Pietro Piffetti – Il re degli ebanisti, l’ebanista del re
L’occasione nasce dal recente acquisto da parte della Fondazione di un cofano – forte dell’ebanista torinese, che andrà ad aggiungersi ai sette capolavori già presenti in Museo, e a cui saranno affiancati una ventina di altre sue opere, per lo più inedite perché provenienti da collezioni private.
Comunicato stampa
La Fondazione Accorsi – Ometto allestirà, dal 13 settembre 2013 al 12 gennaio 2014, nella sala dei pannelli cinesi del Museo, una mostra dedicata a Pietro Piffetti (Torino, 1701 – 1777). L’occasione nasce dal recente acquisto da parte della Fondazione di un cofano – forte dell’ebanista torinese, che andrà ad aggiungersi ai sette capolavori già presenti in Museo, e a cui saranno affiancati una ventina di altre sue opere, per lo più inedite perché provenienti da collezioni private.
L’esposizione sarà curata direttamente dalla Fondazione Accorsi – Ometto e organizzata in collaborazione con il Consiglio Regionale del Piemonte, che ospiterà una parte della mostra.
Tra le opere documentate negli archivi regi, il grande ebanista realizzò per il re Carlo Emanuele III ben tre cofani – forti: uno nel 1732, uno nel 1745 e l’ultimo nel 1760; proprio in uno di essi va riconosciuto il coffre di Piffetti che la Fondazione Accorsi-Ometto ha recentemente acquistato per il museo; un oggetto molto raro, non solo per via dell’autore, ma per la tipologia stessa del mobile, una specie di raffinata cassaforte trasportabile, un tempo chiudibile per mezzo di una complicata serratura.
Alcuni interventi di manutenzione ne hanno in parte compromesso la percezione estetica originaria. L’opera è stata quindi affidata alle cure della Fondazione Centro per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali “La Venaria Reale”, che negli anni si è affermata come unico istituto di riferimento per lo studio e il restauro degli arredi di ebanisteria piemontese e in particolare delle opere di Piffetti. Il restauro si presenta come un complesso e raro caso di studio tecnicamente non facile, anche dal punto di vista delle scelte di metodo rispetto alla policromia degli avori e alle vernici di finitura. L’intervento si intreccerà con i progetti di ricerca scientifica, da tempo avviati presso il Centro, affrontando l'analisi delle strutture, attraverso l'applicazione di indagini altamente tecnologiche (come la tomografia e la radiografia digitale), e permetterà di confrontare i dati che emergeranno con quanto già acquisito nel corso delle numerose precedenti campagne di restauro su arredi di Piffetti, provenienti dai musei torinesi e nazionali.
Partendo da questi risultati, che saranno ampiamente documentati e descritti in mostra, il percorso espositivo del Museo Accorsi – Ometto sarà suddiviso in due sezioni: una dedicata alle più numerose opere profane; l’altra a quelle, assai più rare, di ambito sacro.
Ad aprire l’esposizione sarà il rarissimo cofano – forte caratterizzato dal suo estroso inseguirsi di decori in avorio graffito e policromo: composto da un tavolino da centro, con eleganti piedi a riccio e da un bauletto leggermente bombato, stupisce per la raffinatezza del copioso intarsio e per l’elegante marquetterie a mosaico. La cura che Piffetti riservò a questo capolavoro è la stessa delle altre opere chiamate per l’occasione a confronto: un curioso arcolaio, ammirato un’unica volta nel lontano 1963, in occasione della mostra sul Barocco piemontese; due preziosi cofanetti, uno dei quali di proprietà della Regione Piemonte e in affidamento alla Reggia di Venaria, firmato e datato “Petrus Piffetti fecit et schulpi Taurini 1738”. Chiuderanno la sezione: uno scrittoio in legno violetto, legno di rosa e avorio del 1760 circa; un paio di cassettoni, tra cui quello in avorio colorato, madreperla e legni pregiati di proprietà del Museo Accorsi – Ometto e una serie di raffinati tavolini, alcuni inediti, altri già noti, come il tavolino di Palazzo Madama, eccezionalmente prestato per questa mostra, e impreziosito sul ripiano della mensa da un divertente gioco d’inganno ottico, fatto di oggetti intarsiati in avorio.
Per quel che riguarda le opere sacre, accanto a un inginocchiatoio da parete, del 1755-1760 circa, in legno e avorio, sarà possibile ammirare uno dei due splendidi tabernacoli che da un secolo sono custoditi insieme a Bene Vagienna. Realizzati molto probabilmente per il convento cappuccino di Carrù, su possibile committenza dei Costa della Trinità, essi rappresentano un capolavoro della produzione sacra barocca: strutturati come una piccola cappella, furono interamente impreziositi dal grande ebanista torinese con intarsi in madreperla e avori policromi.
Una sezione della mostra sarà anche allestita a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio Regionale del Piemonte. Qui saranno esposte tre opere tra le più significative della produzione di Piffetti: uno dei due tabernacoli di Bene Vagienna e la coppia di stipi del Museo Accorsi-Ometto di Torino. Questi due armadietti, completamente ignoti fino a qualche anno fa, presentano preziose decorazioni in avorio, sulle quali compaiono pirografate scene tradotte da L’art de tourner en perfection del frate Charles Plumier, che stampato a Lione nel 1701 fu uno dei massimi trattati sulle tecniche di tornitura dell’avorio di tutto il Sei e Settecento europeo.
Il nome di Pietro Piffetti è stato riscoperto a partire dalla fine dell’Ottocento, da quando, nell’ambito di un processo industriale ormai avviato, i suoi mobili divennero modelli di bravura tecnica e di virtuosismo creativo. Cresciuto in una famiglia non abbiente, Piffetti, dopo una prima formazione torinese, partì per Roma; un soggiorno, questo, in gran parte avvolto nel mistero, ma durante il quale l’ebanista sviluppò un linguaggio figurativo tutto suo, frutto della sapiente fusione tra monumentalità delle forme, tipico della tradizione italiana, e ricerca del particolare ornamentale, erede invece della cultura del centro e del Nord Europa. Entrato in contatto proprio a Roma con la corte torinese, per tramite del marchese Vincenzo Ferrero d’Ormea, Piffetti nel 1731 tornò a Torino, dove Carlo Emanuele III di Savoia lo nominò suo ebanista. Un rapporto quello con la corte sabauda che lo vide impegnato fino alla morte e che, come calcolato già a suo tempo da Giancarlo Ferraris, portò alla creazione di non meno di 220 opere, tra mobili, cassette preziose, ecc… delle quali solo una settantina sono oggi note.
Da sempre co-protagonista di eventi espositivi dedicati al Barocco, come nelle celebri mostre di Venezia del 1929 (organizzata alla Biennale da Eugenio Barbantini) o di Torino del 1937 e del 1963 (entrambe organizzate da Vittorio Viale con l’ausilio di specialisti, tra cui Pietro Accorsi), a Piffetti non è mai stata dedicata una mostra monografica. Per la prima volta dunque la Fondazione Accorsi – Ometto renderà omaggio al migliore ebanista italiano del Settecento con questa piccola esposizione.