Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA CHRISTIAN STEIN
corso Monforte 23 20122 , Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Dal lunedì al venerdì: 10 – 19
Sabato: 10 – 13, 15 – 19

Vernissage
23/02/2023
Artisti
Mimmo Paladino
Generi
arte contemporanea, personale

Mimmo Paladino (Paduli, 1948) ritorna ad esporre alla Galleria Christina Stein di Milano.

Comunicato stampa

Mimmo Paladino (Paduli, 1948) ritorna ad esporre alla Galleria Christina Stein di Milano.
Sono trascorsi quattro anni dalla sua ultima personale in Corso Monforte. Tornano a farsi
ammirare le sue arcaiche composizioni che dialogano perfettamente con il modernismo
geometrico e del segno, con l’informe e il surreale, con i ritmi e i contrasti del Mezzogiorno
d’Italia, per un paesaggio fisico e mentale pieno di frammenti più che di immagini definite.
Quella di Paladino è infatti una complessa strategia costruttiva grazie alla quale l’artista
può condensare e riordinare simboli e figure di diversa origine ed estrazione senza
chiusure ideologiche, rispettando un senso di armonia e di bellezza remota, infondendo un
carattere ora lirico ora drammatico al lavoro, per un concerto polifonico di alti e bassi, di
cromie accese e neri profondi, spazi vuoti e luminosi, salti nel buio e nel negativo.
Paladino tende da sempre all’organizzazione perfettamente concertata di un flusso di
immagini e al recupero di una deriva di frammenti che resterebbero sepolti sotto la
superficie del presente. La sua arte sembra non dipendere dal tempo cronologico, quello
che separa il giorno e la notte e che viaggia in una sola direzione lasciandosi alle spalle il
passato, sotterrando sotto cumuli di rovine linguistiche l’origine cultuale e magica dell’arte.
Alle pareti vengono adesso presentate sei nuove opere, una delle quali di grandi
dimensioni (Treno, 2022), come un fregio orizzontale, popolato da figure nere, sagome
antropomorfe in posizione ieratica, quasi elementi di un coro tragico, attorniati da
frammenti di teste, elementi geometrici, brandelli di oggetti e forme ritagliate che ricordano
corpetti o gilet senza maniche. Le tre figure totemiche riposano su macchie simili a bitume,
squadrate come fossero basamenti di un altare. Come a voler ribadire la sua defezione
dalla mimesi, Paladino recupera in queste immagini di corpi, con le gambe praticamente
incollate tra loro, statue egizie chiamate choanon di carattere magico. Come scrive Jean-
Christophe Bailly: “Mentre il corpo immobile dello choanon veniva considerato in possesso
di un potere, incarnando in senso autentico il dio, la statua ‘somigliante’ dell’epoca
classica ha smesso di poter e soprattutto di voler essere un idolo”. Questo sta a significare
che queste figure immobili di Paladino sono come idola di una rituale di cui abbiamo perso
le tracce e il significato. Per uno strano gioco dell’immaginario più profondo, diremmo che
queste sagome umane si innalzano verticalmente da una posizione orizzontale, come
risorte da un sarcofago. In qualche modo questi corpi neri come legni fossili dialogano con
immagini neolitiche disegnate sulle pareti di una caverna, con guerrieri e divinità al centro
di un accampamento nomade o di una necropoli. Le sagome piatte di due sfere nere
servono all’artista per dare un ritmo spazio temporale alla composizione e formalmente
fanno da contraltare alle teste senza corpo. Fanno ordine e scandiscono la partitura
mettendo un freno alla diaspora di segni e figure.
