Poor but sexy

POOR BUT SEXY prende il titolo dallo slogan coniato dall’ex sindaco di Berlino, Klaus Wowereit, nel tentativo di ridefinire l’immagine della città dopo la caduta del Muro, enfatizzando quanto potesse essere attraente per l’Occidente grazie alla sua vasta infrastruttura e alla forza lavoro a basso costo.
Comunicato stampa
POOR BUT SEXY prende il titolo dallo slogan coniato dall'ex sindaco di Berlino, Klaus Wowereit, nel tentativo di ridefinire l’immagine della città dopo la caduta del Muro, enfatizzando quanto potesse essere attraente per l'Occidente grazie alla sua vasta infrastruttura e alla forza lavoro a basso costo. Lo slogan diventa così un emblema del destino dell’Est dopo il 1989, visto da una prospettiva filo-occidentale. Ma non solo: rappresenta anche una sintesi delle polarizzazioni attuali tra Oriente e Occidente, come descritto in Poor But Sexy: Culture Clashes in Europe East and West dell’autrice polacca Agata Pyzik (2014, Zer0 Books). Il libro di Pyzik esplora la "storia nascosta" dell'Est, attraverso il suo travagliato e spesso subalterno rapporto con l'Occidente, un fenomeno che le persone dell'Est – specialmente della classe media – tendono a interiorizzare. Dalle pratiche artistiche alle sottoculture, dal post-punk alla fascinazione di Bowie per il Blocco Orientale, dall'orientalismo all'autocolonizzazione, Pyzik rifiuta sia la nostalgia per i "bei vecchi tempi" sia il desiderio di diventare una "parte normale" dell'Europa.
Partendo da questa provocazione, POOR BUT SEXY presenta le opere di Ala Savashevich (1989, Bielorussia), Anastasia Sosunova (1993, Lituania), Dominika Olszowy (1988, Polonia), Mila Panić (1991, Bosnia ed Erzegovina), Miroslav Tichý (1926 – 2011, Repubblica Ceca) e Nikita Kadan (1982, Ucraina). Attraverso una molteplicità di prospettive che spaziano tra generazioni, linguaggi e geografie, la mostra si configura come una capsula del tempo, uno sguardo in un archivio vivente di un presente frammentato e obliquo. Ogni opera si relaziona intimamente alle altre, occupando uno spazio comune in cui si intrecciano esperienze, genealogie e microstorie.
L’esposizione si apre con l’opera di Dominika Olszowy, che fonde realtà e finzione in una rappresentazione inquietante dell’esistenza contemporanea. Final Push introduce un corpo transgender con scarpe piene di caffè, motivo ricorrente nella sua pratica e simbolo sia dei rituali quotidiani sia dell’accelerazione capitalista. Tra brutalità, ironia e critica femminista, il lavoro di Olszowy incarna uno spirito di emancipazione surreale.
L’indagine sul corpo prosegue nell’estetica malinconica della pole dance di Anastasia Sosunova con Preyer, che alterna riprese documentarie e messa in scena in un loop perpetuo di autorappresentazione. Con toni giocosi e sensuali, l’audio dell’opera diventa una colonna sonora per l’intera esposizione.
In dialogo con essa, un’opera della serie Refigured esplora l'eredità della stampa alternativa, rielaborando visivamente la propaganda sovietica, le pubblicazioni LGBTQ+ e gli archivi personali. Ispirati alla tipografia underground lituana ab, attiva tra gli anni ’80 e ’90 a Kaunas, questi lavori riflettono sulla resistenza, sull’identità e sul potere delle immagini in contesti di censura politica.
Ala Savashevich approfondisce la pratica dell’autoggettivazione con Pose. Position. Way., analizzando come la postura di un corpo possa determinare accettazione o esclusione sociale. L’uso di immagini simboliche – come tacchi sagomati a stella sovietica – evidenzia l'eredità persistente delle ideologie del passato nella costruzione dell'identità personale e di genere.
I disegni voyeuristici di Miroslav Tichý, prodotti attraverso lo sguardo maschile, offrono una prospettiva ambigua sul corpo femminile e sulle dinamiche di potere legate all'atto di guardare. Più in generale, la sua pratica artistica – segnata dall'isolamento e dalla deliberata mancanza di supporto istituzionale – riflette il ruolo marginale degli artisti dell'Est Europa nel sistema dell'arte globale, dove le loro opere sono spesso trascurate o relegate ai circuiti underground.
La serie Südost Paket di Mila Panić sposta l’attenzione dal corpo agli oggetti come depositari della memoria. Con monete bosniache nascoste in uno pneumatico, l’opera evoca i lunghi viaggi in autobus tra Bosnia e Germania compiuti dall’artista. Oggetti quotidiani diventano segni di identità e folklore, riflettendo l’ambivalenza della migrazione e i suoi risvolti emotivi: paura e ansia, ma anche entusiasmo, gioia e solidarietà.
