Pino Pinelli – La rottura del Quadro
Un progetto espositivo dal titolo “La rottura del Quadro” curato da Giorgio Bonomi, per celebrare il quarantennale della grande intuizione del Maestro che nel 1976 rompe i rassicuranti confini del quadro e dissemina la sua pittura nello Spazio.
Comunicato stampa
Da mercoledì 5 ottobre, fino al 20 novembre 2016, presso lo Spazio PAePA di Milano (via Alberto Mario 26/b), diretto da Giuliano e Nunzia Papalini, va in scena una raffinata personale di Pino Pinelli. Un progetto espositivo dal titolo “La rottura del Quadro” curato da Giorgio Bonomi, per celebrare il quarantennale della grande intuizione del Maestro che nel 1976 rompe i rassicuranti confini del quadro e dissemina la sua pittura nello Spazio. Ma – come sottolinea il curatore - lo fa in modo organizzato, “senza disperdere caoticamente i frammenti. Al contrario questi, dopo la forza centrifuga della ‘esplosione’, subiscono una forza centripeta che riporta ordine e forma a quei ‘pezzi’ che divengono componenti elementari di una totalità più complessa: l’opera”.
La mostra ripercorre l’intero percorso della sua ricerca artistica con una serie di opere che evidenziano le diverse declinazioni della “frattura”, a cominciare da una delle prime: “Pittura Gr”. del 1977, passando per “Pittura Bl.” del 1996, fino a una decina di lavori realizzati appositamente per l’esposizione.
“E’ nel 1976, con Pittura GR – spiega Giorgio Bonomi - che si origina la ‘rottura del quadro’, la sua frammentazione, la sua dislocazione: la ‘disseminazione’, concetto, e pratica, questo che va molto al di là, di un semplice ‘spargimento’. Il lavoro sopracitato è un rettangolo ‘virtuale’, in quanto è composto dai quattro angoli del poligono equiangolo con il vuoto al centro e nelle interruzioni dei quattro lati. I quattro elementi angolari hanno uno spessore di circa cinque centimetri e sono ricoperti di flanella non preparata grigia. Da qui poi Pinelli, nell’arco di un quarantennio, svilupperà le sue disseminazioni multiple, le sue traiettorie; userà altri materiali; arricchirà le cromie con i colori fondamentali da cui derogherà pochissime volte; ma non abbandonerà mai la forma quadrangolare – infatti al “rettangolo tagliato” affiancherà anche il ‘quadrato tagliato’ – spezzata nei quattro lati, oppure solo in due, il ‘vuoto’ al
centro dell’opera avrà in alcuni casi una forma a “croce”, in più il materiale sarà quello ‘vellutato’, tipico dell’artista, le superfici saranno anche parzialmente ‘rigonfie’ o ‘solcate’, i colori essenzialmente i primari e, a volte, i complementari, oltre al bianco e il nero”.
Disponibile in Galleria un catalogo con le foto delle opere in mostra e un saggio critico di Giorgio Bonomi (edizioni Quaderni PAePA).
Pino Pinelli nasce a Catania nel 1938 dove frequenta gli studi artistici. Arriva a Milano nel 1964 dove la comunità artistica, che ruota intorno al mitico Bar Giamaica, è animata, oltre che dal maestro per eccellenza, Lucio Fontana, dalle “provocazioni” dadaiste di Piero Manzoni e dal genio inquieto di Enrico Baj. Intorno a loro una schiera di artisti, giovani e meno giovani, alla ricerca di una identità, del colpo di genio, del grande gesto, che li consacri definitivamente aprendogli la strada del successo che non sempre arriva per tutti. Pino Pinelli guarda, osserva, annusa, ma da buon siciliano non si butta nella mischia. Lui è un pittore e alle provocazioni ( anche se adora quelle di Manzoni) preferisce la pittura. E’ più nelle sue corde. Tuttavia sente il richiamo dello spazio. Di quell’immensa superficie aperta da Fontana con il suo “taglio” liberatorio. Inizialmente aderisce e diventa subito uno dei protagonisti di quella corrente che Filiberto Menna definisce “Pittura Analitica” nella quale si distingue per la monocromaticità dei suoi lavori . Giorgio Griffa, Claudio Olivieri, Claudio Verna, tra gli altri, sono suoi compagni di strada. Ma il suo carattere inquieto e passionale e il sacro fuoco della ricerca da cui è costantemente animato lo spingono oltre. Anche lui, come Fontana, si sente soffocare all’interno del quadro, vuole superare quel limite, varcare quella soglia, senza però rinunciare alla pittura. Ed ecco che arriva la grande intuizione: con un gesto altrettanto definitivo, Pinelli “straccia” la tela. La riduce in tanti “frammenti” che dissemina in modo organizzato nello spazio. E’ la metà degli anni ’70 e inizia così la lunga e fortunata stagione delle disseminazioni che diventano il codice interpretativo della sua ricerca. Un linguaggio chiaro e inconfondibile che partendo dalla ideale "rottura" del quadro si concretizza collocando in uno spazio definito, ma potenzialmente infinito, i suoi "frammenti ", le sue "scaglie” che nel loro insieme vanno a ricomporre l'opera sulla parete, riconfigurandosi secondo una nuova relazione con la spazialità. Una operazione di grande valore concettuale che – come spiega il critico Bruno Corà – rimanda alla concezione spaziale dei Quanta sviluppata negli anni Sessanta da Lucio Fontana.
Intensa la sua attività espositiva con mostre personali in spazi pubblici e privati in Italia e all'estero. Tra le più significative quelle al Kunstverein Villa Franck di Ludwigsburg, al Musèe d'Art di Langres, alla Versiliana di Forte dei Marmi. Ha inoltre partecipato a numerose collettive in importanti musei, tra i quali: la Galleria Civica di Torino, il Musèe d'Art moderne di Parigi, la Galleria Nazionale di Roma, Villa Arson di Nizza, la Kunsthalle di Darmstadt, il Palazzo della Permanente di Milano, la Landsgalerie di Linz, la Dumontkunsthalle di Colonia, la Galleria d' Arte Moderna di Bologna, il Palazzo delle Esposizioni di Roma, il Mann di Mosca. E' stato invitato alle edizioni del 1986 e del 1997 della Biennale di Venezia e a quelle del 1986 e del 2005 della Quadriennale di Roma. Le sue opere sono entrate in prestigiose collezioni e un suo lavoro è esposto in permanenza al Museo del Novecento di Milano.