Pizzi Cannella – En plein air 2019
I quadri di Pizzi Cannella raccontano tutti una storia, o meglio un capitolo di una storia che si intrama e che si dipana aprendo più di un dilemma. Una storia di ricerca, di esplorazione, di viaggio.
Comunicato stampa
Testo di Franco Rella
Pizzi Cannella. Una storia per immagini
Lux seipsam et tenebras manifestat
Baruch Spinoza
1. “I quadri che mi piacciono di più, ha scritto Javier Cercas, sono quelli che appena li vedo mi ispirano una storia o un dilemma reale, che è ciò che una buona storia prospetta quasi sempre”. I quadri di Pizzi Cannella raccontano tutti una storia, o meglio un capitolo di una storia che si intrama e che si dipana aprendo più di un dilemma. Una storia di ricerca, di esplorazione, di viaggio. Qui, in questa nuova sequenza di nove quadri, su cui torneremo, siamo di fronte a un nuovo capitolo che narra l’attraversamento dell’ombra, quando in opere del passato talvolta la luce sembrava illuminare non la cosa ma le tenebre stesse. Siamo ora di fronte al tentativo di riconquistare la luce, e con la luce abbiamo anche la riconquista dei colori del mondo, come fossero colori mai visti prima. E poi, alla fine, la conquista del bianco, che è forse al di là sia dell’ombra che della luce, che di fatto, come scrive lo stesso Pizzi Cannella, nel suo eccesso è ombra, è invisibilità. È qui che si apre, a mio giudizio, un nuovo capitolo della storia che Pizzi Cannella ha via via tracciato con il suo lavoro nel corso della propria vita. Si apre un nuovo capitolo, si apre una nuova strada, un nuovo itinerario che deve essere ancora esplorato, su cui è necessario interrogarsi.
2. Pizzi Cannella ha guardato nell’ombra, nel paradossale splendore dell’ombra quando, per esempio in Salon de musique della grande mostra di San Pietroburgo[1], sembrava che i lampadari splendessero proprio per rendere manifesta, per rendere visibili l’oscurità e la notte. Questa esperienza del buio e della notte è forse una delle tappe più intense che hanno portato ora l’artista faccia a faccia con la luce abbagliante dell’oro, con i colori ritrovati, e infine con il bianco. Ma cosa cercava nell’ombra? Dove conducevano i viaggi condotti attraverso mappe immaginarie che conducevano sempre ad un altrove, come ha scritto René Daumal ne Il monte analogo, attraverso “linee e tracciati non euclidei”? D’altronde l’artista è un viandante e una delle figure in cui da sempre si è identificato, o meglio è stato identificato, è quella mitica di Orfeo, in viaggio negli inferi per sottrarre Euridice alla morte. Ma il mito di Orfeo è ambiguo e inquietante. Vince e perde contemporaneamente. Infatti egli incanta con la sua arte gli dei della tenebra, dell’eterna notte dell’Ade, e riconquista Euridice per perderla subito, perché non ha resistito alla tentazione di voltarsi, di guardare verso la sua vittoria. Alla fine Orfeo sarà anch’egli dilaniato dalle menadi, come se la vittoria sulle tenebre e sulla morte non fosse mai perfetta e definitiva. Orfeo, come leggiamo nei frammenti orfici, sapeva che Fanes, il dio della luce, abita le dimore della notte. C’è forse una contiguità tra la luce e la tenebra, come d’altronde tra la vita e la morte. Forse, come ha scritto Calderon de la Barca, “un lampo di luce è scritto nell'aria con l'ombra”.
