Oltre il sublime
Scopo di questo progetto è di render conto dei percorsi e delle direzioni che la ricerca ‘pittorica’ digitale odierna sta tentando, in vista della ridefinizione del sublime dopo che lo sbilanciamento immaginario è divenuto ormai il pane quotidiano percettivo di cui si nutre il soggetto della società global-spettacolarizzata.
Comunicato stampa
Oltre il sublime.
Stando a Lyotard, compito dell'artista postmoderno era ” inventare allusioni al concepibile che non può essere rappresentato”, riprendendo in fondo ciò che Kant aveva articolato come dissidio/accordo delle facoltà (ragione e immaginazione) all'opera nel sublime matematico e dinamico.
Lo sviluppo dell'arte digitale ha ribaltato, in appena vent'anni, la primazia che assegnava al concepibile il ruolo di primo corno del dilemma circa la sua impossibilità rappresentativa, affidandolo invece al rappresentabile. In una sorta di inversione di sublimità, oggi che l'immaginario sintetico del computer può creare mondi virtuali, senza bisogno di appuntarsi su referenti 'naturali', tutto è rappresentabile senza per questo essere necessariamente concepito.
Se la modernità in pittura, ha significato il tentativo di adeguarsi al suo concetto puro destinalmente indirizzato verso l'astrazione, attualmente il nuovo avvento del sublime che balugina dalle possibilità 'pittoriche' computazionali esplora all'infinito il simulacro figurativo del reale, fondendolo con la s-figurazione del suo opposto oggettivo numerico/ideale ( gli algoritmi alla base dei programmi di sequenze di immagini) in una sorta di esaltazione visiva inquietante del senza fondo della grandezza e potenza di calcolo.
Senza più la natura a fargli da sfondo, questo 'post-moderno' sublime matematico ibrida sensibilmente tutti i possibili parametri astratto/figurativi dello spazio, presentandosi topologicamente come un Über-Raum, un oltrespazio dell'immaginario.
Scopo di questo progetto è di render conto dei percorsi e delle direzioni che la ricerca 'pittorica' digitale odierna sta tentando, in vista della ridefinizione del sublime dopo che lo sbilanciamento immaginario è divenuto ormai il pane quotidiano percettivo di cui si nutre il soggetto della società global-spettacolarizzata.
All’interno di questo contesto, in cui il sensibile, all’opposto di quanto pensava Kant, ‘umilia’ la ragione perché carica le immagini di connotazioni simboliche inusitate, dove in gioco non vi è più solo la contemplazione ‘disinteressata’ del mondo ma la necessità sociale stessa dell’arte, la sublimità oggi percorre le strade secolarizzate del gusto polarizzando nell’oscillazione della forma gli elementi conoscitivi e pratici che hanno costituito da sempre l’orizzonte invalicabile del puro estetico.
Per esemplificare questi tragitti, che rimettono in gioco talvolta anche il rapporto tra arte e scienza,
si è fatto riferimento ai lavori di Joseph Nechvatal, Pascal Dombis, Jean-Claude Meynard , Titus Hora e Johannes Deutsch. Questi artisti esprimono bene il diapason di possibilità offerto dalle nuove tecnologie (utilizzo di virus informatici per contaminare 'biologicamenti' le textures immaginali in Nechvatal; la definizione ologrammatica tridimensionale dei costrutti figurativo-semantici in Dombis; il ricorso alla geometria dei frattali per le costruzioni a scala polivalente di Meynard; la ricerca random per gli universi 'impossibili' di Hora, l’intreccio sinestetico di reale e virtuale nelle Gesamtkunstwerke di Deutsch).
Come contraltare dialettico a queste opere, si è tenuto conto invece della declinazione 'minimalista' del sublime perseguita da un gruppo di artisti che giocano la loro partita con mezzi apparentemente 'tradizionali' e, rispetto alla discrasia delle facoltà, dal suo versante temporale. È quello che potremmo chiamare, con Schiller, il lato 'contemplativo' del sublime.
Anche in questa variante, l'immaginazione mantiene però un ruolo guida perché contribuisce a caricare di tensione o a sbilanciare verso l'incoerenza il contenuto concepibile dell'immagine in sé conchiuso e riconoscibile. In realtà, anche per questi artisti, l'elemento referenziale (naturale o storico) è un simulacro, essendo estrapolato da fotografie, per lo più digitali, quindi copie che modellizzano il reale e in un certo senso lo svuotano della sua perspicuità di presenza.
Verranno presentati i lavori di Piero Toresella, Serse, Marcel Meyer, Alessio Delfino, Sergej Glinkov.
