Plamen Dejanoff – Foundation Requirements
La fondazione presentata da Dejanoff come uno spazio culturale pubblico, prevede la costruzione di una biblioteca, di un cinema, di uno spazio espositivo e di un laboratorio per la produzione artistica, oltre a una serie di appartamenti per residenze. Il progetto “The Bronze House” oltre a rappresentare un diagramma immaginifico e modulare della fondazione, costituisce un prezioso veicolo di marketing strategico, funzionale a raccogliere i fondi per la realizzazione della stessa.
Comunicato stampa
A proposito di Veliko Tărnovo e della Fondazione istituita da Plamen Dejanoff nella sua città natale, sulle pagine finanziarie, risalenti al 2005, 2006, di diversi quotidiani britannici, tra cui “The Telegraph”, “The Indipendent”, si legge che c’era molto fervore intorno al boom del mercato immobiliare bulgaro. Si scriveva di un incremento annuale costante del 6-7%, con picchi del 25%, o addirittura del 100% nella zona costiera. Una proprietà che in Inghilterra aveva una quotazione di 150.000 sterline, in Bulgaria si poteva acquistare per 11.000 sterline. A quel tempo il governo bulgaro aveva incentivato poi gli over 50 residenti all’estero, a ritornare in patria a spendere la pensione. La zona collinare di Veliko Tărnovo fu presa d’assalto dagli inglesi. Non ricordiamo se fu lo stesso sindaco dell’antica capitale o l’amministratore di una città limitrofa che affermò: “When the Brits arrive, services improve, infracstructure gets better, and jobs are created”. Intanto Veliko Tărnovo , già lodata da Le Coubusier, per l’organicità della sua architettura, era stata inserita dalla “Lonely Planet” tra le mete top ten dell’Europa dell’est, alla stregua di Praga, di Cracovia e della Transilvania. Sulla celebre guida si legge: “The evocative capital of medieval tsars, sublime Veliko Tărnovo ”.
Accade proprio nel 2006, quella che definimmo “la virata manifatturiera” del percorso di Plamen Dejanoff, in cui l’artista sembrò indicare il prodotto della manifattura, a mezza strada tra quello artigianale e l’oggetto massificato dell’industria trastificata, come l’ultima frontiera del lusso. Sia per il costo più basso del lavoro, che per l’abilità competitiva delle maestranze bulgare, con il progetto “Planet of Comparison”, Dejanoff spostò la sua produzione artistica nell’ Est. Fu allora o poco dopo, che decise di acquistare una serie di proprietà a Veliko Tărnovo e, a posteriori, in considerazione al “Kapitalischer iper/super Realismus” di matrice altamente performativa e riflessiva rispetto al trend economico, che connota l’opera di Dejanoff, ci siamo più volte domandate se non si trattasse di una speculazione immobiliare bella e buona, trapiantata, secondo le modalità dell’artista, nel terreno dell’arte per sentirsi veramente “a casa”.
Fu intorno al 2009 che Dejanoff decise di trasformare le proprietà in Veliko Tărnovo , istituendo una fondazione e iniziando a delinearne il contorno.
Intanto, come si legge su una pagina del 2012 del “Finantial Mirror”, nel 2009 la crisi che ha colpito i paesi dell’Eurozona, aveva bruscamente arrestato il rialzo del mercato immobiliare in Bulgaria.
La fondazione presentata da Dejanoff come uno spazio culturale pubblico, prevede la costruzione di una biblioteca, di un cinema, di uno spazio espositivo e di un laboratorio per la produzione artistica, oltre a una serie di appartamenti per residenze. Il progetto “The Bronze House” oltre a rappresentare un diagramma immaginifico e modulare della fondazione, costituisce un prezioso veicolo di marketing strategico, funzionale a raccogliere i fondi per la realizzazione della stessa. L’ambiente scultoreo della Bronze House è stato ideato per adattarsi a spazi, culture e paesaggi e per ampliarsi e trasformarsi, se non nell’essenza nell’apparenza, a ogni tappa espositiva in cui è stato presentato: Mumok, Vienna; Mac, Vienna; Hamburger Kunstverein, Amburgo; Mambo, Bologna; Frac Champagne – Ardenne.
Plamen Dejanoff ha comparato la sua idea di Fondazione a Veliko Tărnovo , alla Chinati Foundation, istituita da Donald Judd negli anni ’70. Finanziata inizialmente dalla Dia Foundation di NewYork, è stata aperta al pubblico nel 1986, come istituzione indipendente, senza finalità lucrative, finanziata con denaro pubblico.
