Oltremare
L’oltremare è un pigmento di colore blu che originariamente si otteneva dalla complessa lavorazione dei lapislazzuli, una pietra semipreziosa. Usato fin dall’epoca egizia, poi dal VI-VII secolo nei dipinti dei templi afgani, e più tardi nell’arte cinese e in quella indiana, è stato utilizzato nell’arte italiana a partire dal Medioevo.
Comunicato stampa
L’oltremare è un pigmento di colore blu che originariamente si otteneva dalla complessa lavorazione dei lapislazzuli, una pietra semipreziosa. Usato fin dall’epoca egizia, poi dal VI-VII secolo nei dipinti dei templi afgani, e più tardi nell’arte cinese e in quella indiana, è stato utilizzato nell’arte italiana a partire dal Medioevo. Nel secolo XV il pittore Cennino Cennini ne esaltava le qualità: “Azzurro oltramarino si è un colore nobile, bello, perfettissimo oltre a tutti i colori; del quale non se potrebbe né dire né fare quello che non ne sia più. “
Il termine deriva dal suo luogo d’origine, l’Oriente. Attraverso i porti della Siria, della Palestina e dell’Egitto, il pigmento arrivava in Europa dove quei territori erano chiamati, appunto, “oltremare”. Tra i colori più preziosi della pittura italiana, l’oltremare era usato negli affreschi solamente a “secco” come avviene, per esempio, nella Cappella degli Scrovegni dipinta da Giotto a Padova. Dal 1828 l’oltremare iniziò a essere prodotto artificialmente.
Dalla fine degli anni ’70 la parola “oltremare” entra anche in molti titoli di opere di Giovanni Anselmo, con allusione sia al colore blu utilizzato che alla sua valenza geografica e immaginativa. Un’opera come Mentre oltremare verso mezzanotte appare (1979-2012) consiste, per esempio, nell’applicazione di pittura oltremare direttamente sul muro a formare un rettangolo. Come ha dichiarato lo stesso Anselmo: “…lo stimolo che può offrire non è solo visivo, ma anche mentale, ti indica un luogo al di là delle pareti della gallerie verso cui si muovono insieme le opere e lo spettatore. È comunque un luogo che c’è, perché ovunque tu vada, sempre esiste un oltremare più in là".
Questa doppia matrice, fisica e mentale, tangibile e immaginaria, che è insita nel termine “oltremare” è alla base di questa mostra, che riunisce dieci artisti di generazioni e provenienze geografiche diverse. La natura, il paesaggio, il nostro modo di esperirlo, rappresentarlo e immaginarlo è il punto di partenza per una riflessione sul rapporto tra individuo e ambiente, sulle possibilità e i limiti della percezione e dell’immaginazione, sulla dialettica tra esperienza diretta e rappresentazione. Le profonde trasformazioni che la stessa idea di natura e il modo con cui la guardiamo hanno subito negli ultimi decenni, è la materia su cui si misurano i confini e i caratteri della nostra identità e le differenze tra le posizioni degli artisti in mostra.
Altro elemento comune a questi artisti è l’adozione di un linguaggio di stampo minimale. Che usino disegno, scultura, istallazione o fotografia, questi riducono all’essenziale il loro vocabolario attraverso un rapporto il più possibile diretto con i materiali, e una serie di gesti di estremo rigore linguistico e semplicità formale. La maggior parte delle opere in mostra, una combinazione di nuove produzioni e opere già esistenti, sono impressioni, prelievi, spostamenti e accostamenti di materiali, oggetti e immagini.
Questo atteggiamento sintetico, che mira a un linguaggio per lo più astratto e aniconico, non ha però nulla del minimalismo tradizionalmente inteso. Dietro le superfici, intorno ai materiali e le forme, apparentemente mute e prive di immagini, che compongono questa mostra si aprono una molteplicità di questioni e di possibilità narrative, sentimentali e rappresentative. Oltre il mare c’è sempre qualcos’altro.
Alessandro Agudio (Nato a Milano nel 1982, dove vive e lavora)
Il suo lavoro è un’indagine sui confini tra oggetto funzionale e opera d’arte, attraverso un dialogo con i linguaggi della moda e del design. Le sue forme sembrano definire un mondo popolato da oggetti e forme dalla qualità ibrida e metamorfica, al limite tra naturale e artificiale.