Similmente, a quanto espresso dai loro colleghi 'informatici', gli oli con sfasatura temporale di immagini estrapolate da cataloghi o foto di Toresella, le 'cristallizzate' visioni naturali a grafite di Serse, i video di paesaggi a diverso 'respiro' di Meyer, gli allotropi corporali e retorici ottenuti da fusioni di immagini di Delfino e le architetture ‘turneriane’ costruite con la pura sintassi pittorica di Glinkov, , ci offrono indizi che un nuovo salvifico dissidio sublime è sul punto di manifestarsi. Questa impresa ne è la tacita testimonianza.
OLTRE IL SUBLIME
Artisti
di Maria Campitelli
La mostra si fonda sul ribaltamento del “concepibile non rappresentabile”, di estrazione lyotardiana, mettendo in primo piano la rappresentabilità a sfavore del concepibile. Un rovesciamento conseguente all’inarrestabile processo tecnologico, all’arte digitale che sforna un’immaginario virtuale potenzialmente illimitato - sulla base di una potenzialità di calcolo altrettanto illimitata – senza la necessità di un referente naturale. Un immaginario che corre più veloce del pensiero. La rappresentatività sintetico/immateriale sorpassa dunque quella del mondo reale, trasferendo il sublime kantiano - nelle sue scansioni matematico/dinamica - nel quadro dell’immaginario artificiale, numerico/algoritmico. Un mondo “altro” che viene indagato da artisti spesso provenienti dalla sfera post-concettuale e che superando il limite imposto dall’obbligatorietà dell’astrazione come fine ultimo della pittura, in accezione post-moderna, navigano in ambiti di costante trasformazione, alterazione – “de-figurazione” appunto - di simulacri originati dal reale.
La declinazione testimoniale di un tale assunto si snoda in questa mostra secondo due filoni espressivi, quello che si fonda prevalentemente sulle innovative potenzialità tecnologiche, che parla con il linguaggio computazionale, ma commisto ad altre mediazioni linguistiche, e quello che segue sentieri più tradizionali, anche di fattualità manuale, pur nella preminenza di sottili tensioni concettuali e di ricerca.
L’americano Joseph Nechvatal è forse uno degli artisti più significativi ed inquietanti del primo circuito. Fondendo tecnologia, creatività estetica, scrittura teorica, filosofia si è proposto di alterare, attraverso l’immagine digitale, la percezioni che abbiamo del mondo, scombinando le nozioni convenzionali di spazio, tempo, genere ed ha sviluppato il concetto di “viractualism”. Cioè una realtà virtuale immersiva dove, usando virus computerizzati creati ad hoc, tenta di interfacciare il biologico col virtuale. Come dire, un tentativo di portare la vita, con le sue caratteristiche di crescita e trasformazione, nell’algido pianeta computazionale. La materia muovendosi si autogenera, Nechvatal così elabora una nuova visione di conoscenza che traduce visivamente le scoperte della”nuova scienza”.
Pascal Dombis invece, espertissimo conoscitore della metodologia computazionale, parte dalla elaborazione dei programmi che gli servono per creare le sue opere per cui queste si formano dal linguaggio stesso del computer. La sua è una continua esplorazione delle tecniche linguistiche di svariati computer, innestandovi degli errori di programmazione che in qualche modo gli si rivoltano in positivo, divenendo nuovi campi esplorativi per le sue Iperstrutture geometriche. Che maturano in sovrapposizioni immaginifiche e scritturali, (“Dio è morto”), strati diversi d’informazione che riflettono la complessità e la simultaneità dell’esistente..
La geometria frattale è il fondamento del percorso destrutturante di Jean-Claude Meynard. Produce una nuova percezione di spazio, intesa come espansione, proliferazione. Nel famoso “Manifesto frattalista” l’artista sottolinea la sua volontà di rappresentazione multipla del reale, infinitamente ripetuta su scala diversa, un sorta di “clonazione” che si fa rappresentazione dell’infinito. Chi sale la scala frattale si muove nella complessità. La seducente immagine speculare di questa mostra ,“ondes miroir”, introduce non solo in una nuova dimensione spaziale, ma suscita pure nuove emozioni.
Il lavoro di Titus Hora è costituito da una continua esplorazione di immagini di sintesi, un assemblaggio di elementi casuali, connotato da un deciso taglio strutturante, per una diversa definizione ambientale. Afferma l’artista di iniziare dall’ipotesi che lo spinge alla sperimentazione random e conseguentemente alla generazione dell’ambiente, e alla registrazione delle sensazioni in esso trovate. Ne risulta in ogni caso un luogo sconnesso e perturbante, all’apparenza catastrofico.