E’ trascorso molto tempo dalla prima volta che incontrammo il lavoro di Plamen Dejanoff, anzi il lavoro di Heger/Dejanov, perché allora si chiamava Dejanov e lavorava con Swetlana Heger. Fu in occasione della mostra “After the Wall – Art and Culture in Post- Communism”, partita dal Moderna Museet di Stoccolma, e che noi vedemmo a Berlino, allestita alla Hamburger Bahnhof, nel dicembre del 2000. Dentro a quella mostra, di cui Dejanoff non si mostrò mai particolarmente entusiasta, l’opera di Heger/Dejanov ci sembrò comunicare in un linguaggio diverso. Soltanto molto dopo, seguendo Plamen Dejanoff nei diversi progetti (“Collective Wishdream of Upperclass possibilities”; “Planet of Comparison”; “The Bronze House”; fino a “Foundation Requirements”), ci siamo accorte che non si trattava di un idioma altro, bensì di un accento strano, che sfuggiva a qualsivoglia classificazione. L’inclassificabilità è sempre stata la cifra del lavoro di Dejanoff, insieme all’estetica accattivante e alla capacità metamorfica intesa come metodo, e senza voler citare Engels, né tantomeno Marx e il Capitale, si potrebbe ricondurre comunque a una qualche forma di materialismo storico, sulla scia dell’evoluzionismo economico neo-liberista.
Abbiamo visto tante persone indossare l’eschimo sopra al tight, in minoranza sensibile sono coloro che indossano l’eschimo sotto al tight.
A differenza degli artisti esuli dalla “cortina di ferro”, che negli anni ’60, ‘70 dosavano magistralmente l’ironia mettendo a fuoco il galoppo economico baldanzoso della Germania del secondo dopoguerra, il lavoro di Plamen Dejanoff appare a-critico e se contiene ironia, è ben sigillata all’interno. D’altra parte l’ironia, per quanto aspra, implica comunque una certa dose di ottimismo, determinata rispetto agli artisti del Realismo Capitalista, dalla presenza sulla scena storica, di un’alternativa, per quanto imperfetta. L’orizzonte che ci presenta Plamen Dejanoff è privo di alternativa, è volto verso un’economia di comando e pianificazione centralizzata e globale.
Talvolta il lavoro di Dejanoff, per eccesso rappresentativo mimetico, ci appare come una specie di vaccino omeopatico potentissimo, contro il capitalismo del profitto pianificato che ha indotto gli Stati, da una parte a dismettere, più o meno velocemente, il welfare rendendo più profonde le crepe tra le classi sociali, dall’altra, sul fronte internazionale, ha scavato una voragine tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. A volte il lavoro di Dejanoff ci appare anche densamente romantico, di un romanticismo malinconico, tanto da farci immaginare che la Bronze House, sta a Veliko Tărnovo , in Bulgaria, come la Colonna Infinita di Brancusi sta a Târgu Jiu , in Romania. La Bronze House come una sorta di totem.
Da pinksummer per questa quarta personale, Plamen Dejanoff presenterà il progetto “Foundation Requirements”, il rimando è andato diretto all’ultima Biennale di Architettura di Venezia diretta da Rem Koolhaas, dal titolo “Fundamentals”. Koolhaas ha voluto concentrarsi su quegli elementi fondanti dell’architettura, che ogni architetto in ogni luogo e in ogni tempo ha inevitabilmente utilizzato , tipo soffitto, pavimento, porta ect. L’intento è stato quello di costruire una biennale sull’architettura e non sugli architetti, come se gli architetti fossero un ostacolo al naturale fluire dell’architettura. Nel contempo Koolhaas ha dato ai padiglioni nazionali da svolgere il tema “Absorbing Modernty”, in cui veniva chiesto di ripercorrere la storia degli ultimi 100 anni delle culture e delle architetture locali, chiedendo di individuare, nel bene e nel male, come avessero reagito alla Modernità.
Questo passaggio di Koolhaas, anche se diversamente motivato, ci è parso, da una parte un curioso richiamo all’ordine, dall’altra un rifiuto temporaneo, forse lungo quanto la durata della mostra, tipo Lars Von Trier del periodo “Dogma”, dell’architettura aulica, in favore della “not pedigree architecture”. In questo senso l’operazione ha richiamato alla memoria Bernard Rudofsky, che seppure non abbia lasciato segni fondamentali rispetto all’architettura fattiva, tranne per gli splendidi sandali Moon, indossati, tra le altre, da Jacqueline Kennedy e Jane Birkin, ha dato profondo fiato antropologico a parecchia architettura degli anni’70, con la famosa mostra presentata al MOMA nel 1964 “Architecture without Architects”.