3. In tutti i quadri di Pizzi Cannella emergono, come sottratti dall’ombra, fiori, perle, sedie, vesti, vasi, perle, coralli, luoghi e persino sguardi misteriosi. Una sorta di ansia redentiva sembra animarlo, e spingerlo negli anfratti della memoria, per portare alla luce schegge, frammenti di cose che lì si sono perdute. Infatti, come scrive S. Agostino, “i campi e gli antri, le caverne” sono “incalcolabilmente popolati da specie incalcolabili di cose”, cose che si sono allontanate da noi, cose che ormai appartengono al tempo perduto. Marcel Proust ha scritto migliaia di pagine Alla ricerca del tempo perduto per scoprire alla fine che solo l’arte ha la capacità di restituircelo, anche se in un quadro pieno di spazi vuoti, pieno di ombre. Walter Benjamin, il grande lettore di Proust, pensava che la ricerca del tempo perduto, di ciò che è passato, fosse il compito più alto che ci si poteva assumere, dal punto di vista conoscitivo, ma anche etico e politico. Noi, ha scritto nelle tesi Sul concetto di storia, siamo venuti al mondo dotati di “una debole forza messianica su cui il passato ha diritto”. Il passato chiede di essere salvato da noi. Ma nel buio del passato non si trovano soltanto cose. Benjamin aveva meditato sulla speculazione della grande mistica ebraica con l’amico Gershom Scholem, che ne è stato il più grande studioso. Isaac Luria, uno dei più grandi cabalisti, ha scritto che quando Dio si è ritirato dal mondo si sono spezzati i vasi della luce, e schegge di luce si sono nascoste nell’opaco della materia. Lo sprofondamento negli abissi della memoria, non è quindi teso soltanto a ritrovare cose perdute. Si tratta, anche per Benjamin, di liberare la luce imprigionata nel buio della materia. Si tratta anche per un artista di ritrovare, tra le molte cose che emergono insieme alla luce anche la pittura stessa, la pittura perduta.
Mucciaccia Contemporary
12 ARTISTS OF TOMORROW
La Galleria Mucciaccia Contemporary presenta al pubblico la mostra 12 artists of tomorrow, a cura di Cesare Biasini Selvaggi, aprendo la programmazione espositiva della nuova stagione 2019-2020.
In mostra i lavori di 12 artisti italiani (tra cui un trio) nati dopo il 1980. L’esposizione, con un voluto taglio generazionale, è la prima di una serie di collettive periodiche di verifica e scoperta dei talenti del nostro Paese, e rappresenta uno spin-off (con il 5% degli autori presenti) del fortunato progetto editoriale “222 artisti emergenti su cui investire. Selezionati dai più prestigiosi curatori, critici, giornalisti e gallerie d’arte”, il focus realizzato nel biennio 2018-19 dal curatore della mostra per Exibart.
Dalla pittura alla scultura, dall’installazione alla fotografia, dalla ceramica alla tessitura, sono diversi i linguaggi e gli indirizzi di sperimentazione rintracciabili in questo progetto espositivo che, attraverso gli artisti invitati, intende presentare una proposta ragionata e condivisa sulla giovane arte in Italia.
Gli artisti in mostra sono: Dario Agrimi (Atri, 1980), Roberto Alfano (Lodi, 1981), Giulio Alvigini (Tortona, 1995), Canemorto (Milano, 2007), Diego Cibelli (Napoli, 1987), Francesco Levy (Livorno, 1990), Matteo Negri (San Donato Milanese, 1982), Francesco Pacelli (Perugia, 1988), Viola Pantano (Alatri, 1987), Laurina Paperina (Rovereto, 1980), Dario Picariello (Avellino, 1991) e Nicole Voltan (Mestre, 1984).
“L’intenzione dichiarata di questo progetto espositivo, al suo primo appuntamento, è quella di offrire un piccolo spaccato della multi-individualità di andature teoretiche e tematiche della ricerca artistica italiana più giovane che trova, colpevolmente, ancora troppo pochi spazi di promozione e sostegno soprattutto in ambito pubblico. Per favorire un dibattito allargato, anche acceso, in un Paese come l’Italia che stenta sempre a narrarsi. Peraltro, l’immersione nel mondo della ricerca emergente, più che mai in un territorio nazionale storicamente incline come il nostro, è sempre entusiasmante. Per me un vero e proprio privilegio. Come in questa occasione” dichiara il curatore della mostra, Cesare Biasini Selvaggi.
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Carlo Cambi Editore, con testi del curatore di approfondimento sulla ricerca degli artisti selezionati e sulle loro opere esposte.