua ricerca artistica. In La luna e il bambù vediamo una serie di composizioni nelle quali i luoghi del presente accolgono immagini di donne del passato, in una combinazione di sfondi naturali – fotografati da Amato durante i suoi viaggi in Oriente – con figure tratte da archivi storici di fine Ottocento. Paesaggi magici e notturni, dotati di un potere magnetico in grado di richiamare alla vita misteriose presenze, trasferendole dal sogno alla realtà, dal digitale alla carta.
La mostra La luna e il bambù, che inaugurerà la quinta edizione di Rome Art Week per approdare a Biella (Palazzo Lamarmora, 23 gennaio-11 aprile 2021), presenta una selezione di dieci fotografie in medio formato, stampate su carta Washi artigianale e incorniciate in sospensione dentro teche nere (55x75 cm). Ad accompagnare le opere, un’installazione site-specific composta da un’immagine a parete di 17x3 metri e un loop sonoro spazializzato a 360° surround.
Un cuculo.
La grande notte di luna
penetra il bosco di bambù
- Bashō
Come in un celebre haiku di Bashō, un raggio di luna piena illumina un bosco di bambù. Nel silenzio di una luce surreale il tempo appare sospeso, mentre la foresta, rigogliosa e eterna, abbraccia una delicata figura umana in cammino. Un’istantanea tutta giapponese - quella di Olmo Amato - cui fa eco un'antica fiaba popolare che va sotto il nome di Taketori Monogatari (Storia di un tagliabambù), il cui racconto ha inizio con la scoperta di una minuscola e luminosa creatura femminile proprio all’interno di una canna di bambù.
La favola, nota anche come Kaguya Hime (Principessa Splendente), narra le vicende di una bimba speciale che cresce nella foresta insieme al vecchio tagliabambù e sua moglie, mentre circostanze straordinarie la trasformano in una splendida fanciulla. Il nome di Kaguya risuona per le vie del regno, attirando le proposte di matrimonio dei più ricchi pretendenti, finanche quella del re. Ma nel cuore di Kaguya dimora l’amore per la semplicità e la gioia campestre vissuta nell’infanzia e dunque, per aggirare un destino implacabile, chiede aiuto alla Luna scoprendo, nell’istante stesso, di appartenervi e di dovervi fare tristemente ritorno, lasciando la Terra e i suoi affetti.
Nasce sotto fiabeschi auspici il nuovo progetto di Olmo Amato, scaturito da un soggiorno in Oriente e concepito secondo una sua personale e consolidata poetica, dove immagini d’archivio si fondono con paesaggi da lui fotografati, in cui il passato rinasce e si rielabora nel presente. Lungo queste coordinate, visive e concettuali, scorre da tempo la riflessione dell’artista; attraverso i suoi ‘collages digitali’ egli intende svincolare personaggi e silhouettes dalle rigide pose di scatti d’epoca, per ricondurle verso uno stato di originaria e atemporale libertà. Nella serie intitolata La luna e il bambù sono rappresentate figure femminili estrapolate da negativi e albumine colorate a mano, ritraenti il Giappone di fine Ottocento; all’origine vi erano scene quotidiane, ricreate in studio da fotografi come Felice Beato e Adolfo Farsari, destinate a un pubblico europeo affamato di cartoline orientali, giacché il Giappone era rimasto a lungo un paese poco noto, misterioso, mitologico.
Le stesse fanciulle di quei quadri siedono ora al centro di una nuova rappresentazione, pronte a riconciliarsi con se stesse in un orizzonte mutato, nello spazio simbolico tra la luna e il bambù, cielo e terra, femminile e maschile in via di equilibrio e ricomposizione. In questo senso l’opera di Amato è intesa come un viaggio interiore, un ritorno alle radici della propria anima, espressione del più autentico legame spirituale tra essere umano e natura. Colte nell’essenzialità di un gesto o, più semplicemente, del loro essere presenti, le protagoniste sembrano rivolgerci un invito a riappropriarci di noi e del nostro tempo: lo scricchiolio dei passi lenti tra le foglie, lo sguardo volto alla contemplazione del komorebi (la particolare luce che filtra tra le fronde degli alberi creando un delicato gioco di riverberi e ombreggiature), la consapevolezza di una posa lieve nell’istante che precede l’azione.
Ed è come percepire, in quella grande notte di luna, il lieve canto della principessa Kaguya di passaggio sulla Terra.
Nour Melehi