Post-Colonial Frames / Landing Americas
La mostra Post-Colonial Frames / Landing Americas propone una selezione di opere di artisti nativo-americani e sudamericani che risaltano nella loro preziosità e luminosità, immerse nell’atmosfera rarefatta, bianca e sobria dello spazio espositivo B#S, consacrato alla ricerca artistica contemporanea.
Comunicato stampa
La mostra Post-Colonial Frames / Landing Americas propone una selezione di opere di artisti nativo-americani e sudamericani che risaltano nella loro preziosità e luminosità, immerse nell’atmosfera rarefatta, bianca e sobria dello spazio espositivo B#S, consacrato alla ricerca artistica contemporanea.
Una mostra che esplora uno dei fenomeni che più hanno segnato la storia, quello del colonialismo europeo nelle Americhe (e le relative conseguenze), guardando al fenomeno da una prospettiva diversa rispetto a quella tradizionale.
Il complesso fenomeno del colonialismo viene catturato nella sua natura multiforme dall’occhio sensibile dell’artista contemporaneo, che reinterpreta i simboli archetipo delle civiltà antiche: la nuova visione, fatta di ossa di grandi animali estinti, frutta esotica e terre bruciate, permette al visitatore di riflettere sui retaggi dell’episodio storico.
In mostra opere di: Cannupa Hanska Luger, Monty Little, Jaime Vera Zarate, Gabriela Golder, Miguel Contreras, Joao R. Ferreira, Frederico Pessoa, Rahel Hegnauer, Andres Salas, Deimion "Peim" Van der Sloot, Marcela Avellaneda.
Come dice l'artista nativo americano Cannupa Hanska Luger, riferendosi al fenomeno coloniale della conquista delle Americhe: “C’è un’altra storia da raccontare”. È la storia narrata dal punto di vista di chi ha subito la colonizzazione, la cui testimonianza è ad oggi purtroppo ancora esclusa dalla maggior parte dei libri di testo e dei sussidiari scolastici.
La mostra propone una nuova prospettiva sulla storia coloniale, veicolando un'estetica in contrasto con il tradizionale stereotipo del mondo nativo-americano caratterizzato da una moltitudine chiassosa di suoni e colori.
Lo spazio americano, vastissimo e vario, ha visto una altrettanto multiforme colonizzazione, basata su forme diverse di oppressione e sfruttamento economico: senza pretese di enciclopedismo, la mostra apre a prospettive incrociate sul fenomeno del colonialismo come multidimensionale e complesso, indagando i lasciti e i retaggi della conquista armata nei territori d’oltre mare, e tratteggiando un nesso forte tra ieri e oggi, inquadrando il fenomeno coloniale come processo “ongoing”, in itinere, ancora in atto.
Ciò che la mostra vuole offrire al visitatore, è un’indagine visiva e sensoriale sugli esiti del fenomeno storico, ricostruendo, con una narrazione multimediale e un linguaggio contemporaneo, le connessioni che sussistono tra le sfera culturale del nostro territorio e quella dei territori d’oltreoceano, facendo ricorso a opere d’arte contemporanea che sono simboliche e dense di rimandi alla sfera archetipica del conflitto: installazioni di videoarte, opere materiche neo-dada e neo-pop, arte sonora e interattiva.
La mostra vuole restituire la visione di “frame” post-coloniali: sono “quadri in movimento”, quelli proposti dagli artisti, che catturano e trasmettono ai nostri occhi un processo nient’affatto concluso.
In mostra, esperienze diverse, che originano dalle storie personali e artistiche dei protagonisti: Cannupa Haska Luger (Lakota Sioux) è uno dei massimi esponenti Nativi Americani in arte contemporanea, e presenta un’installazione ultra-contemporanea ma basata sulla tradizionale arte della ceramica e della tessitura; Monty Little, Nativo americano originario invece di Tuba City (Arizona), appartenente agli Ashiihi, presenta una serie pittorica che parla dell’identità cancellata. Frederico Pessoa, originario del Mato Grosso Brasiliano, racconta un universo sonoro nel quale il trasferimento mnemonico familiare diviene forza-antidoto per la cancellazione della propria identità. Il venezuelano Miguel Contreras, nella sua scultura neo-dada dà forma, attraverso il potente medium del colore, alla violenza della razzia, mentre gli argentini Gabriela Golder e Jaime Vera Zarate, nelle loro opere video, collegano al colonialismo fenomeni complessi più recenti, come la sofferta storia dei desaparecidos, o l’ultimo conflitto coloniale alle Falkland, rappresentando nel paesaggio incendiato il lascito doloroso del fenomeno. Marcela Avalaneda (Colombia) con il suo neo dada, suggerisce la rarefazione della cultura natia, mentre Mariano Goto (Argentina), si interroga sul paesaggio natio. Andres Salas, segue le tracce della diaspora inversa, fino al Canada, e Rahel Hagnauer ritrae la situazione Antillana, mentre Deimion Van der Sloot, oscura i volti della società coloniale nei suoi collages, esprimendo un desiderio latente di capovolgimento.
Immagini simboliche di forte impatto, archetipi che evocano l’estinzione (ossa di grandi mammiferi, incendi) con i simboli dell’esotizzante (l’ananas), spingono lo spettatore a interrogarsi sul ruolo nel processo ancora in corso di impoverimento e disfacimento delle culture native, in un sovvertimento totale della narrativa sul fenomeno coloniale.