Power Shakes
Dal Giappone all’Indonesia e ora al Medioriente. Il terzo ciclo di videorassegne è dedicato alla scena mediorientale con un focus particolare su quella iraniana.
Comunicato stampa
ORIENTI – VISIONI CONTEMPORANEE
ART PROJECT SPACE
VILLA ADA ROMA INCONTRA IL MONDO
Festival Multiculturale
Via di Ponte Salario, 28, Roma- Italy
Programma di video-proiezioni ed installazioni di artisti contemporanei asiatici diretto da Valentina Gioia Levy,
con il contributo curatoriale di Elena Abbiatici e Naima Morelli
dal 4 luglio al 30 luglio
Artisti: Kazuko Miyamoto, Yoko Ono; Krisna Murti, Tintin Wulia, Slave Pianos and Punkasila; Farid Bayan, Arash Irandoust, Haleh Jamali, Hiwa K, Avish Khebrehzadeh, Maziar Mokhtari, Moataz Nasr, Azadeh Nilchiani, Ehsan Shadmani; Li Ran, Liu Wei, Chai Siris.
“Estremo Oriente”, “Medio Oriente”, “Vicino Oriente” sono solo alcune delle definizioni coniate nei secoli per identificare le aree geografiche situate ad est dell’Europa. Il termine Oriente, che deriva dal latino oriens (nascere, sorgere) in riferimento al punto dell’orizzonte dove si leva il sole al mattino, era usato già dai romani in epoca classica mentre le espressioni “Medio Oriente” ed “Estremo Oriente” hanno avuto origine da consuetudini della diplomazia inglese e francese intorno alla seconda metà dell’Ottocento.
Oriente è un termine prodotto dalla cultura europea, tanto che il nome della Cina si traduce come Regno di Mezzo, rivelando una percezione geografica del mondo completamente diversa rispetto a quella eurocentrica. Nell’ambito della cultura contemporanea alla parola “orientale” si preferisce l’aggettivo “asiatico” che connota territorialmente e in maniera più precisa tutto il grande continente ad est dell’Europa.
Il termine “Oriente” resta comunque vivo nell’immaginario europeo e sembra mantenere integro quel fascino intriso di mistero e quel senso di lontananza che nel mondo globalizzato di oggi non avrebbe ragione di esistere, ma che pur permane dietro una parola che inevitabilmente richiama alla mente i viaggi degli avventurieri sulla via della seta, l’impero del Gran Khan, le Mille e Una Notte…
Da un punto di vista culturale, l’Asia è sicuramente il più complesso dei cinque continenti. Un patchwork di aree geografiche, politiche e religiose in continua evoluzione in cui storie, lingue e tradizioni millenarie si eclissano e risorgono intrecciandosi, in alcuni casi, in maniera inestricabile. La rassegna all’interno dell’Art Project Space di Villa Ada Festival Roma Incontra il Mondo vuole presentare una selezione di video di artisti provenienti da vari paesi e regioni dell’Asia che offra la possibilità di osservare questo continente in evoluzione con gli occhi dei suoi stessi protagonisti.
La prima parte della rassegna sarà dedicata al Giappone presentando una selezione di film e video documentazioni di performance di artiste nipponiche nell’ambito di The Pink Gaze a cura di Valentina Gioia Levy e promossa congiuntamente dal Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma e il Museo Carandente di Spoleto. La seconda parte dal 14 al 20 luglio vedrà protagonista l’Indonesia con una selezione a cura di Naima Morelli; mentre la terza parte Power Shakes, sotto la curatela di Elena Abbiatici, si concentrerà sul Vicino e il Medio Oriente. Chiuderanno il ciclo Cina e Thailandia.
POWER SHAKES
IRAN e MEDIORIENTE
a cura di Elena Abbiatici
21 -30 Luglio
h 21
FROM PLACE TO PLACE, FROM FEAR TO FEAR, FROM WALL TO WALL.
FROM SIGHT TO VISION, LOOKING FOR THE OTHER SIDE.
Artisti: Farid Bayan, Arash Irandoust, Haleh Jamali, Hiwa K, Avish Khebrehzadeh, Maziar Mokhtari,
Moataz Nasr, Azadeh Nilchiani, Ehsan Shadmani
Dal Giappone all’Indonesia e ora al Medioriente. Il terzo ciclo di videorassegne è dedicato alla scena mediorientale con un focus particolare su quella iraniana.
Un codice stilistico e linguistico tanto semplice, quanto efficace per tematiche eterogenee: dalla circolarità temporale e spaziale dell’universo, alle ostruzioni di cui questi paesi sono vittima, da traumi tangibili e/o invisibili di relazioni sociali e/o interpersonali all’espressione estetica come esorcizzazione e salvezza. Forme che nascono nello spazio concesso fra la vista e l’immaginazione. Video che dialogano come i due capi di un discorso.