Quella di Paladino non è pittura né bidimensionale né tridimensionale. Sul piano di
rappresentazione è abolita la prospettiva rinascimentale e gli elementi hanno identico valore, siano essi figurativi, astratti, simbolici o decorativi. Più che convincerci della realtà
aprono gli occhi sul mondo della reminiscenza e degli archetipi figurativi, sulla natura
geometrica del mondo, sul lato surreale ed eloquente del sogno. Tutte assieme e come
unità singole, le forme e le figure concorrono a far risorgere la memoria più remota, quella
delle origini della storia dell’arte, restituendo al linguaggio visivo la sua funzione magica e
sacrale. Come se l’arte fosse uno strumento in mano allo sciamano che cerca di mettere
in comunicazione tra loro il mondo dei vivi e quello dei morti, l’inconscio e
l’immaginazione, il piano antropologico e quello metafisico. Questo grande telero è risolto
con la povertà dei materiali e con una scelta radicale dei colori, che si fermano al nero, al
bianco, all’ ocra. Inutile cercare una narrazione esplicita, intellegibile con i mezzi della
razionalità. La pittura - ci dice Paladino - è uno strumento in dote all’essere umano dai
tempi preistorici, sorta tra le mani dei nostri progenitori caduti dagli alberi per salvarci
dall’angoscia e dalla disperazione di vivere senza riconoscere un dio o una ragione, per
esorcizzare il terrore della morte e del nulla, per parlare con i non vivi e con quelle
presenze, quelle ombre che ci visitano quando chiudiamo gli occhi davanti alla realtà e li
apriamo sul retro dello schermo. La storia dell’arte italiana viaggia anche su questo binario
cosparso di frammenti, sinopie, calchi polverosi e sculture lignee bruciate, squarci e crepe
millenarie, disiecta membra, rovine e splendore, luce e tenebra. E spesse volte, questo
binario, incrocia la perfetta geometria di un una sfera tangente, un piano monocromo, che
ha l’aspetto di una soglia o balaustra, in un paesaggio in cui il tempo si è arrestato e la
realtà sembra poter trascendere l’effimera natura dell’esistenza per ripresentarsi sotto
l’aspetto di una più duratura metafisica.
Altri cinque lavori arricchiscono la nuova personale di Paladino. Si tratta di tele che come
scrivevamo viaggiano sul doppio binario di arte metafisica e di immaginario arcaico. Lavori
costruiti con il rigore di un artista fedele al linguaggio astratto più ortodosso, che da Paolo
Uccello risale fino a Malevič. Tele che sembrano uscite da una catacomba o da una cripta
dove il tempo ha bruciato i colori, come in un affresco di Cimabue. Bande monocrome,
nere, rosse, giallo limone, blu mare, incorniciano ombre di figure umane, manichini. Due di
queste figure manichino sembrano salire un podio, con una postura di robot (Senza titolo,
2021). Sono quadri-teatrino anche questi come quelli di de Chirico o Carrà. E in questa
scena drammatica le figure di Paladino possono comunicare a modo loro con muse
inquietanti, o passare del tempo in conversazione con qualche divinità metafisica. In tre
casi la figura di origine antropomorfa sembra il residuo di un sacrificio (Dissolvenze, 2021).
Assume la sostanza figurale di una sindone, impronta di un corpo sovrano, di un dio uomo
che ha lasciato la sua traccia terrena prima di rinascere angelico. Come tracce di corpi arsi
sembrano giacere, disfarsi, polverizzarsi. Forse appartengono alla terra da milioni di anni,
così come all’inconscio, non fa differenza. Risorgono adesso per noi e compiono gesti di
natura simbolica, come per ricordarci un rituale sacro. E allora, se il quadro è ancora
spazio del sacro e la pittura ne è il suo linguaggio simbolico, la galleria può essere il
recinto di un rito collettivo che per una sorta di inversione e apertura ci indirizza verso
l’origine dell’arte, la sua intramontabile necessità e fondamentale funzione.
Gli esordi di Mimmo Paladino si collocano a ridosso delle avanguardie degli anni
Sessanta-Settanta, quando l’artista espone a Caserta, Firenze e Napoli. Da allora, ogni
sua opera è una stratificazione di immagini figurative e non figurative, decorative e
simboliche. Da anni la sua ricerca si snoda liberamente tra pittura e scultura, tra
installazione e scenografia, tra teatro e cinema inseguendo il sogno di un’arte totale e
popolare che ha caratterizzato l’avventura occidentale da Giotto in poi. Centrale è il rapporto che l’immagine stabilisce con lo spazio al di fuori della cornice del quadro, dalla
quale l’artista tante volte evade, inserendo forme tridimensionali e aggettanti, oppure
occupando il pavimento con elementi di bronzo o di legno. Così, a partire dal 1990,
Paladino si è cimentato con lo spazio pubblico, come in Piazza Plebiscito a Napoli, dove
ha costruito la celebre Montagna di sale, o a Firenze, dove ha realizzato l’imponente
Croce di marmo in piazza Santa Croce nel 2012. Nel corso degli ultimi decenni ha poi
sviluppato una speciale relazione con l’architettura e con la musica di cui riconosce i
fondamenti matematici, visto che anche la bellezza o l’armonia di un quadro o di una
singola immagine dipendono sempre da misure auree, da saldi rapporti geometrici. Il
'cavallo' di Paladino, ad esempio, nasce dalla geometria, tiene conto delle proporzioni: il
monumento viene costruito per blocchi e porzioni matematicamente commisurate tra loro.
