Per andare dove dobbiamo andare per dove dobbiamo andare?
Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? è un progetto non curato di tre giovani artisti italiani – Gabriele De Santis, Alek O., Santo Tolone – che non contano più come “giovani artisti”.
Comunicato stampa
Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?
un progetto di
Gabriele De Santis, Alek O., Santo Tolone
17 maggio – 7 settembre 2018
Nomas Foundation
Viale Somalia, 33 – Roma
Programma della giornata di inaugurazione: mercoledì 16 maggio ore 18:30
Performance Matteo Rubi | Karaoke | Orchestra (sigle telegiornale) |
Workshop: messa in posa piastrelle | Sala massaggi | Visita guidata della mostra con gli artisti | Telegiornali in streaming | Tiro al barattolo (in palio: opere ed edizioni degli artisti) |
Inaugurazione del negozio | Ryan Gander cocktail
Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? è un progetto non curato di tre giovani artisti italiani - Gabriele De Santis, Alek O., Santo Tolone - che non contano più come “giovani artisti”.
Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? è un dubbio che incarna l’indipendenza intellettuale dei primi dieci anni di Nomas Foundation e trasforma la Fondazione in uno spazio di solidarietà culturale, abbracciando l’eredità delle controculture del ’68 nel loro desiderio di intercettare politica e prospettive collettive. Seminari, conferenze, performance, proiezioni, lezioni accademiche e laboratori aperti a tutti, disponibili in streaming dal 16 maggio al 7 settembre, in collaborazione con l’unità di ricerca di Estetica Sociologica del dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Sapienza Università di Roma.
«Dopo aver lavorato insieme a più riprese, per oltre dieci anni, abbiamo sentito la necessità di riconsiderare dove eravamo stati portati da ciò che parte di noi ancora si rifiuta di chiamare le nostre “carriere” – iniziate dal nulla e cresciute attraverso programmi di Master of Fine Arts e gallerie internazionali, vagabondando fra biennali e fiere, corteggiati o evitati da curatori e galleristi, lacerati dalla forza centripeta del mercato e dall’inerzia centrifuga della perifericità, combattendo per resistere alla spinta verso l’omogeneizzazione derivata dalla circolazione delle immagini.
Mentre stavamo scrivendo la presentazione della mostra, ci siamo imbattuti in un testo scritto (e mai letto) da Roberto Bolaño poco prima della sua morte, intitolato Sevilla Kills Me. Include già tutto quello che vogliamo dire e anche di più.
"Da dove viene la nuova letteratura latinoamericana arte italiana". Se mi fossi attenuto fedelmente al titolo, la risposta non avrebbe superato i tre minuti. Veniamo dalla classe media o da un proletariato più o meno sistemato o da famiglie di narcotrafficanti di seconda linea che già preferiscono, alle ferite d'arma da fuoco, la rispettabilità. […] gli scrittori artisti oggi cercano il riconoscimento, ma non il riconoscimento dei loro pari, quanto piuttosto il riconoscimento di quelle che si suole chiamare "istanze politiche", i detentori del potere, sia del segno che sia (e per i giovani scrittori artisti fa lo stesso!), e, tramite esso, il riconoscimento del pubblico dei collezionisti, vale a dire la vendita di libri, che fa felici le case editrici i galleristi ma che fa persino più felici gli scrittori artisti, quegli scrittori artisti che sanno, poiché lo hanno vissuto in casa da piccoli, quanto è duro lavorare otto ore al giorno, o nove o dieci, che furono le ore lavorative dei loro padri, quando c'era lavoro, fra l'altro, perché peggio che lavorare dieci ore al giorno è non poterne lavorare neanche una, e trascinarsi in cerca di occupazione (pagata, s'intende) nel labirinto, o, più che labirinto, nell'atroce cruciverba dell'America Latina Italia. E così i giovani scrittori artisti, come si suol dire, si scaldano, e si dedicano anima e corpo a vendere. Alcuni utilizzano più il corpo, altri utilizzano più l'anima, ma alla fine dei conti il punto è vendere. Da dove viene la nuova letteratura latinoamericana arte italiana? La risposta è semplicissima. Viene dalla paura. Viene dall'orribile (e in un certo senso abbastanza comprensibile) paura di lavorare in officina o vendendo paccottiglia sul paseo Ahumada a piazza Navona. Viene dal desiderio di rispettabilità, che non nasconde altro che paura. […] Francamente, a prima vista, componiamo un deplorevole gruppo di scrittori artisti trentenni e quarantenni e talora di cinquantenni in attesa di Godot, che in questo caso è il Nobel padiglione della Biennale, il Rulfo DAAD, il Cervantes Prix de Rome, il Príncipe de Asturias Turner Prize, il Rómulo Gallegos la cattedra. […] Alcuni degli scrittori artisti invitati li considero amici. Gli altri non li conosco, ma di alcuni li ho letti ho visto i lavori, e di altri ho ottime referenze. […] Il panorama, soprattutto a guardarlo da un ponte, è promettente. Il fiume è ampio e possente e dalle sue acque spuntano le teste di almeno venticinque scrittori artisti sotto i cinquanta, sotto i quaranta, sotto i trent'anni. Quanti di loro affogheranno? Io credo tutti. Il tesoro che ci hanno lasciato i nostri padri o quelli che crediamo i nostri padri putativi è deplorevole. In realtà siamo come bambini intrappolati nello scantinato di un pedofilo. Qualcuno di voi dirà che è meglio essere alla mercé di un pedofilo che alla mercé di un assassino. Sì, è meglio. Ma i nostri pedofili sono anche assassini».