Arash Irandoust (Ahvaz, 1980) sovrappone esperienze sensibili di paesaggi lontani, riti differenti per simili obiettivi. La videoinstallazione On Being God, ci proietta nell’astrazione del nostro universo, ne fa combaciare i confini, invitandoci a seguirne il ritmo, dinamico ma non frenetico. Arash crea sotto l’influenza dell’Haiku, una via saggia per mostrare l’intero, per cogliere ciò che pare inafferrabile. Lavora fra il controllo della materia e la sua totale libertà, concedendo spazio al caso e all’accidente. Le sue video installazioni nascono anche da dipinti sumi su carta e dalla loro trasformazione in qualcosa di più immersivo e universale, un’eco delle singole memorie personali.
Siamo stretti nell’ipersorveglianza del nostro secolo a rapporto con il buio della coscienza con Under Surveillance e Balloon Head Family di Farid Bayan (Isfahan,1982): tanti occhi che osservano nella morsa fra la sorveglianza, la violazione della privacy e il voyeurismo da un lato, e volti coperti da palloncini a negare il tangibile, dall’altro. E poi occhi che osservano una lunga linea muraria, senza soluzione di continuità. Il muro giallo di Yellow Line di Maziar Mokhtari (Esfahān, 1980) pare infinito e ci racconta di limiti, di barriere (architettoniche), di una memoria quasi da cancellare o di una prospettiva da omologare sotto la polvere gialla del deserto. Tanti muri della città fotografati dall’artista, nella loro distintiva caratteristica cromatica, e uniti in un montaggio che, mentre allude all’idea di un confine (forse apocalittico) conserva molti dubbi in sé. Pochi, pochissimi spiragli di cielo, a spezzare un orizzonte che non conosce libertà. Dall’altro lato è facile immaginare chi sta ragionando su come oltrepassare, quel muro.
L’alienazione e la distorsione dei diritti e in particolare dei diritti umani in alcune società è trattata da Haleh Jamali (Tehran) in Feed, dove la copia della Dichiarazione dei Diritti Umani del 1998, triturata, è riofferta in pasto, simbolicamente alterata e abusata – come lo sono i Diritti Umani da alcuni individui ed istituzioni. Un ragionamento sul nutrimento è affrontato anche nel video Tomato to death del giovane Ehsan Shadmani: una donna che lancia incessantemente pomodori verso un uomo, ci parla delle condizioni di lavoro e vita al limite dell’umano cui molti giovani immigrati sono sottoposti nei campi di pomodoro in cambio di una misera paga. Il grave sbilanciamento dell’establishment mondiale.
Moataz Nasr (Alexandria, Egypt, 1961) invece con Father & Son, accende una luce sulla violenza invisibile fra le mura familiari: è la coraggiosa testimonianza di un lungo incontro/confronto con il padre, a cui chiede ragione della sofferenza vissuta nel trio familiare.
Performa una danza a ritmo di battito cardiaco, Hiwa K (Iraq, 1975) in Moon Calendar. Entrato in un edificio costruito negli anni ’80 dal governo di Saddam Hussein, teatro di crudeli torture, traumi e prigionie, dove il ricorso all’electroshock e ad abusi sessuali generò malattie mentali e un altro tasso di natalità fra le donne imprigionate, danza un tip tap gypsie indossando uno stetoscopio. Sentire la testa che scoppia è il limite fra il controllo della ragione e la follia. Ma la danza ha il vantaggio di ridimensionare per qualche minuto il trauma.
Ancora arte per esorcizzare e trasformare il dolore.
A Zoorkhaneh, il luogo per la ginnastica sacra in Iran, questa funzione è affidata a Varzesh-e-Bastani, la tradizionale arte marziale sacra degli iraniani. Il video Zoorkhaneh di Azadeh Nilchiani (Tehran, 1979) ci cala in un gioco di forze morali e fisiche, calibrate in un ritmo acustico e cinetico: un rito morale praticato da secoli dagli uomini, celebrato al ritmo delle percussioni, Zarb-e-zoorkhâneh e, accompagnato dal canto del maestro del Zurkhaneh, il Morshed.
La salvezza inizia, forse, quando ci si immerge nella finzione o la si crea, come fa Avish Khebrehzadeh (Tehran, 1969). In Unnameable dream theater IV (l’innominabile teatro dei sogni), una video animazione appartenente alla omonima serie, alterna sulla scena di un teatro personaggi atipici, atleti o giocolieri che ci concedono un gioco di immaginazione e leggerezza. Scene in cui rifugiarsi e abbandonare o trovare la vera realtà. Senza dubbio penetrare una segreta gioia.
25 luglio- Experimental performance con influenze di musica persiana. Babak Lessan (chitarra), Dario Piccioni (batteria), Francesco Ziello (tastiera).
26 luglio – Una introduzione alla video arte in Iran e ai suoi massimi esponenti, a cura di Ali Gol Mohammadzadeh, laurenando iraniano presso “La Sapienza Università di Roma”
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Si ringrazia: Galleria Continua, San Giminiano, Siena e Studio SALES di Norberto Ruggeri, Roma