Pièce Unique #3
Il terzo appuntamento romano della rassegna Pièce Unique propone tre artiste con altrettanti dittici di autorappresentazione. In ogni coppia di frame è condensato il racconto di un peculiare eterno femminino, dove l’io narrante si identifica con l’io narrato, o ne veste i panni, per rivelare un qualche sé all’apparecchio fotografico.
Comunicato stampa
Il terzo appuntamento romano della rassegna PIÈCE UNIQUE propone tre artiste con altrettanti dittici di autorappresentazione. In ogni coppia di frame è condensato il racconto di un peculiare eterno femminino, dove l’io narrante si identifica con l’io narrato, o ne veste i
panni, per rivelare un qualche sé all’apparecchio fotografico.
I due lavori di Elina Brotherus, sequenze della stessa scena, datano al periodo in cui l’artista - prima di spostare l’attenzione sul rapporto tra figura umana e paesaggio - lavorava con scarno stile documentaristico sull’esperienza relazionale soggettiva e sulla presenza/assenza dell’amore. La stringente referenza autobiografica plasma un’onesta allegoria, quasi in cerca di un antidoto figurato a un dato turbamento esistenziale.
Il passo successivo è quello verso cui muove Daniela Perego. Nell’immergere se stessa nelle tensioni della metropoli contemporanea, l’artista si fa unità di misura emozionale dello spazio e crea un’esperienza condivisa, tramite la propria ambivalente figura di soggetto/spettatore posto di spalle. Aleggia un senso di incomunicabilità, di vulnerabile e sospesa estraneità.
Quando Giulia Caira esce dal set casalingo dei primi lavori, è invece per rappresentare
contrasti sociali o familiari, come l’esplosione di malessere in uno studio di psicoterapia
sistemico-relazionale, dove la paziente è concepita come portavoce del disagio diffuso nel
suo sistema di rapporti. L’artista stessa inscena i momenti di quest’ardente nevrosi, in uno
scenario di coazione claustrofobica esacerbata, nella percezione, dall’aperta dichiarazione
d’immanenza distaccata dell’osservatore.
Che il teatro sia privato o pubblico, la casa oppure la strada, questi double self risolvono la
storica dicotomia fotografica in favore dello ‘specchio’ di sé, contrapposto alla prerogativa
di ‘finestra’ sul mondo: l’autoscatto coglie un tessuto emotivo, è manifestazione di
temperamento personale e rimando a significati universali.
Sono, questi, dialoghi in forma epidermica di monologo e - come abbozzi essenziali di
storyboard - narrano senza fare cronaca. Privi di autocompiacimento e secondo diversi
gradi di fervore, suggeriscono complessità e solitudini irrisolte, accostano e poi dissestano
stereotipi. All’osservatore, la possibilità di toccare e condividere palpitanti, caleidoscopiche
intimità che sanno respirare la realtà per poi restituire una dimensione altra.
In mostra:
Elina Brotherus (Helsinki, 1972; vive e lavora tra la Finlandia e Parigi)
Safety Man I, 1998, 105 x 130 cm
Safety Man II, 1998, 105 x 130 cm
Daniela Perego (Firenze, 1961; vive e lavora a Roma)
Attraverso 2, 2008, 100 x 170 cm
Attraverso 3, 2007, 100 x 170 cm
Giulia Caira (Cosenza, 1970; vive e lavora a Torino)
Terapia familiare 2, 2009, 70 x 100 cm cad.