Questo lungo discorso sui periodici richiami all’architettura vernacolare era utile a fornire un pretesto giustificativo a un artista che nei primi anni del 2000 aveva scelto di vivere a Berlino in una casa di Hackesher Markt, disegnata da Emst&Gruntuch, arredata con sedie in vetroresina di Marc Newson, e lampade Vistosi anni’50, e che adesso con il progetto “Foundation Requirements”, presenterà da pinksummer le repliche dei fondamenti/ornamenti delle case tradizionali bulgare, in modo autonomo, come fossero sculture, vantandosi degli incastri fatti a mano e dell’assenza di colla e di viti di un parquet.
Accanto alle repliche dei “fundamentals” dell’architettura locale bulgara, Plamen Dejanoff presenterà una serie di covers di locandine di film, questa volta, internazionali, al cui titolo originale ha sostituito il suo nome.
La galleria è aperta dal martedì al sabato, dalle 15.00 alle 19.30.
Pinksummer Palazzo Ducale-Cortile Maggiore Piazza Matteotti 28r 16123 Genova Italy
t/f +39 010 2543762 [email protected] www.pinksummer.com
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PLAMEN DEJANOFF
Foundation Requirements
Opening February 20th 2015, h 6.30 p.m.
Press release
About Veliko Tărnovo and the Foundation created by Plamen Dejanoff in the city where he was born, the financial pages of several mainly British newspapers of the years 2005-2006, such as “The Telegraph” and “The Indipendent” testify that there was a lot of excitement around the booming of Bulgarian real estate market at that time. They wrote about a 6% 7% consistent annual increment, with peaks of 25% and up to 100% increment in some coastal areas. A property estimated around 150.000 GBP in England was sold for 11.000 GBP in in Bulgary.
In those years, the Bulgarian government encouraged people over 50 living abroad to come back to their country to spend their retirement salaries in their homeland. British stormed the hills of Veliko Tărnovo . We do not remember if the mayor of Veliko Tărnovo or the administrator of a city in that area affirmed: “When the Brits arrive, services improve, the infrastructures gets better and jobs are created”. In the meantime Veliko Tărnovo , formerly praised also by Le Corbusier for the organic features of its architecture, was inserted by “Lonely Planet” guide among the top 10 place to visit in Eastern Europe, together with Prague, Krakow and Transylvania. On that famous guide, one can read: “The evocative capital of medieval Bulgarian tsars, sublime Veliko Tărnovo ”.
It happened just around 2006 what we defined a “drift toward craft production” in Plamen Dejanoff research, when the artist seemed to indicate craft manufacturing, something between handicraft and corporate industry production, as the ultimate frontier of luxury.
Because both of the lower cost of work and the competitive skills of the workers, with his project “Planet of Comparison” Plamen Dejanoff decided to move the artistic production to East Europe. It was then, or little later, that he decided to acquire some properties in Veliko Tărnovo , and afterwards, in reference to his “Kapitalischer Iper/Super Realismus” and the performative and imitational matrix in respect of the economic trend that is distinctive of Dejanoff work, we asked ourselves many times if that was actually some kind of real estate speculation transplanted into the art field, where he indeed feels as comfortable as at home.
It was around 2009 that Dejanoff decided to transform his property in Veliko Tărnovo , by creating a foundation and by starting to outline it.
In the meantime, according to what was published by “Financial Mirror” in 2012, in 2009 the crisis that hit the countries of the Eurozone slowed down abruptly the rise of the prices of Bulgarian real estate market. The foundation presented by Plamen Dejanoff as a public space envisaged the construction of a library, a movie theater, a venue, a workshop for artistic production and also a series of apartments for artist residences. The “Bronze House” project, apart from being an imaginary and modular diagram representing the foundation, is a precious strategic marketing vehicle, useful to raise funds to make the foundation happen.
“Bronze House” was conceived to adapt to diverse rooms, cultures and landscapes, to grow bigger and to transform, if not in its essence in its appearance, every time that it is presented and displayed: Mumok, Mac, Mambo, Hamburg Kustverein, Frac Champagne-Ardenne.
