Paola Pivi – We are the baby gang
Nella favolosa cornice dei fienili settecenteschi di Pra Sec, in Val Ferret, l’Associazione culturale Monte Bianco Montagna Sacra – fondata da Glorianda Cipolla nel 2014 come luogo di dialogo tra la dimensione spirituale dell’arte contemporanea e l’ambiente ascetico del Monte Bianco – celebra 10 anni di attività con la straordinaria personale “We are the baby gang” di Paola Pivi, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1999, a cura di Laura Cherubini.
Comunicato stampa
Nella favolosa cornice dei fienili settecenteschi di Pra Sec, in Val Ferret, l’Associazione culturale Monte Bianco Montagna Sacra – fondata da Glorianda Cipolla nel 2014 come luogo di dialogo tra la dimensione spirituale dell’arte contemporanea e l’ambiente ascetico del Monte Bianco – celebra 10 anni di attività con la straordinaria personale “We are the baby gang” di Paola Pivi, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1999, a cura di Laura Cherubini.
L’artista presenta due nuclei di opere differenti, allestiti nelle due baite lungo la Dora. Nella prima ci si trova circondati da più ruote di diversi colori, appese alle pareti e in constante movimento.
Sono le Time machine realizzate con ruote di bicicletta ornate da piume animali e di varia natura. L’opera si ispira ai Dreamcatcher della cultura dei nativi americani e rimanda a figurazioni ancestrali. È evidente qui la doppia natura della cifra stilistica di Paola Pivi, tra il giocoso e l’arcaico; i due aspetti si mescolano continuamente in un dinamismo rotatorio quasi ipnotico, tra lentezza e velocità.
Attraversando il tappeto erboso che fa da soglia tra una baita e l’altra si accede alla seconda, dove sono allestite 13 sculture coloratissime, raffiguranti cuccioli di orsi polari rivestiti di piume multicolori. Già proposti per la prima volta nel 2019 nella Galleria Perrotin di New York, costituiscono un’evoluzione della serie di sculture raffiguranti grandi orsi polari ricoperti di piume sgargianti, una delle opere più iconiche dell’artista a partire dal 2007. Attrazione e ossessione per il tema dell’orso, infatti, nascono da un incontro traumatizzante che l’artista ebbe con un grizzly nel 1996 e sono culminate nel 2006, quando Pivi decise di trasferirsi in Alaska, la terra dell’orso bianco, dove vive e lavora per molti mesi all’anno con la famiglia.
Paola Pivi (Milano, 1971) ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1999. Tra le ultime mostre personali It’s not my job, it’s your job (Mac, Marsiglia, 2023), I know who I am (The High Line, New York, 2022), I Want It All (The Andy Warhol Museum, Pittsburgh, 2022), Paola Pivi.
World Record (Maxxi, Roma, 2019).
PAOLA PIVI.
La malia delle ruote e le baby gang
“Lei non può immaginare l’allegria e la continua curiosità di quale sarà il prossimo pensiero guardandola, che suscita la sua ruota osservandola girare dalla mia scrivania” scrive Matteo Visconti di Modrone (proprietario della Fonderia Battaglia dove Paola Pivi ha realizzato la “sua” Statua della Libertà per la High Line di New York nel 2022). La definisce “ammaliante, perché più la si osserva ruotare e più la mente si apre ed arrivano subito nuove sensazioni e pensieri”. La ruota di bicicletta accompagnata da piume appare dunque come un generatore di pensiero.
Time machine (titolo della serie con le ruote) nasce da un invito per un omaggio a Marcel Duchamp. Paola pensa alla Ruota di bicicletta di Duchamp, non esattamente un ready made (“non ci sono ready made nel 1913”, la ruota è montata sullo sgabello quadrato, in una una sorta di quadratura del cerchio), più affine piuttosto a un mandala, che d’altra parte comparirà nel Grande Vetro, una formazione spirituale orientale di forma circolare affine per significato all’occidentale labirinto. Ambedue alludono alla ricerca del centro e del sé.
L’opera di Paola Pivi, la ruota di bicicletta con le piume che gira, è analoga anche a un Dreamcatcher, oggetto tipico della cultura degli indigeni americani che riporta a figurazioni ancestrali. È evidente qui la doppia natura dell’opera di Paola, da una parte oggetto comune che richiama lo spirito del gioco, dall’altra ancestrale figura. I due aspetti si mescolano continuamente nel movimento di rotazione. Oltre a questi aspetti le piume rimandano al tema degli animali e a quello del volo. Tantissimi elementi sono contenuti in questa semplicissima opera. Nell’antica settecentesca baita in Val Ferret ci si trova circondati da più ruote, con piume di diversi colori, in constante movimento che compiono da tre a sei giri al minuto. Sospendono il tempo tra lentezza e velocità.
