Parabasi
PARABASI è un progetto espositivo nato da una serie di conversazioni intorno alla possibilità di formulare nuove strategie formali sulla rappresentazione dell’opera d’arte.
Comunicato stampa
PARABASI è un progetto espositivo nato da una serie di conversazioni intorno alla possibilità di formulare nuove strategie formali sulla rappresentazione dell'opera d'arte. Lo stimolo originario è scaturito da parallelismi emersi tra pratiche investigative appartenenti alla produzione artistica passata e presente. In particolare, è stata presa in esame una certa produzione europea, per lo più meridionale, realizzatasi sotto il regime fascista e negli anni immediatamente successivi. Abbiamo poi proseguito lasciando che quest'ultima instaurasse una corrispondenza di tipo analogico con una certa produzione odierna, non allineata, che pur rimanendo ancorata ad un metodo compositivo rigoroso, pare intenta ad affrontare le criticità del presente con piglio anarcoide o quanto meno antiaccademico. Alla fine di un lungo studio iconografico, e a seguito di un discorso pervasivo condiviso con i vari artisti e con la Di Caro, siamo riusciti a raccogliere un gruppo di lavori altamente significativi per la nostra ricerca, molti dei quali inediti o visti di rado, appartenenti a posizioni sia emergenti e di mezza carriera, che storiche.
Otto excursus sono stati quindi liberati in modo diagonale e diacronico negli spazi della Galleria Tiziana di Caro. Si è fatto sì che i rispettivi interventi fossero proposti strumentalmente dagli artisti stessi, per incentivare la realizzazione di un momento che richiamasse la parabasi - termine che significa letteralmente l'atto di camminare di lato, deviando, trasgredendo. Parabasi era il freno stabilito dal coro della commedia, quando - usciti i protagonisti dalla scena – il coro emergeva dallo sfondo togliendosi la maschera, e si rivolgeva direttamente agli spettatori tornando al ruolo originale di komos: un allegro, insolente corteggio dionisiaco. Parabasi come "interruzione in cui di colpo appare l'origine, stravolgendo e infrangendo lo svolgimento scontato dell'azione."
La pratica di Betty Bee (*1962, Napoli) sconfina tra body art, figurazioni pop e performance, dispiegandosi negli ultimi tre decenni attraverso i media più vari. Oggi il suo lavoro continua ad esercitare un forte ascendente sugli artisti delle nuove generazioni.
La pittura di Guido Casciaro (Napoli, 1900 – 1963) ha indagato soprattutto il macrocosmo campano interpretandolo con le stesse difficoltà degli altri pittori napoletani, che dovettero conciliare le proprie idee artistiche con il clima pesante successivo alla legge sulla Stampa del 1924.
Il lavoro di Effe Minelli (*1988, Napoli) esplora quei processi di sopravvivenza ed evoluzione che gli consentono di trovare un punto di fuga da modalità espressive già configurate e normalizzate. Minelli difende la sua libertà di sperimentazione attraverso diversi media, passando dalla scrittura alla musica e dal disegno alla scultura.
La ricerca concettuale di Timothy Davies (*1983, Londra) opera attraverso rapporti di natura intertestuale, combinando coniugazioni senza precedenti tra oggetti trovati o leggermente modificati, tra motivi idiomatici ed immagini. La sua pratica sembra indicare nuove possibili contingenze di ciò che si presenta come "dato".
Il lavoro di Rosa Panaro (*1934, Casal di Principe) pur essendo oramai dedito a ricerche specifiche su materiali come la cartapesta e l'argilla, è ancora in bilico tra gestualità lirica e indagine sulle potenzialità evocative della materia. Per la mostra, sono stati scelti tre disegni recentissimi in formato A4 che ritraggono alcuni dei soggetti modellati dalla Panaro negli ultimi quattro decenni: Le Lilith, I Melograni, La folla.
Anche Matthias Schaufler (*1964, Laichingen) ha ereditato la caratteristica apertura e l'estrema disponibilità dell'Informale. Il suo approccio innovativo rispetto ad un certo concettualismo pittorico del dopoguerra, si presta ad una sovversione metodica della linea come contorno.
La pratica di Megan Francis Sullivan (*1975, Stamford) raccoglie artefatti di vario genere e tracce culturali di tipo identitario, attraverso la realizzazione o l'interpretazione di opere e oggetti provenienti da fonti specifiche. La sua ricerca mette in discussione le basi storiche del lavoro artistico, come ad esempio il luogo ed i tempi specifici legati al fare arte.
La scelta di Antonietta Raphaёl (Kaunas, 1895 – Roma, 1975) di lavorare prevalentemente sulla scultura avviene durante un soggiorno a Parigi con Mario Mafai, nel 1930. Nel progetto plastico di quegli anni, emerge un tratto stilistico di inattesa e sorprendente serenità, così come un'attenzione a cogliere della sua opera le implicazioni più strettamente formali.