Pasolini Poco Percorso
Nel cinquantenario dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini, la Kasa dei Libri organizza una mostra sullo scrittore friulano,
che presenta praticamente tutta la sua produzione letteraria, cinematografica e giornalistica, nella quasi totalità nelle edizioni originali.
Comunicato stampa
La Kasa dedica un omaggio a uno degli intellettuali più discussi e controversi del nostro recente passato, Pier Paolo Pasolini, con una grande mostra dal titolo Pasolini Poco Percorso, a cinquant’anni dall’assassinio. È proprio questo l’evento dal quale l’esposizione si sviluppa, costruendo un racconto che, dalle poesie della giovinezza in dialetto friulano fino ai film più dibattuti, ruota attorno a questa tragica conclusione. Mettendo insieme il materiale, non abbiamo infatti potuto ignorare come la morte sia una presenza costante in tutto il percorso di Pasolini e che questo tratto emerga sovente anche dalle testimonianze di chi lo conosceva. “Mi colpiva come un grande personaggio da tragedia. Non aveva paura della morte, viveva della morte”, commentava il suo editore, Livio Garzanti, a proposito del loro primo incontro; così come l’amico artista Giuseppe Zigaina asseriva che lo scrittore stesso avesse inscenato la sua morte, terminando la vita in perfetta coerenza con l’opera. Tra fatti e congetture, quel che resta è una bibliografia vasta e variegata, messa in mostra alla Kasa anche nelle sue forme meno note (per esempio l’ultimo libro mai presentato da PPP, la traduzione in svedese delle Ceneri di Gramsci o il suo primo articolo pubblicato in una rivista quando non aveva vent’anni) e che proponiamo al pubblico dal 22 gennaio, per riflettere sulla vita e le opere di uno scrittore che ancora oggi continua a spiazzare il nostro pensiero.
Per introdurre la materia in mostra partiamo da un prologo che presenta, oltre alle svedesi Ceneri di Gramsci, l’edizione originale della Scomparsa di Majorana di Sciascia: è questo il libro che lo scrittore commenta, nella celebre intervista che si conclude sei ore prima dell’omicidio, insieme al giornalista Furio Colombo, recentemente venuto a mancare.
Senza la pretesa di raccontare qualcosa di nuovo sull’ultima notte di PPP, il percorso espositivo si sviluppa poi in senso cronologico, abbracciando tutte le fasi dell’opera di poeta, narratore, saggista e cineasta.
Partiamo infatti dal Friuli, il posto della madre, l’amatissima Susanna, dove Pasolini va tutte le estati quando è bambino e ragazzo, e poi sfolla durante la guerra per rimanere fino al 1949, pendolare con Bologna dove è nato. Il mondo contadino conosciuto in Friuli, illetterato ma più naturale e sano, è fondamentale per tutta la prima fase delle opere in dialetto, dalle brevi e idilliache Poesie a Casarsa alle poesie della Meglio gioventù, esposte nella copia appartenuta a Cesare Musatti, con cui Pasolini fece qualche seduta analitica. Ritroveremo in mostra il fondatore della psicoanalisi italiana come autore di un saggio sull’ultima opera cinematografica di Pasolini, Salò, raccontata nella sezione finale. Non manca ovviamente materiale sulla tragica morte del fratello Guido, partigiano ucciso da altri partigiani titini nel massacro di Porzûs. Nello spaccato friulano ci sono anche le pubblicazioni postume come il dramma I turcs tal Friul, del 1944, ma inedito fino al ’76 e i due romanzi Atti impuri e Amado mio, riuniti nell’edizione dell’82 con una presentazione del poeta Attilio Bertolucci, figura primaria nell’universo pasoliniano. È infatti lui a incamminare Pier Paolo sulla strada del lavoro editoriale, ed è lui a presentarlo a Livio Garzanti, editore al quale Pasolini affiderà quasi tutta la sua opera narrativa, a partire da Ragazzi di vita.
La fortuna dello scrittore inizia a Roma, dove arriva nel ‘49 con la madre e dove trascorre inizialmente un periodo durissimo, vissuto in povertà nelle borgate romane a contatto con quei “ragazzi di vita” che ne ispireranno le pagine e la poetica di questi anni. Ragazzi di vita, nella sua energia brutale e animalesca, ma salvifica per l’uomo, è l’inizio della persecuzione giudiziaria dello scrittore e anche l’inizio del successo. Ne esponiamo infatti alcune delle numerose edizioni che in rapida successione sono apparse sia in Italia (dieci in sei anni) che all’estero (Parigi e Praga).
Roma vuol dire anche cinema, che ha il merito di conferire a Pasolini un posto tra gli intellettuali più in vista di quegli anni. Passando per una collaborazione alla regia di Le notti di Cabiria di Fellini e per una comparsata in un western di Carlo Lizzani, dopo molte sceneggiature, l’approdo al cinema di PPP giunge con le pellicole Accattone (1961) e Mamma Roma (1962). Le raccontiamo, tra gli altri materiali, con il volume della sceneggiatura del primo, resa unica dalla sovracoperta di Carlo Levi, e una recensione del secondo a firma di Alberto Moravia su «L’Espresso» del settembre ’62. Moravia è un’altra delle presenze fondamentali nella vita di Pasolini: i due intrecciano esperienze professionali, una su tutte la direzione della rivista «Nuovi Argomenti», e di vita, tra cui avventurosi ed esotici viaggi, tra India e Africa; tutto documentato nella nostra mostra. A corredo iconografico della sezione e sparse qua e là tra le sale, tante locandine originali dei film come quella de La commare secca, esordio alla regia di un appena ventenne Bernardo Bertolucci su soggetto di Pasolini, a proposito dell’omicidio di una prostituta.