È in questo stato ipnotico che attraversiamo il percorso naturale, il tappeto erboso che fa da soglia tra una baita e l’altra.
Nel 1996 Paola Pivi si mette in viaggio per vedere un essere per cui prova attrazione e ammirazione. In un certo senso si pone, volontariamente ma ingenuamente, in una situazione di pericolo che genererà una condizione di terrore. L’orso diventa per lei un’ossessione. Finché nel 2006 l’artista si trasferisce nella “terra degli orsi”: l’Alaska. Qui con una guida esperta entra in una riserva naturale sull’isola di Kodiak per poter vedere gli orsi in modo più intelligente per una seconda volta. Si aspettava di vederli dalla terrazza di una baita, si ritrova invece a strisciare e campeggiare tra gli orsi. Questo modo di entrare nel mondo degli animali della guida Harry Dodge è il più naturale e rispettoso possibile nei confronti dell’animale perché l’uomo nasconde la sua presenza. Non ne nasce quindi per Paola alcuna abitudine, ma resiste la potente ossessione. Anzi, in un certo senso la paura aumenta. Nella descrizione che ne fa Paola, l’orso è un animale grande “come una Cinquecento”, dispone di un’enorme potenza fisica. Nei confronti dell’orso infatti l’uomo si trova nella condizione di poter essere divorato. Ciononostante l’orso ha una fisionomia posturale simile a quella del corpo umano, può assumere anche la stazione eretta. L’orso infatti entra nell’immaginario collettivo anche attraverso fumetti, cartoni animati e giocattoli.
La prima idea per un lavoro sugli orsi nasce per l’artista con l’idea visiva di un grizzly e un orso polare bianco che ballano abbracciati e saltellanti. Rinuncia poi a questa idea perché non vuole che siano uccisi due animali o che l’opera sia realizzata con carcasse di orsi morti in modo naturale. A quel punto si impone la visione del grande orso polare coperto di piume colorate. La prima volta che viene presentato da Paola Pivi è nel 2007 in occasione della mostra Das Hamsterrad, curata da un altro artista, Franz West, alla Tesa della Nuovissima 105 all’Arsenale di Venezia. Queste opere di Paola sono molto amate dal pubblico. Sono state mostrate molte volte, dal Giappone al Canada, Perrotin nel 2013 ha voluto aprire la sua galleria a New York con questi lavori, in tutti i musei i custodi hanno trattenuto a stento le manifestazioni di curiosità e confidenza da parte del pubblico, che voleva toccare e abbracciare gli orsi. Quando sono stati esposti nella vetrina del grande magazzino storico italiano, LaRinascente, a Milano, i passanti si fermavano incantati a guardare. I grandi orsi di piume blandiscono la vista, stimolano il tatto. Hanno un body language accattivante.
Molte persone oggi negli orsi vedono l’emblema del riscaldamento del clima mondiale. Chi non ricorda la foto dell’orso bianco addormentato su un frammento di ghiaccio che vaga nelle acque? Gli orsi ci parlano della relazione con il pianeta, veicolano il problema della sofferenza della Terra.
Le scarpette di Tenzin sono alla porta di casa accanto alle calzature di Karma e Paola. Il pigiamino è più piccolo dei loro. Tutte le sue cose hanno una estetica diversa che pervade la casa. È l’arrivo di questo figlio che convince Paola Pivi a cambiare scala nel lavoro degli orsi.
Nascono così i piccoli orsi cuccioli coloratissimi, presentati ora nella seconda baita. Gli orsetti si presentano in settanta per la prima volta invadendo lo spazio della galleria Perrotin a New York con il titolo We are the baby gang nel 2019 e con lo stesso titolo all’Aria Hotel di Las Vegas nel 2021. Si arrampicano, dondolano, vanno in altalena. A The Andy Warhol Museum di Pittsburgh nel 2022 il titolo è I Want It All. Si divertono, l’aspetto ludico è forte. I titoli delle opere di Paola Pivi, come tanti piccoli Haiku, sono composti da Karma Culture Brothers.
L’intensità cromatica viene dai quattro anni che Paola ha passato in India con la sua famiglia, il paese dei colori, degli abiti Sari dai colori ricchissimi, squillanti e brillanti. Nel Festival indu Holi, migliaia di persone si gettano addosso pigmenti colorati fino a coprirsi interamente di colori. Gli orsetti sono sia teneri teddy bear, sia genietti dispettosi, mischievious.