Ottone Rosai – L’assillo della verità
Trenta disegni, tra il 1920 e il 1955, per un’esauriente rivisitazione del magistero grafico rosaiano: ritratti, paesaggi e studi di uno dei più grandi protagonisti del Novecento.
Comunicato stampa
La ragione di un mostra
Rosai aveva scelto Castiglion Fiorentino come mèta domenicale per una gita di amici. Così, un
giorno d’autunno del 1954, egli aveva chiesto a Dino Caponi di accompagnarlo insieme a
Santini e Bertolini.
Si erano ritrovati tutti quanti, a mattino presto, per la colazione da Fontana. Da lì avevano
proseguito verso Pontassieve e il Valdarno nella macchina guidata da Caponi. Dopo Arezzo,
una discussione cominciata per un giudizio di Bertolini su Viani, ritenuto da Rosai avventato,
aveva assunto i soliti, accesi toni, tanto che nessuno, all’interno della vettura, si era accorto di
aver già superato il bivio sulla sinistra per Castiglion Fiorentino.
Poco oltre, ammirando dalla strada a fondovalle il borgo medievale sulla collina e credendo di
essere finalmente arrivati a destinazione, un cartello segnaletico li rese subito consapevoli
dell’errore. In questo modo Rosai scoprì Cortona, ma non ebbe più modo di vedere Castiglion
Fiorentino.
Questa mostra, presso la Fondazione Limoni & Livi “Ad Sidera” di Castiglion Fiorentino, intende
rappresentare quell’incontro che gli negò la sorte.
Un’esposizione davvero importante e significativa, ricca di straordinari inediti (Uomo
che nasconde il fiasco di vino sotto la giacca, 1926, Il mortaio, 1930, una sconosciuta versione
dell’Uomo in croce, 1943) e di alcuni celebri capolavori (Donnine al lavoro, 1923, La siesta,
1925, Il gobbo, 1926). Trenta disegni, tra il 1920 e il 1955, per un’esauriente rivisitazione
del magistero grafico rosaiano: ritratti, paesaggi e studi di uno dei più grandi
protagonisti del Novecento.
Scrive Giovanni Faccenda in catalogo: «Rosai è un segno. Unico, indelebile, profondamente
incisivo. Sul bianco della carta, diventa sigla inconfondibile di un uomo che non fa sconti ad
alcuno e, in particolare, a se stesso. Al solito, il nero della matita riesce ad addentrarsi fra le
ombre dell’anima con sconcertante disinvoltura, fino a raggiungere angoli remoti ove torride
inquietudini insistono arcane e immutabili. Riemerge, a un tratto, febbrile, per perpetuare su
fogli spesso consunti sentimenti che appartengono alla realtà degli uomini, con esiti toccanti,
che fanno addirittura pensare ai responsi di un illuminato veggente.
Rosai è il segno. Di un’umanità che esiste o, per meglio dire, resiste, in un’attesa analoga a
quella che è dato di percepire al cospetto di certi suoi interni ebbri di tabacco e solitudine, lì
dove egli ebbe a trovare fecondi pretesti espressivi, irrinunciabili motivi di scavo sepolti oltre
l’anonima apparenza di una gran varietà di individui.»