Piero Rossoni
L’artista abbandona tavolozza e pennelli (e tutti i loro sviluppi fino al digitale) e utilizza quello che trova nel cestino dei rifiuti domestici per creare la sua arte “differenziata”.
Comunicato stampa
Un concetto basilare dell’arte, che cerca sempre di definire se stessa, è quello della ricerca dei suoi stessi limiti: per rispettarli o infrangerli a seconda del temperamento dell’artista e delle esigenze del tempo in cui l’artista è chiamato a vivere e a dare il suo apporto.
Il XX secolo è stato il grande scenario in cui l’arte ha innescato l’esplosiva ricerca delle sue possibilità, fino a raggiungere il culmine estremo dell’arte concettuale, che, paradossalmente, ha portato all’astrazione il figurativismo, nel tentativo di una denuncia sociale che è fallita con il naufragio delle ideologie ottocentesche (marxismo) che in qualche maniera avallava. Una lezione da trarre da questo immane accumulo di esperienze rimane ancora quella di un’arte alla continua ricerca di se stessa, una ripresa sempre rinnovata di quell’arte per l’arte che non è orgoglio fine a se stesso (che è tuttavia la tentazione di ogni artista), bensì è l’anima più vera di questa attività dell’uomo che si esplica dai primordi.
Detto questo ed entrando subito nel merito dell’esposizione di Piero Rossoni, si deve subito affermare che le preoccupazioni artistiche rivelate da questi pannelli e da questi rotoli, rientrano alla perfezione nell’idea sopraccennata che considera i limiti, e quindi li rispetta o li infrange: nel diritto di una doverosa riflessione sul proprio fare, che diventa nel contempo critica, denuncia e persino oltraggio.
Ora, dal momento che un artista abbandona tavolozza e pennelli (e tutti i loro sviluppi fino al digitale) e utilizza quello che trova nel cestino dei rifiuti domestici, l’ambito estetico diventa immediatamente stretto e incapace di contenere le problematiche che ne scaturiscono.
I vecchi e saggi proverbi ci vengono in aiuto quando non troviamo le parole per esprimere qualcosa di difficile comprensione. In questo caso m’avvalgo del detto: “Mettere il dito nella piaga”. Uno dei compiti dell’artista infatti è proprio quello di “mettere il dito nella piaga”. Rossoni lo fa, lo ha fatto: ha messo il dito nella piaga più grande e fetida del nostro tempo: perché i rifiuti rimandano alla criminale diseguaglianza globale e questa agli innumerevoli focolai di guerra che hanno trasformato il nostro pianeta in una sorta di san Sebastiano trafitto da una miriade di dardi.
In altre parole, il cestino dei rifiuti domestici di Rossoni può essere paragonato al battito d’ali della farfalla che provoca un terremoto agli antipodi. L’inerme contenuto che desta solo indifferenza, e di tanto in tanto il fastidio di doverlo gettare in un altro contenitore (anzi, in altri contenitori, nell’era della raccolta differenziata!), viene identificato da un altro tipo di sguardo, viene in qualche modo riconosciuto; costringe forse l’attenzione (sempre rivolta all’infinito) dell’artista ad altre e folgoranti considerazioni.
Il contenuto di questo cestino allora si “salverà” dall’estinzione ...
Il gesto artistico di Rossoni è perlomeno un gesto di misericordia, e la sua arte può essere definita misericordiosa. E’ una definizione dell’arte che mi sembra pertinente e originale. Dopo secoli, anzi millenni di arte sacra, scaduta nel tempo ad arte ingenuamente devota, frutto di deprimente e imperdonabile buonafede”, l’arte misericordiosa di Rossoni apre a nuove possibilità, liberando al contempo dalla penosa necessità di un figurativismo ormai esausto e spremuto all’eccesso. E la necessità della misericordia è sotto gli occhi di tutti. E partendo dal cestino di casa si può risalire al cielo con le ali di un novello Icaro ricavate dai frammenti di “prontopizza” tenuti insieme dai tovaglioli di carta e dalla mozzarella delle “margherite”.
Dall’alto del nostro volto incerto vedremo gli scenari di un mondo ancora molto bello e tuttavia addolorato, come sono belli e addolorati i tanti san Sebastiani che abbelliscono le nostre chiese e i nostri musei; e noi ammiriamo la bellezza di questi giovani morenti, ma ci dimentichiamo il loro stato ed il perché qualcuno li ha ridotti così.
Si auspica dunque l’apertura di una nuova era, l’inizio di un nuovo percorso dell’arte all’insegna della misericordia e libera da qualsiasi vincolo che non sia quello di una riflessione volta all’amore per i “cestini”, i rifiuti, gli ultimi.
Beppe Agosti