Johannes Deutsch è partito dall’idea di dipingere con il computer. Di seguito la virtualità è diventata dominante, senza azzerare l’originario istintuale impulso pittorico, con l’intento di ottenere dalla potenzialità tecnologica quella sinestesia linguistica e sensoriale auspicata già dalle avanguardie storiche nell’obiettivo della Gesamtkunstwerk. Con il coinvolgimento interattivo di pubblico e interpreti, in un’accezione mobile e trasformistica dell’opera d’arte. E che raccoglie, come in “Vision.Mahler” in “Manfred” - le poderose opere che visualizzano straordinari poemi sinfonici - immagine , suono, parola, drammaturgia in un unicum estetico. Ed in un questa immaterialità pervasiva il reale persiste, come eco, evocazione, memoria, tratto da simulacri catturati meccanicamente.
Sul versante decisamente pittorico, troviamo Sergej Glinkov, La sua pittura sfatta, imbevuta di luce e di una grande cultura storica, di primo acchito fa pensare a Turner o a Monet. In realtà è un’approfondita analisi, in un’ottica attuale anche a livello scientifico, sul fenomeno luce nei suoi vari gradienti fisici, che diviene così solidamente strutturata da disgregare la materia, da investirla come un onda corrente, risucchiando gli elementi in cui si scontra. Le fotografie di riferimento appaiono come ancoraggi necessari affinchè l’immagine non si sciolga del tutto, investita dall’irruenza pittorica impregnata di una luce divenuta solida.
Piero Toresella impiega nella sua pittura immagini storiche, di estrazione manierista. È una coesistenza di passato e presente che azzera la dimensione diacronica. Si rifà a Lyotard, al concetto di rappresentazione di ciò che non può essere rappresentato, estendendo il campo dall’arte astratta, cui Lyotard si riferiva nello snodo della non rappresentabilità, a quello della figurazione, frequentato da Toresella. Nell’ambito del sublime, sostiene Toresella, la figura perde concretezza fino a svuotare il proprio contenuto rappresentativo.
La fotografia c’è anche in Serse. Una costante ineludibile per costruire immagini sublimi oltre il tempo. Un’analisi lenticolare del dettaglio, sia esso pozze o gorghi d’acqua, ghiacciai svettanti, marosi scossi dal vento. La perfezione in bianco/nero è ottenuta a grafite che trattiene i bagliori argentei del diamante, che da essa scaturirà. S’è parlato di metafora della grafite in quanto contiene in nuce, in una fase originaria, la potenziale brillantezza del diamante, equivalente allo splendore dell’epifania artistica.
In “Reves” di Alessio Delfino più corpi femminili danzanti si fondono in un’unica immagine, visualizzando, nella composizione, i processi mentali di spostamento e condensazione che presiedono la genesi del sogno. In sostanza una metafora del sogno e non, come al primo momento potrebbe sembrare, una ripresa delle ricerche cubo-futuriste dell’immagine in movimento identificabili soprattutto nel duchampiano “Nudo che discende le scale”. Una composizione di scatti autonomi scelti per definire una nuova immagine dove i corpi sembrano sbocciare come fiori e tra cui scorre, in un’inedita sublimazione, la labile dimensione del sogno.
Marcel Meyer lega il proprio nome alla straordinaria serie di immagini fotografiche denominata “My favourite childhood Nightmares”, dove si materializza, negli umidi paesaggi dalla strana luce serotina, un brivido sottile di inquieta sospensione. Come nell’attesa di una catastrofe naturale o di un’omicidio. Gli incubi ripercorsi dell’infanzia appunto, evocati dalla costante presenza di un bimbo sperduto nell’immensità naturale. I recenti “cinemagraphs”, ossia la combinazione di immagini statiche con uno o più elementi che all’interno di esse si muovono, aumentano, se possibile, la sensazione di straniamento, come l’altalena nel prato desolato sullo sfondo del bosco di tenebra. Un rinnovato sublime contemplativo, a metà strada tra bellezza e terrore.
Artisti: Alessio Delfino, Johannes Deutsch, Pascal Dombis, Sergej Glinkov, Titus Hora, Marcel Meyer, Jean-Claude Meynard, Joseph Nechvatal, Serse, Piero Toresella.
Ideazione: GianCarlo Pagliasso
a cura di : Maria Campitelli, GianCarlo Pagliasso
Coordinamento logistico: Gruppo 78, Trieste
Coordinamento operativo: Claudio Bottello Contemporary Art