Giovanni Anselmo (Nato a Borgofranco d'Ivrea nel 1934. Vive e lavora a Torino)
Presenta due lavori strettamente legati tra loro: un’opera della serie “direzione” (iniziata nel 1967) e un monocromo di pittura oltremare. Il loro rapporto suggerisce l’esistenza di un paesaggio naturale e di un percorso mentale.
Massimo Bartolini (Nato a Cecina nel 1962, dove vive e lavora)
I lavori presentati in mostra sono costruiti su un rapporto e una combinazione tra elementi naturali e manufatti dell’uomo. Brass (2012) è un grande ramo privo di foglie cui è legato uno strumento musicale (un trombone) in una forma unica e indivisibile. Rugiada (2008) è tra i primissimi esempi di questa serie di opere. La superficie metallica dipinta con una vernice iridescente è coperta da gocce di rugiada artificiali, come quelle usate per simulare l’effetto “bagnato” in produzioni cinematografiche e pubblicitarie.
Daniel Gustav Cramer (Nato a Düsseldorf nel 1975. Vive e lavora a Berlino)
Attraverso elementi diversi come fotografie, libri, pagine di libri incorniciati, elementi scultorei astratti, Cramer suggerisce qui, come in altri casi, una micro-narrazione dal carattere aperto e sospeso, che allude al nostro rapporto con la natura, con le possibilità e i limiti della sua rappresentazione.
Jason Dodge (Nato a Newton, USA, nel 1969. Vive e lavora a Berlino)
Due coppie di lampadine, istallate a muro, una di fronte all’altro, alludono agli occhi di due cani che si fronteggiano. Come spesso avviene nel lavoro di Dodge, oggetti di uso quotidiano sono presentati nella loro estrema crudezza per caricarsi di valenze narrative, relazionali e sentimentali.
Hreinn Friðfinnsson (Nato a Baer Dalir, Islanda, nel 1943. Vive e lavora ad Amsterdam)
Una nuova opera della serie For Light, Shadow and Dust (1994), prodotta appositamente per la mostra, consiste in undici mensole applicate a muro come una scultura di matrice minimale. L’oggetto è stato coperto di uno strato di foglia d’oro così da eliminarne la valenza funzionale e, allo stesso tempo, creare un riflesso, un riverbero luminoso nello spazio circostante.
Beatrice Marchi (Nata a Gallarate nel 1986. Vive e lavora a Milano)
Com’è evidente nei lavori presentati in mostra, l’opera di Marchi si concentra sulla questione dell’identità (in particolare femminile) e della sua rappresentazione, attraverso un dialogo tra natura e artificio, tra paesaggio naturale e paesaggio interiore.
Helen Mirra (Nata a Rochester, USA, nel 1970. Vive e lavora a Boston)
Le opere qui presentate appartengono a due serie diverse. Pine cord (2008) è una scultura che consiste nella sovrapposizione di una pigna tagliata a metà su un indumento appartenente alla stessa artista. I Field recordings (2010) sono impronte di rami che l’artista ha lasciato con l’inchiostro su tele di lino. Come avviene sempre più spesso nella sua pratica, queste opere di Mirra sono realizzate durante lunghe camminate ed esplorazioni in montagna, in una relazione diretta ed esperienziale con la natura e il paesaggio.
Elodie Seguin (Nata a Parigi nel 1984, dove vive e lavora)
Nel suo lavoro il linguaggio di matrice “minimal” assume un carattere aperto, un’apparente precarietà che risponde all’uso di materiali anche fragili e alle condizioni date del luogo e del contesto in cui si trova ad operare. Per questa mostra Seguin ha concepito due interventi che dialogano con lo spazio architettonico della galleria e le possibilità fisiche e percettive dello spettatore nel relazionarsi ad esse.
Ettore Spalletti (Nato a Cappelle sul Tavo, Pescara, nel 1940, dove vive e lavora)
L’istallazione site-specific e permanente che occupa una stanza della galleria è stata integrata nel percorso della mostra, come un momento di sospensione delle normali capacità percettive. Provocando un’immersione in uno spazio fisico e mentale “altro”, questa installazione entra in risonanza e in dialogo con l’oltremare di Giovanni Anselmo che occupa un altro spazio della galleria.