Piero Fogliati – Teoria Del Pluriverso
Immaginiamo che l’universo non sia sol-tanto uno ma che esista un “pluriverso” (perché il contrario di uno non è zero, né due, ma molti). Piero Fogliati è stato in grado di immaginare questo pluriverso straordinario, inebriante, elettrizzante.
Comunicato stampa
Immaginiamo che l’universo non sia sol-tanto uno ma che esista un “pluriverso” (perché il contrario di uno non è zero, né due, ma molti). Piero Fogliati è stato in grado di immaginare questo pluriverso straordinario, inebriante, elettrizzante. A suggellare il genio e l’unicità di Fogliati [Canelli, Asti 1930 – Torino, 2016], il museo di Lissone dedica una mostra che raccoglie alcune delle sue opere storiche, tra le più rappresentative. Questa esposi-zione, che avrebbe dovuto sancire un me-ritorio riconoscimento alla carriera del-l’artista, non potrà onorarsi della sua pre-senza, perché ghermito alla vita dopo una malattia di lungo corso.
Fogliati è uno di quegli artisti che Jean Cocteau non avrebbe esitato a definire “nati postumi”. Malgrado negli ultimi an-ni le sue opere fossero riuscite a ridestare attenzione e curiosità, ancor oggi resta un artista da riscoprire e studiare nella sua completezza.
Il museo lissonese, che stava progettando questa mostra, l’aveva voluto ricordare a pochi giorni dalla scomparsa esponendo una delle sue opere più atipiche: Forme di buio. Preambolo che si corona ora con un’accurata selezione di opere, altrettanto emblematiche e suggestive: dalla Luce so-lida al Prisma meccanico, dal Rivelatore cromocinetico al Fleximofono fino al Rea-le virtuale. Al contrario dei prestigiatori, che non rivelano mai i loro trucchi, Fo-gliati ci ha sempre messo a diretto contat-to con gli “strumenti del mestiere”, senza tuttavia inficiare il senso di meraviglia che le opere ci trasmettono. In Fogliati non c’è trucco, non c’è inganno: c’è inge-gno.
Per lui l’arte non era finzione ma incanto e stupore. Quello stesso stupore che ha saputo imbrigliare nelle sue “scatole ma-giche” alimentate dall’elettricità, o forse più probabilmente dai sogni (perché, co-me diceva Sartre, l’acte d’imagination est un acte magique). Grazie a una formida-bile dimestichezza con la meccanica, l’ar-tista riusciva a dar vita a una tecnologia decisamente sofisticata, non tanto nella sua sostanza quanto semmai nel suo sco-po. Ancor più che opere d’arte, quelle che noi vediamo sono le invenzioni di un “vi-sionario” che si è interrogato sui fenome-ni luminosi e acustici.
Benché il MAC avesse deciso di dedicargli una mostra che ne consacrasse la ricerca poetica e pionieristica, l’improvviso com-miato dell’artista non ha lasciato solo un vuoto incolmabile nelle persone a lui più care e a tutti i suoi amici ed estimatori, ma porta con sé il rammarico di non aver mai reso onore, né giustizia, alla pluri-decennale ricerca di questo Maestro della percezione. Come molte sue opere utopi-stiche, “fissate” sulla carta ma mai realiz-zate a livello urbanistico, anche questa mostra è diventata una chimera che il figlio Paolo ha voluto condividere e porta-re a compimento.