L'esposizione si chiude con la serie Dream Flags di Nikita Kadan, in cui frammenti di lastre metalliche distrutte dai missili in Ucraina vengono trasformati in bandiere, accompagnate da trascrizioni di sogni raccolti a Kyiv durante le lunghe notti di bombardamenti. Queste opere interrogano il ruolo dell'arte nella testimonianza dei crimini di guerra e del dolore collettivo, fungendo da monito sul conflitto in corso e sul suo impatto sulle relazioni tra Est e Ovest.
Unendo pratiche e poetiche diverse, POOR BUT SEXY esplora storia, memoria e identità. La mostra reimmagina il senso di appartenenza non come una condizione fissa, ma come un atteggiamento dinamico e in continua evoluzione. Intrecciando storie personali e politiche con accenti surreali, l'esposizione svela un linguaggio visivo crudo che celebra il DIY e l’imperfezione – tratti distintivi dell’arte dell’Europa dell’Est. Giocosa ma seria, "poor but sexy" genera un dialogo tra corpi, oggetti, fantasie e sogni.
La mostra è stata organizzata con il sostegno del Consolato Generale di Polonia a Milano e dell'Istituto Polacco di Roma.
Nikita Kadan (1982, Ucraina) vive e lavora a Kyiv, Ucraina.
La pratica artistica di Nikita Kadan integra installazione, grafica, pittura e arte pubblica, spesso realizzata in collaborazione con architetti e attivisti. Il suo lavoro affronta in modo critico le esperienze sociali, culturali e politiche dell’Ucraina e la loro relazione con l'epoca sovietica. Nikita è interessato a come la storia viene ricordata e rappresentata nei media e nella cultura visiva. Nelle sue opere più recenti, l’artista crea opere che rappresentano una testimonianza della guerra russa in Ucraina.
Dominika Olszowy (1983, Polonia) vive e lavora a Varsavia, Polonia.
La ricerca di Dominika Olszowy incorpora vari linguaggi, tra cui installazione, video, performance, in una fusione unica di verità e finzione. Il lavoro di Olszowy trae ispirazione dal teatro amatoriale, del cabaret e dei talk show. Sebbene le sue opere siano radicate nell'esperienza personale, le trasforma in dichiarazioni universali sulla condizione umana, spesso intrise di umorismo sottile.
Mila Panić (n. 1991, Bosnia ed Erzegovina) vive e lavora a Berlino, Germania.
Attraverso l'arte visiva e la stand-up comedy, Mila Panić sfrutta l'umorismo per creare momenti di liberazione, affrontando temi complessi come l'empatia, la politica, la guerra, la migrazione forzata e le situazioni disperate. Nella sua pratica, stand-up comedy, arte visiva e scrittura provengono dallo stesso luogo: un insieme di irritazione, rabbia e follia.
Ala Savashevich (n. 1989, Bielorussia) vive e lavora a Wrocław, Polonia.
Ala Savashevich lavora con scultura, installazione, video e performance. Nella sua pratica affronta temi come la pressione sociale, i meccanismi di controllo e i sistemi oppressivi. In particolare, esplora le tematiche legate alla memoria collettiva, del trauma e della formazione dell'identità in società con esperienze di autoritarismo e patriarcato. Savashevich è interessata ai meccanismi di socializzazione nel ruolo delle donne nei sistemi familiari, nell'istruzione e attraverso la divisione di genere del lavoro.
Anastasia Sosunova (n. 1993, Lituania) vive e lavora a Vilnius, Lituania.
Nella sua pratica multidisciplinare, che combina grafica, scultura, video e installazione, Anastasia Sosunova esplora il potere dei sistemi di controllo, delle tradizioni e delle credenze religiose o enigmatiche nel plasmare il comportamento degli individui e delle comunità di oggi. Riflettendo sulla comprensione e l'analisi delle strutture economiche e spirituali del suo contesto – in particolare per quanto riguarda l'Europa dell’Est e la Lituania – l'artista immagina arene in cui storie personali e collettive, ricordi di eventi passati, leggende, fedi secolari e la reinterpretazione di antiche mitologie coesistono e si intrecciano.
Miroslav Tichý (1926–2011, Repubblica Ceca).
Miroslav Tichý è stato un fotografo che, dal 1960 al 1985, ha catturato migliaia di immagini di donne nella sua città natale di Kyjov in Reppublica Ceca. Usava fotocamere artigianali fatte di tubi di cartone, lattine e altri materiali facilmente reperibili. Successivamente, montava le fotografie su cornici fai-da-te, sfumando il confine tra fotografia e disegno. Dopo la sua morte nel 2011, sono riemersi nuovi lavori – disegni che rivelano il dinamismo di Tichý, evidenziano la sua tecnica e dimostrano che era più di una figura voyeuristica come è stato spesso descritto.