Pastorello / Eric Bouvet
I Giardini dell’Eden / Rainbow family. Le due personali si incontrano sul tema del Festival Dromos, narrano di luoghi di delizie e di piacere, di conoscenza e di peccato, luoghi evocati in una dimensione onirica.
Comunicato stampa
Si inaugura il 31 luglio nelle sale della Pinacoteca Comunale “Carlo Contini” di Oristano, in concomitanza col Festival DROMOS e sposandone il tema, una doppia personale che avrà per protagonisti Pastorello con I Giardini dell’Eden e Éric Bouvet con Peace, rainbow family.
Curate rispettivamente da Ivo Serafino Fenu e da Laura Serani, prodotte dalla Pinacoteca Comunale col contributo della Fondazione Banco di Sardegna, della Banca di Sassari e di Dromos Festival, le due personali si incontrano sul tema de I Giardini dell’Eden, luoghi di delizie e di piacere, di conoscenza e, talvolta, di peccato, luoghi da rimpiangere e da evocare in una dimensione onirica, luoghi che rimandano ad antiche e lontane civiltà: dimora degli dei, prima patria degli uomini, orti delle Esperidi, paradisi terrestri ricchi di alberi e fiumi meravigliosi, miti che ricordano l’Eden biblico o che favoleggiano l'età dell'oro, regni felici di Crono e di Saturno.
E allora, in quest’ottica, in una rilettura del mito trasformato, tradito, rielaborato e restituito con un linguaggio contemporaneo e pop, in bilico tra realtà e utopia, le due mostre ospitate presso la Pinacoteca comunale “Carlo Contini” di Oristano proporranno le pitture dell’artista sassarese Pastorello, coi suoi paesaggi, anch’essi, a loro modo “paradisi”, seppur spiazzanti e che descrivono un “altrove” ora mitico, ora apparentemente naturale, spesso sintetico e futuribile o acido e perturbante, luoghi abitati non più da progenitori quanto, semmai, da post-genitori alieni e, insieme, alienati, e le immagini del fotografo francese Éric Bouvet, appartenenti al progetto Peace, rainbow family, che documentano la vita di alcune “famiglie arcobaleno”, idealiste, pacifiste, hippies del XXI secolo, riunitesi nella foresta brasiliana per fuggire dalla società dei consumi e dalla corsa al profitto, in un sentimento panico verso la natura finalizzato alla riconquista di un’innocenza e di una pace anch’esse perdute. – PASTORELLO, I Giardini dell’Eden. La pittura senza storie di Pastorello è, giocoforza, pre e post storica. Attinge al magma dell’inconscio, pasce negli sterminati territori dell’arte del passato, del cinema contemporaneo, di un immaginario visivo di là da venire e, tuttavia, non si lascia incasellare in nessuna delle categorie estetiche legate al genere del paesaggio. Una pittura trasversale, ambigua, depistante, citazionista senza citazioni e, quando la mente pare abbia individuato degli appigli visivi ai quali ancorarla – siano esse suggestioni del Cinquecento nordico, da Dürer ad Altdorfer, siano certe visioni apocalittiche e “sublimi” del Romanticismo, siano realtà virtuali e/o parallele alla Matrix –, ci si rende conto di essersi persi dietro una falsa pista artatamente suggerita dall’artista. Del resto, per Pastorello – picassiano concettualmente quanto distante artisticamente da Picasso – «la pittura è pittura. La pittura è innaturale, contro natura, ma è nel mondo. Non è soprannaturale, lo lascia intendere, promette e non mantiene: inganna». I suoi Giardini dell’Eden seducono, promettono delizie, offrono frutti proibiti e succulenti, fiumi d’abbondanza e amene praterie ma, nella loro naturale innaturalità, sono trappole visive e il “bello” si trasforma subitamente in “orrore” al quale non è dato l’ossimorico “diletto” delle teorie romantiche.
Pastorello, pittore puro, nei suoi paesaggi pre-adamitici non veicola messaggi che non siano inerenti alla stessa prassi pittorica, da qui la loro ambiguità semantica, la loro autoreferenzialità e il loro essere “alieni” e fintamente ospitali. Paesaggi come metafore del processo creativo, in sé assoluto e intangibile, sì da far dire all’artista: «la pittura avvicina il soprannaturale alla natura: è l’ultima manifestazione del metafisico, naturale e innaturale non sono del tutto opposti, in quanto fanno parte di questo mondo il loro vero opposto è il soprannaturale». “Naturale-Innaturale” contrapposto a “Soprannaturale”, mondi visivi e spazi della mente inconciliabili ma, forse, destinati ad incrociarsi, nei Giardini dell’Eden di Pastorello.
(Ivo Serafino Fenu) – ÉRIC BOUVET, Peace, rainbow family.Fotoreporter dall’inizio degli anni ‘80, Éric Bouvet ha coperto senza tregua l’attualità sociale e politica e i conflitti più drammatici del nostro tempo. Dopo trent’anni passati a fotografare la guerra, con dei rischi fisici e psicologici costanti, accumulando perdite e ferite, Bouvet ha risentito l’urgenza di conoscere altre realtà, d’incontrare e di fotografare “delle persone felici”. I raduni della Rainbow family gli sono apparsi “la sua Africa”, l’opportunità di fotografare altrove e in altro modo, allontanandosi dal lato oscuro del mondo, alla ricerca di comunità capaci di vivere in pace e in armonia. Creato nel 1972 negli Stati Uniti, il movimento Rainbow family ha continuato a crescere e a rinnovarsi in una serie di incontri annuali nazionali e internazionali. Obbiettivo: ricreare insieme un universo senza violenza, libero da strutture e rapporti di potere, senza obblighi né divieti, basato sul consenso, la condivisione e il rispetto dell'altro e della natura. Lontana dalla città la comunità rifiuta la società dei consumi e propone modi e ritmi alternativi. Senza barriere di religione o di classe sociale, la Famiglia arcobaleno si compone di persone venute da paesi e da orizzonti più vari: studenti, artigiani, attori, responsabili di società, cuochi, biologi. Una sorta di nuovi hippies “radicali” che per un periodo più o meno lungo, o come scelta definitiva di vita, abbandonano il proprio quotidiano per seguire la carovana, da un raduno all’altro, mettendo in pratica ideali comuni.
In pochi giorni Bouvet scopre una dimensione parallela e una reale serenità interiore. Per realizzare i ritratti dei membri della Rainbow family, sormontando la reticenza a farsi fotografare e l’allergia ai mass media, il fotografo ha deciso di lavorare con tecniche oggi obsolete, in gran formato e con delle pellicole istantanee che permettono di restituire un’immagine immediata e un effetto simile alle tonalità visive degli anni ‘70. La bellezza dei paesaggi e della natura incontaminata, la serenità dei volti, il contesto idilliaco, accentuati dal linguaggio visivo scelto da Éric Bouvet, creano un‘impressione di spaesamento e d’incanto assoluto, da paradiso terrestre. (Laura Serani)