Orlando
Orlando non è una mostra e certamente non è un insieme di eventi, pur essendo, questi, parte del progetto che da alcuni mesi, assieme a molte persone, sto portando avanti. Preferisco definirlo un format che si estende sul territorio siciliano e che si svolge presso la Fondazione Brodbeck, il Museo Lucio Piccolo di Ficarra e altre realtà di progetto come l’A (Palermo), BOCS (Catania), C.O.C.A. (Modica).
Comunicato stampa
Nel limite dove l'azzurro volge l'argento vi è uno spazio interiore, virtuale, che disegna la storia dell'isola in mezzo al Mediterraneo. È uno spazio costruito di cose che restano, storie, suggestioni ed immagini, soprattutto.
La Sicilia è il luogo dove la storia ha assunto caratteri multiformi che spesso hanno trovato identità differenti rispetto la loro origine.
Orlando non è una mostra e certamente non è un insieme di eventi, pur essendo, questi, parte del progetto che da alcuni mesi, assieme a molte persone, sto portando avanti. Preferisco definirlo un format che si estende sul territorio siciliano e che si svolge presso la Fondazione Brodbeck, il Museo Lucio Piccolo di Ficarra e altre realtà di progetto come l'A (Palermo), BOCS (Catania), C.O.C.A. (Modica).
Orlando vuole parlare dell'Isola attraverso un evento che si nutre tanto della rete quanto della realtà, coinvolgendo artisti che si confrontano non solo con l'attualità e la tradizione ma anche con l'immaginario collettivo che la Sicilia riveste nel mondo.
Orlando vuol dare corpo ad un ipertesto ambiguo nel quale il Mediterraneo è traslato attraverso la sua derivazione latina, e dove le suggestioni della storia o le sue raffigurazioni classiche si scontrano con immagini stereotipate. Anche il titolo, che prende il nome dall'antico paladino protagonista della Chanson de Roland, nella storia ha mutato spesso la sua valenza. Utilizzato in maniera “alta” da poeti quali Boiardo e Ariosto, la tradizione lo ha “cambiato”, forse “abbassato” e “storpiato”, facendolo diventare il condottiero un po' sgangherato del Teatro dei Pupi. Queste marionette, tanto preziose e di meticolosa fattura, appaiono – e quasi estremizzano – quel portamento dinoccolato e vanaglorioso, che già fu del Don Chichotte di Cervantes, pazzo e sognatore di un passato che non ritorna.
Oggi i pupi fanno parte dell'immaginario collettivo, stranamente rustico e popolare, che la Sicilia ha nel mondo intero. Quasi a sottolineare come le immagini siano “scatole” che cambiano in continuazione il loro contenuto, e dunque il loro significato.
La mole di suggestioni fluide a cui potevamo attingere ci ha portato a dare vita ad una raccolta tematica di immagini sul sito internet dedicato all'evento (www.orl4ndo.com): diversi artisti, anche non presenti nella mostra di Catania, hanno proposto una rilettura della tradizione mediterranea, declinata con un enorme ventaglio di punti di vista, che sta alla base delle tematiche di Orlando.
La mostra alla Fondazione Brodbeck vuole essere in qualche misura la parte più empirica di questo percorso. I lavori di David Douard, Yannic Joray, George Henry Longly, Emanuele Marcuccio, Christoph Meier, Katja Noviskova, Andrea Romano sono messi in dialogo negli spazi catanesi; l'archeologia industriale del “fortino” è posta in discussione, infatti, con opere che prendono spunto dall'idea di tradizione ma la remixano in un'estetica fluida, e dove gli elementi visivi sono posti vicino ad oggetti della contemporaneità. Emerge una visione trasversale della cultura siciliana (e dell'estetica in generale), in cui il tempo, inteso in senso cronologico, è alterato, e la storia stessa è presa nella sua integralità, senza più distinzione tra il concetto di “precedente”, “contemporaneo” e “futuribile”. Se, dunque, l'idea di “continuità temporale” delle epoche, o la Storia come dialettica di eventi è in qualche misura figlia dell'Idealismo, la lettura che Orlando propone è dominata da una visione decisamente materialistica: molte opere sono veri e propri oggetti riproposti, magari riletti con materiali della tradizione (come il marmo o la ceramica classica siciliana), ma il senso stesso di opera d'arte è compromesso con la banale realtà, essendo la realtà stessa discutibile, ed in questo senso “virtuale”. Questo neo-materialismo, già teorizzato da filosofi come De Landa, Silvio Ceccato o Brice DeWitt (in campo fisico), è l'alveo naturale in cui sviluppare l'idea di “database”.
Il progetto di Orlando, contemporaneamente reale e virtuale, estremizzando l'idea di “contenitore”, se fosse possibile da visualizzare in un solo momento – per esempio un colpo d'occhio - non sarebbe un collage disposto su un piano, ma una sequenza infinitamente veloce e successiva di miliardi d'immagini, che una dopo l'altra scorrono in un tempo piccolissimo, magari infinitesimale. La rete, quindi, in un contesto estetico ormai globalizzato, simula questa situazione e diventa una banca dati assolutamente sparsa, inesatta e caotica nella quale il senso comune prende forma.
Il ritratto della Sicilia è volutamente sbagliato, o meglio, generalizzato, massificato: un compendio estetico divergente. Una rappresentazione di Antropologia Radicale che potremo accomunare alle nuove pratiche di Gonzo-antropology o di "aquired tastes", nelle quali il folklore, l'immaginario collettivo, la cultura digitale, così come elaborazioni di particolarità siciliane, si fondono in maniera subliminale.
Luca Francesconi
Il progetto di Yannic Joray è sostenuto da Pro Helvetia, Fondazione svizzera per la cultura.