Plamen Dejanoff purchased his idea for the Veliko Tărnovo foundation at Chinati Foundation, created in the 70s by Donald Judd. Initially supported by Dia Foundation, New York, it opened to the public in 1986 as an independent no-profit institution, financially supported with public funds.
A long time has gone since we first time met Plamen Dejanoff work, actually Heger/Dejanov work as he called Dejanov back then and was working together with Swetlana Heger. It was on the occasion of the exhibition “After the Wall. Art and Cultures in Post-Communism” that opened at Moderna Museet, but that we saw in Berlin at the Hamburger Bahnhof in December 2000. Inside that exhibition, with which Dejanoff has never been particularly happy, Heger/Dejanov work looked like communicating in a different language to us . Much later, after having followed several Plamen Dejanoff projects (“Collective Wishdream of Upper Class Possibilities”, “Planet of Comparison”, “The Bronze House” until “Foundation Requirements”), we eventually realized that it was not a different language, but a strange accent instead, something that escaped any classification. The impossibility to classify it has always been a distinctive feature of Dejanoff work, together with its aesthetic appeal and its metamorphic quality adopted as a method, which, not to mention Engels or Marx’s Capital, could be related to some kind of historical materialism, following the neo-liberal evolutionary economy.
We saw many people wearing denim over tuxedo, but those who wear denim under tuxedo are a significant minority.
Unlike the artists in exile from the “iron curtain”, who in the 60s and 70s mastered the art of adding irony while focusing Germany’s self-confident financial gallop after WW2, Plamen Dejanoff work seems noncritical and, if there is any irony in it, it is well sealed deep inside it. After all, irony, no matter how bitter can it be, involves some optimism anyway, provided to the artists of Capitalist Realism by the presence of an alternative solution, even though imperfect. The horizon presented by Plamen Dejanoff has no alternative solution, it pictures an economy of command and a centered global planning.
Sometimes Dejanoff work, for it mimetic imitational excess, appears to us as a kind super powerful homeopathic vaccine against the capitalism of planned profit that force nations to dismantle welfare more or less quickly by making cracks between social classes deeper and, on the other hand, on an international scale, dug a chasm between developed and developing countries . Sometimes Dejanoff work appears densely romantic too, a melancholic romanticism, enough to let us imagine that the “Bronze House” is to Veliko Tărnovo , Bulgary, what Brancusi 's Endless Column is to Targu Jui in Romania. The Bronze House as some kind of totem.
For his fourth solo show at pinksummer, Plamen Dejanoff will present the project “Foundation Requirements”, which take us straight back to last Venice Biennale of Architecture, curated by Rem Koolhaas and titled “Fundamentals” Koolhaas decided to focus on those fundamental elements of architecture, that any architect has necessarily used anywhere and anytime, such ceiling, floor, door, ect. His intention was to make up an exhibition about Architecture and not architects, as if architects were an obstacle to the natural flow of architecture.
At the same time Koolhaas assigned the theme “Absorbing Modernity” asking the “nations” to tell about last 100 years history of local culture and architecture and to account on how, for better or for worse, they reacted to Modernism.
On one end, the action of Koolhaas seemed to us a curious return to order, even though with a different motivation; on the other hand, that looks like a temporary refusal, lasting perhaps as long as the exhibition did, of the aulic architecture in favor of the “not pedigree architecture” such as what Lars Von Trier did in his “Dogma” period in terms of filmaking. In this respect, such an action has reminded us of Bernard Rudofsky, who, even though he did not left any fundamental marks regarding factual architecture except the splendid Moon sandals, wore by Jacqueline Kennedy and Jane Birkin among others, gave an anthropological breath to quite some 70s architecture with his famous exhibition “Architecture without Architects”, presented at MOMA in 1964.
Such a long discourse on the recurring reminders of vernacular architecture was useful to justify an artist who in the early years 2000 chose to live in Berlin in a house designed by Emst&Gruntuch on Hackescher Markt, furnished with plastic seats by Marc Newson and Vistosi’s lamps from the 50s, and who now with his new project “Foundation Requirements” presents at pinksummer some replicas of foundations/ornaments of Bulgarian traditional houses, independently displayed as they were sculptures, bragging about handmade joints and the absence of any glue and screws of a parquet flooring.
Beside the replicas of the “fundamentals” of local Bulgarian architecture, Plamen Dejanoff will present a series of international movie posters covers, on which he replaced the original title with his name.
The gallery is open from Tuesday to Saturday, 3.00 p.m.- 7.30 p.m.