L’opera in definitiva è costruita come una casa, e il cavallo in particolare è sculturaarchitettura,
come un ponte o un arco. Misure auree e rapporti archetipici organizzano la
disposizione dei segni sulla superficie o nello spazio in modo da caricare di energia
‘terrestre’ o ‘celeste’ ogni simbolo e ogni geroglifico, ogni archetipo figurale, anche quello
più astratto o più decorativo. Non parrà arbitrario allora parlare di pittura e di quadro
collegandosi al teatro, in particolare quello del Mediterraneo, luogo in cui musica,
architettura, poesia, si sono sempre intrecciate tra loro. E poi fare riferimento al recinto
sacro del villaggio e al cerchio magico dello sciamano, quello in cui la società trascende i
propri limiti umani per reincarnarsi nelle altre forme di vita, tra visibile e invisibile, naturale
e sovrannaturale. Partendo dalle avanguardie ma ‘ascoltando’ le origini, Paladino riesce a
ricomporre l’infranto, ciò che va alla deriva, quanto appartenuto alla grande tradizione
antica e arcaica dell’arte, anche utilizzando materiali e strumenti obsoleti, senza escludere
ideologicamente alcun ‘recupero’, alcuna ‘appropriazione’, alcun materiale o strumento
della tradizione, sia occidentale che extra-occidentale. Archeologia linguistica e
nomadismo culturale come risposta alle ideologie e alla globalizzazione che, in modo
diverso hanno scisso l’io dalle proprie origini e dalla propria intimità. Punto di riferimento, e
di svolta rispetto ai movimenti delle seconde avanguardie concettuali e minimali, è in tal
senso la soggettività, intesa come universo della sensibilità e dell’immaginazione. È il
momento in cui – come recita il titolo di un’opera del 1977 – l’artista si ritira solitario a
dipingere per integrare frammenti e lacerti, figure e simboli di oggi e di ieri (Giotto e
Matisse, Gauguin e Piero della Francesca), e per restituire tanto alla pittura quanto alla
scultura una potenza espressiva e di comunicazione illimitata e ciclica. In questo senso
l’arte (quadro o scultura o installazione) con Paladino torna ad avere una funzione mitica o
sacrale, cultuale e affabulatoria. Egli riunisce nel quadro o nella scultura un racconto –
epos – ininterrotto le cui fila – iconografiche – si sono tuttavia spezzate in epoca moderna.
Ogni opera di Paladino è come un punto di approdo della cultura mediterranea che a sua
volta è luogo di incontro di linguaggi provenienti dai lidi e dai porti più lontani nel tempo e
nello spazio. Ogni sua opera si può dire sia come uno specchio d’acqua, sulla cui
superficie mossa emergono i frammenti sepolti delle civiltà antiche e dei primordi, per poi
trascinarci nell’abisso del loro più originario significato.
In questi ultimi decenni grandi musei italiani e stranieri hanno organizzato mostre personali
di Mimmo Paladino (Museo Pecci di Prato, Cà Pesaro a Venezia, Capodimonte di Napoli,
Nuovo Museo di Montecarlo, Palazzo Reale di Milano, Lenbachhaus di Monaco,
Kunstmuseum di Basilea e poi Lyon, Londra, Los Angeles). Le sue opere sono presenti
nelle più importanti collezioni pubbliche e private. Paladino ha partecipato a diverse
edizioni della Biennale di Venezia, dove nel 1988 ha allestito una sala personale. Vanno
ricordate inoltre la grande retrospettiva al Forte Belvedere di Firenze (1993) e l’installazione ‘Montagna di sale’ in Piazza del Plebiscito a Napoli (1995). Del 1999 è
l'installazione dell'opera Dormienti alla Roundhouse di Londra con musiche di Brian Eno,
nel 2011 l’importante mostra al Palazzo Reale di Milano. Sue opere sono state esposte in
vari punti della città di Brescia e Arezzo in due diverse mostre personali tra il 2017 e il
2020. Mimmo Paladino è il primo artista contemporaneo italiano ad aver presentato le sue
opere in Cina in una mostra personale (Galleria Nazionale di Belle Arti di Pechino, 1994).
Attualmente l’artista vive e lavora tra Paduli (Benevento) e Roma.
Sergio Risaliti