Paolo Buzzi – Still White
Paolo Buzzi è arrivato al genere della natura morta (se così si può davvero chiamare quel suo modo di misurarsi in scultura col genere del fiore, ripreso, come un ready-made contemporaneo, nella sua essenza più reale e materiale, e “congelato” poi dentro a uno strato di glassa bianca che lo rende però eterno e universale.
Comunicato stampa
Nell’ultimo decennio anche la natura morta, è diventata il terreno di una nuova sfida, di un nuovo modo di porsi, ridefinendo e ripartendo da semplici e apparentemente innocui mazzi di fiori, da banali teorie di oggetti allineati e apparentemente dimenticati su un tavolo, o dentro una teca; proprio da lì, da quel “punto zero” dell’immagine scolpita o dipinta, molti artisti sono in questi anni ripartiti: proprio per la sua essenza non-ideologica, intimista e pacata, apparentemente innocua, borghese.
Un mazzo di fiori che sfiorisce può essere e il simbolo di una devastante vanitas contemporanea, così come un mestolo da cucina, una bottiglia, un soprammobile, un vecchio giocattolo da bambini, un paio di sandali, un arnese casalingo privato della sua funzione quotidiana sono la traccia vivente di una quotidianità in cui si mette in scena tutta la banalità, ma anche il fascino e la bellezza dell’intimità domestica.
Paolo Buzzi è arrivato al genere della natura morta (se così si può davvero chiamare quel suo modo di misurarsi in scultura col genere del fiore, ripreso, come un ready-made contemporaneo, nella sua essenza più reale e materiale, e “congelato” poi dentro a uno strato di glassa bianca che lo rende però eterno e universale, quasi riuscisse, in quel suo lattiginoso candore, a strappare dalla sua forma terrena solo l’essenza più profonda e più autentica, vi è arrivato, dicevamo, dopo un lungo e approfondito lavoro sul tema del paesaggio e dell’oggetto. Oggetto quotidiano, ready made di un tempo sospeso e di desideri antichi, speranze e dolori persi e ormai dimenticati: oggetto solitario che rappresenta le temps perdu di un’esistenza intera di cui oggi non riusciamo più a scorgere se non una piccola, solitaria metafora, come un fossile, un reperto, racchiuso dentro una scatola, una teca, o sospeso su di un piedestallo, come a formare un simbolico teatrino della memoria individuale che si fa, simbolicamente, anche memoria partecipata e collettiva.
La riappropriazione di un genere antico e poco amato dalle avanguardie come quello della natura morta ha dunque rappresentato prima di tutto una sfida: una sfida intellettuale ed etica da parte degli artisti, che hanno potuto dichiarare a chiare lettere che, a dispetto di ciò che i benpensanti dell’arte hanno sempre detto e pensato, anche con una semplice teoria di oggetti stesi su un tavolo, anche con un semplice mazzo di fiori si può dichiarare e affermare la propria visione del mondo.
da Nature morte, nature vive di Alessandro Riva
(catalogo della mostra NATURAL 2.0)