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Informazioni Evento

Luogo
LATO
Piazza San Marco 13, Prato, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

dal lunedì al venerdì 10.00_13.00 | 15.00_19.00

Vernissage
25/05/2019

ore 19

Curatori
Steve Bisson
Generi
arte contemporanea, collettiva

Sconfinamenti fotografici: esperienze a confronto. Una ricognizione sulle geografie possibili del linguaggio visuale, a cura di Steve Bisson.

Comunicato stampa

La mostra propone attraverso un intreccio di fotografie, installazioni, video e pubblicazioni una ricognizione di diverse manifestazioni visuali nel contemporaneo.

A seguire l’inaugurazione, in collaborazione con l’Associazione Culturale SEDICI, il dibattito coordinato da Gaia Vettori con gli autori e il curatore Steve Bisson. L’incontro apre alle 21:30 presso la sede di Via Genova 17/5 a Prato, è parte del ciclo ‘Autori a Corte’ che propone una rassegna di dialoghi autoriali.

«L’odierno panorama storico, almeno nei suoi contesti più occidentali, è indubbiamente legato all’uso stupefacente dell’immagine. L’impiego macroscopico di questa forma espressiva si è esteso oltre i confini noti della catechizzazione, storicamente la religione e quindi la pubblicità e la politica, per coinvolgere la galassia degli individui. L’esplosione di questo fenomeno è recente e non ancora osservato a fondo. La portata endemica di questo cambiamento tuttavia è facile da intendersi poiché agisce potenzialmente attraverso il self service tecnologico sui comportamenti delle singole persone. Un parametro di misura comprensibile lo offrono le stime trimestrali sull’immissione nel mercato dei cosiddetti cellulari intelligenti, che si attestano regolarmente nell’ordine delle centinaia di milioni d’unità.

A questa pervasività del fenomeno si somma la sua vischiosità, ovvero il rischio di provocare dipendenza e disturbi mentali, ben testimoniato dalla crescente letteratura in materia. Di fatto è in corso una mutazione nei termini del nostro rapporto con l’immagine. Semplificando: se per secoli l’uomo ha costruito da sé le immagini oggi possiamo dire che i modi di produzione si sono invertiti. Sempre più è l’immagine a costruire l’uomo. E non a somiglianza di Dio come vuole l’antico testamento, bensì di uno schiavo ignaro che il suo asservimento è il migliore dei mondi possibili.

Dove avviene tutto ciò? Occorre riconoscere dapprima che affianco all’antica geografia degli atlanti vi è il dispiegarsi di altre forme di navigazione e di mappatura del globo sempre più introflesse. Questi spazi, immateriali e planetari, sono determinati dalla supremazia dell’immagine appariscente sull’individuo cosciente, ora sempre più esposto a una secessione interiore, tra un volere profondo succube del dovere superficiale. Quelli che si annunciano sono paesaggi irrimediabilmente annichiliti nei quali è occultato ogni desiderio di contrapposizione e forzata quella visione schizoide indispensabile per accettare con distacco le proprie catene.

L’immagine cessa di essere una rappresentazione oggettiva, intesa come specchio di uno stato d’essere e sottinteso desiderio di conservazione della propria cronaca versus il destino inoppugnabile. L’immagine è disossata di una ragione essenziale e vestita d’illusoria emancipazione. Attraverso un profilo acefalo, il singolo strillone del terzo millennio ha accesso allo spettacolo del divenire senza code all’ingresso, ottenendo i mezzi per dislocare l’essere de-corporizzato in un presente senza fine, in una perenne transitorietà svuotata di futuro, ovvero di possibilità. Siamo nell’orizzonte del “click” come modus operandi, dell’agire fatalmente compulsivo, della schiavitù dell’autocompiacimento, della celebrità come massima aspirazione sociale, della produzione reiterata di massime, aforismi, ricordi insulsi e superflui, della “nientificazione” dell’umanità che si traduce in un’apatica indifferenza. Se vogliamo trovare il carattere necessario a decifrare il mondo attuale dobbiamo partire da questo stato patologico dei sentimenti che si esprime con volti diversi.

Come si sostiene l’Homo Indifferens, la nuova specie umana neutralizzata? È mediante la sostituzione della memoria con un demanio virtuale, provvisorio e a pagamento. Non vi è pertanto spazio tra le nuvole per i miserabili la cui storia sarà cancellata in automatico o resa sempre più frattale, come ha ben illustrato Stefano Parrini nel libro Fail. Nel recinto chiuso del presente obsolescente non vi è margine per l’eco del passato. Il ricordo va devitalizzato o rimosso come un dente fastidioso, come un abito fuori moda, per fare largo a nuovi accumuli di scorie binarie, di byte. È questa la corsa all’oro del futuro che abbatte ogni chance di dissenso critico, poiché il podio è il mezzo più che un fine. Come se non ci fosse un domani.

Tra le righe di questa scrittura distopica resiste ancora un bisogno di “resurrezione” dell’individuo sradicato di prospettiva, che induce talvolta a distanziarsi dalla mondovisione per ragionare sul ruolo del riciclo e della conservazione delle immagini in un’epoca d’ubiquità e di bagni di dopamina. Il lavoro di Andrea Buzzichelli affronta tale questione.

Altra sfida è la lotta alla desertificazione semantica che priva di carne le parole, rende i vocabolari anoressici e i dialoghi balbuzienti. Il manifesto The Era of Beyond Truth di Giovanni Presutti attesta il dislivello prometeico e l’inadeguatezza della specie umana dinanzi alla presenza simultanea di tutti gli accadimenti del mondo, al flusso mostruoso di dati che annientano la capacità di assimilazione e inibiscono la potenza critica di reazione ormai ridotta a smorfie e cuoricini. L’importazione di pappe verbali omogeneizzate e di neologismi seducenti, i decenni di cretinismo a reti unificate elevato a sport nazionale, il dispensare febbrile e diseducativo di volgarità, la carestia pubblica di cultura e la conseguente mercificazione delle arti, dell’editoria e in generale del ruolo intellettuale hanno condotto all’embargo del linguaggio e dei suoi minerali essenziali.

Il terreno che nutre l’immaginazione si fa sempre più arido e il numero delle oasi significanti si riduce drasticamente sotto i colpi di diktat estetici imposti da propaganda e gossip demenziale.

Si moltiplicano così le piantagioni di mono colture visuali nelle quali si fa uso intensivo di fertilizzanti che disinnescano ogni forma di alterità e alimentano un assoggettamento ebete ai canoni della civiltà del consumo e al conseguente carnevale di costumi di massa stagionali. In questo mondo no limits, del presente sconfinato e liberalizzato, dei greggi senza pastore che pascolano disorientati attraverso lande desolate di realtà parziali o simulate, della socializzazione passiva, in questo buio panorama la storia va assottigliandosi e con essa quello spazio sacro che è il silenzio.»

Steve Bisson