Fin dal principio, Pasolini collabora a una gran massa di riviste dove, tra saggi critici e recensioni, racconti e anticipazioni di romanzi, poesie e articoli di politica, si delinea il suo percorso intellettuale. Questi contributi li esponiamo nella sezione Corsaro (divisa a sua volta in tre, In rivista, Poeta e Al cinema 1965-1970), piena espressione di quella marcata libertà di spirito che lo contraddistingue: “Molti non mi hanno mai perdonato di scrivere tra di loro senza essere infeudato ad alcun potere né vincolato dalla legge della sopravvivenza. Il mio vero peccato è di avere esercitato il mestiere di giornalista da polemista e da poeta, nella più totale insubordinazione”. Memorabile in questo senso, è la lettera pubblicata sul «Corriere» nell’aprile ‘72 e rivolta proprio al neodirettore Piero Ottone, al quale Pasolini riserva parole tutt’altro che celebrative, ma che gli vale anni di storica collaborazione, con contributi sempre al limite che entrano da subito nella storia politica, civile e letteraria del Paese. Ne parliamo tra le riviste insieme a tutti i contributi più rilevanti (da «Paragone» ai settimanali «Vie Nuove» e «Tempo») e al primissimo articolo di un giovane Pasolini: una noterella che non si trova citata in quasi nessuna bibliografia e apparsa su «Architrave», il giornale del GUF di Bologna, datato aprile 1942. Questa “insubordinazione”, questa anarchia tipiche del pensiero di Pasolini, le ritroviamo anche in versi, per esempio nella raccolta L’usignolo della Chiesa Cattolica, summa del suo rapporto con la religione, e nelle immagini di film come Uccellacci e uccellini, Teorema e Porcile, del periodo della sua regia più militante di fine anni ‘60. Qui anche tutte le altre pubblicazioni in italiano, fino all’ultima raccolta autonoma Trasumanar e organizzar, le principali antologie degli anni Cinquanta in cui figurano sue poesie, le prefazioni a libri di altri poeti, i film a episodi con sceneggiature, interventi teorici, dibattiti.
Sceneggiature d’epoca, poster originali, scritti di teoria sono quelli che usiamo per raccontare la fase della Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte, con spettacolari manifesti per colori e dimensioni), il teatro classico tradotto, rivisitato e riproposto al cinema (Edipo re, Medea), il viaggio in India con Moravia e altro ancora.
Abbiamo chiamato la sezione con parole in prestito da Adelio Ferrero: Alla ricerca dei popoli perduti. Per tutto il periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, mentre il mondo occidentale gli pare avvelenato dall’omologazione, l’opera di Pasolini si rifugia infatti nella riscoperta dei classici greci o della prima narrativa europea, sempre reinterpretati alla luce della contemporaneità. Per cui il Miles gloriosus di Plauto è reso in romanesco con il titolo Il vantone e la Matera dei Sassi diviene scenario per il Vangelo secondo Matteo. Ma il sospetto di un’evoluzione negativa anche in quei luoghi e in quelle persone lo porta ad "abiurare" anche da loro, e dai film in cui li aveva rappresentati: alla trilogia della vita si sostituisce quella della morte, incompiuta ed espressa solo con il film Salò. “Ora tutto si è rovesciato. […] anche la “realtà” dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico […] Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è divenuto suicida delusione, informe accidia”.
Arriviamo quindi inesorabilmente al 2 novembre 1975, l’ultima sezione. Al mattino del giorno dei morti, il corpo di Pier Paolo Pasolini viene trovato in un campo abbandonato di Ostia. È stato pestato selvaggiamente, poi travolto dalla sua stessa macchina: è l’ennesimo delitto italiano di quella stagione in cui, alla fine si capirà ben poco; e ancora oggi i dubbi sono più delle certezze. Ci limitiamo al racconto dei fatti e dei commenti che seguirono con gli omaggi accorati come quello di Dario Bellezza su «Nuovi Argomenti» e con i principali quotidiani e settimanali dei giorni immediatamente successivi alla morte: «L’Unità», «Stampa Sera», «La Domenica del Corriere», «Panorama», «Le Monde», «Epoca», «L’Europeo», che a poco più di un mese di distanza titola “L’inchiesta su Pasolini è tutta da rifare”. Immancabile in questa sezione l’ultimo grande mistero della morte dello scrittore: Petrolio, il romanzo incompiuto per eccellenza (500 pagine sulle 2000 previste), con il sospetto di capitoli trafugati, complotti internazionali, eccetera. Lo esponiamo nella sua edizione Einaudi del 1992, accanto alla trascrizione della lettera scritta all’amico di sempre, Alberto Moravia: “Caro Alberto, ti mando questo manoscritto perché tu mi dia un consiglio. […] Questo romanzo non serve più molto alla mia vita (come sono i romanzi o le poesie che si scrivono da giovani), non è un proclama, ehi, uomini! io esisto, ma il preambolo di un testamento, la testimonianza di quel poco di sapere che uno ha accumulato, ed è completamente diverso da quello che egli si aspettava immaginava!”
Per chiudere, abbiamo scelto la celebre scena di Caro diario in cui Nanni Moretti, in Vespa, va a Ostia sul luogo dell’omicidio, accompagnato dalla musica di Keith Jarrett.
Per approfondire la mostra con punti di vista inconsueti, sono previsti un ciclo di incontri da calendarizzare, tra i quali uno con Emanuele Trevi e uno con Gianni Biondillo, oltre che una passeggiata ispirata ai luoghi milanesi del film Teorema.