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La vetrina di Franz Paludetto a Roma inaugura la stagione 2014 con una mostra che è una estensione della grande mostra “Equinozio d’Autunno” inaugurata lo scorso 22 settembre negli spazi del Castello di Rivara.
Comunicato stampa
La vetrina di Franz Paludetto a Roma inaugura la stagione 2014 con una mostra che è una estensione della grande mostra “Equinozio d'Autunno” inaugurata lo scorso 22 settembre negli spazi del Castello di Rivara.
Un primo appuntamento dedicato ai più giovani tra i tanti coinvolti nel progetto, al quale per tutto il 2014 seguirà un ciclo di mostre centrate sulla pittura tedesca contemporanea, una serie di mostre personali di autori attivi sulla scena internazionale che nel tempo hanno avuto una particolare relazione con l'Italia e in particolare con Franz Paludetto e il Castello di Rivara, come confermato recentemente dalla grande personale tenuta da Peter Schmersal nelle Scuderie del Castello.
Nell'ambito di “Equinozio d'Autunno”, Elvio Chiricozzi, Oreste Casalini, Davide Dormino, Mustafa Sabbagh, Daniela Perego, Adriano Campisi, Nicus Lucà e Alessandro Giorgi, hanno realizzato delle installazioni specifiche, pensate e realizzate appositamente durante un periodo di residenza nel Castello di Rivara nell'estate del 2013.
Sveva Angeletti e Leonardo Aquilino hanno condiviso questo progetto realizzando un loro personale lavoro di documentazione fotografica che è poi diventato parte della mostra inaugurata a settembre. Due installazioni realizzate nelle sale del Castello Medievale, che invitavano non solo a leggere il racconto del vissuto nella sequenza delle immagini, ma, per entrare in contatto, per riuscire a vedere le fotografie, chiedevano un gesto, una posizione eccentrica, una azione volontaria di lento svelamento.
Le opere in mostra oggi sono un'ulteriore sviluppo del percorso iniziato a Rivara, nella vetrina romana di Franz Paludetto i due giovani autori hanno deciso di aprire due finestre simmetriche, una di fronte l'altra, ma da una parte Leonardo Aquilino espone una fotografia, un unico scatto stampato in un formato medio grande, di fronte Sveva Angeletti espone un video proiettato in un monitor delle stesse dimensioni.
Una relazione quindi, per raccontare ancora il senso di una esperienza. Da una parte una singola immagine, un ritratto dove il corpo è assente ma il vissuto si respira in ogni dettaglio, una immagine della passione. Dall'altra, una immagine in movimento, un corpo come rappresentazione di uno stato d'animo, immagine della compassione.
Leonardo Aquilino (Foggia, 1989)
Usa la fotografia per fermare un istante, un momento di un processo. Per lui la fotografia è un documento, il risultato di una indagine, il momento magico quando qualcosa avviene. Come un osservatore di ornitorinchi Leonardo osserva la realtà, l'arte, gli artisti, cercando quel momento, l'attimo capace di intrecciare l'evento e la visione di chi guarda. L'occhio del fotografo è parte del processo, la fotografia può essere opera finita, singola vibrazione autonoma, o parte di una installazione più complessa, una immagine che non si consumi in un istante ma sia scoperta lentamente, attivamente.
L'immagine in mostra apparentemente è semplice, una stanza vuota, abitata da poco, un momento di luce al mattino, lo sguardo gettato oltre la porta vagando assonnati tra le stanze.
Non c'è Franz, non c'è il Castello, ma c'è tutto il racconto della vita nomade, della precarietà, dell'essenzialità ascetica, del voto fatto, il riposo che non chiede altro che ricominciare, il perenne essere tutto sempre uguale e sempre in movimento.
In questa immagine il Castello di Rivara è metafora dell'arte vissuta come esperienza autentica, l'assenza di Franz è il suo vagare per le sale la mattina inseguendo una visione a mente fresca, la sua idea di grandezza ribaltata nel suo quotidiano francescano, nella noncuranza al limite dello snobismo.
Leonardo Aquilino - “La stanza di Franz” - 2013
Sveva Angeletti (Rieti, 1991)
Una fotografia centrata su un punto di vista naturale, sulla posizione dell'occhio, sul desiderio di condividere una esperienza vissuta. Le sue immagini nascono sempre da una partecipazione diretta, come riflesso di uno sguardo interiore, un contatto ravvicinato, un punto di vista che coinvolge l'esperienza di chi guarda.
In questo lavoro protagonista è la pelle, la dimensione sensoriale, si intitola “ritratto” per sottolineare questo legame con una possibile visione, ma non c'è nulla del ritratto convenzionale, non descrive una persona, la pelle e il suo vibrare nella luce sono uno svelamento, una esperienza da condividere, un punto di vista, mentre la tecnica, il linguaggio sono un nascondimento, una convenzione, un mezzo da dominare per restituire la fragranza dell'esperienza diretta.
Sveva ci dice che la bellezza non è un solo momento, pura forma, ma un processo di ricerca che è sempre legame, condivisione. Il suo sguardo è un flusso che diventa ritratto lentamente, nell'emozione che riesce a ricreare, nel punto di vista che ci invita a cercare.
In questo lavoro la luce modifica le pieghe della pelle, aggiunge una dimensione temporale ad una fotografia formalmente perfetta trasformandola in video, ma qui non si tratta di racconto, di montaggio, tutto è solo movimento, vibrazione, il video e il corpo sono una sola cosa, il respiro e la luce si intrecciano, il corpo non è qualcuno ma pura presenza, immagine di una utopia di tensioni astratte che è desiderio di verità, di comunicazione a pelle, senza mediazioni.
Sveva Angeletti - “First portrait” - 2013