Prospettive

Informazioni Evento

Luogo
DOCKS 74 ART GALLERY
Docks Dora, Padiglione G Interno 74, Via Valprato 68, 10155, Torino, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Dopo l’inaugurazione la mostra sarà visitabile previo appuntamento.

Vernissage
09/03/2024

ore 18

Generi
collettiva, urban art

Comunicato stampa

Il Cerchio e le Gocce presenta:
PROSPETTIVE - Visioni sul paesaggio -
Sabato 9 marzo 2024 ore 18:00, spazio espositivo Docks 74, Via Valprato 68 Torino.
Dopo l’inaugurazione la mostra sarà visitabile previo appuntamento.
[email protected]
IG: il_cerchio_e_le_gocce
Quattro artisti “urbani”, Francesco Barbieri, Riccardo “Corn79” Lanfranco, Livio Ninni e Shekoone
presentano i loro personali punti di vista e metodi di immaginare e raffigurare il paesaggio.
Tecniche e approcci molto differenti; pittura, processi chimici di ossidazione, serigrafia,
trasferimenti fotografici e scultura manipolano tele, ferro, legno e cemento alla scoperta della
propria visione intima. Palazzi, capannoni, cascinali, tralicci, linee ferroviarie, spazi vivi e residuali
ci rendono spettatori delle prospettive immaginate da questi quattro artisti di generazioni
differenti. Una ricerca concettuale ed estetica profonda, strettamente legata allo spazio urbano.
RICCARDO “CORN79” LANFRANCO
“Paesaggi che sognano l’astratto”
Il percorso di Corn79 è legato in maniera imprescindibile all’astratto, ad un’estetica dai richiami
onirici, ad una forma di espressione creativa che ha origini nell’ inconscio.
I cerchi – quasi sempre presenti nelle opere di Corn79 – possono essere visti come le forme ideali
immaginate da Pitagora e Platone, e richiamate da Bohm. La meccanica di figure bidimensionali
che anelano la tridimensionalità, i Mandala e la Op Art trovano ragione del loro accostamento nella
ricerca estetica, che si dimostra interpretabile come rivelazione di quell’inconscio che non è solo
individuale, ma collettivo, svelante una sorta di «sincretismo».
Le opere di Corn79 possono, quindi, essere lette anche come un tentativo di fusione fra creazione e
fruizione, alla ricerca della forma perfetta, che riesca ad abbracciare e stringere un tutto
multiforme e indefinitamente esteso, il quale possa conciliare le singole percezioni in un unicum
circolare, infinitamente connesso con sé stesso.
All’interno di questo scenario creativo si sviluppano i suoi ambienti astratti, “Paesaggi che sognano
l’astratto” è una serie di opere che partendo da scatti di alcuni fotografi strettamente legati al
mondo dell’Arte Urbana e del Graffiti-Writing (Luca Giacosa, Livio Ninni e Telling Cities) sviluppa
una serie di Oxigrafie. Lavori fortemente materici che trasformano le fotografie di paesaggio in
astrazioni, la figura che cerca di abbandonare il suo lato materiale.
Da una decina di anni sperimenta il disegno mediante processi chimici su superfici metalliche. È
affascinante l’idea di poter interagire con la struttura chimica di materiali come ferro, zinco e
corten, alterandola attraverso la combinazione di acidi ed elementi che ne ossidano la liscia
superficie, restituendo le forme proprie del suo linguaggio creativo. Un processo controllato nella
sua forma pura ma che lascia libertà alla naturale alterazione della ossidazione il risultato estetico
finale.
SHEKOONE
“Urban Pareidolic Illusion”
Shekoone è un artista torinese classe '99. Si avvicina al mondo dell'arte a partire dal contesto
urbano in cui si è inserito durante gli anni del liceo scoprendo così la passione per i graffiti, punto
di partenza per lo sviluppo di una riflessione artistica dal respiro più ampio. Questa oggi si
concretizza in una forma che prevede la rielaborazione della sua base artistica – i graffiti –
aggiungendovi elementi grafici. In questo progetto, ha deciso di approfondire la pareidolia e
l’illusione che essa comporta.
L’illusione pareidolica è un fenomeno subconscio sito nel cervello umano, esso è infatti portato a
riconoscere forme noteinterno'all di altrettant aventi strutture casuali. La ricerca per lo sviluppo di
questo soggetto si è concentrata sul riconoscimento di lettere entro edifici, fabbricati ed elementi
architettonici propri del contesto urbano torinese.
L’ispirazione che porta all’atto creativo viene dunque sollecitata a partire dall’ambiente
preesistente. Gli elementi tipografici che vi sono stati riconosciuti nella città d’origine dell’artista
sono stati poi fotografati ed elaborati con lo scopo di creare un progetto che abbracciasse la sua
passione per il paesaggio urbano e l’arte di strada che lo caratterizza con la volontà di immortalare
ciò che sta all’esterno per trasportarlo in un contesto nuovo attraverso il linguaggio dell’interior
design.
LIVIO NINNI
“Spazio Spontaneo”
L’intero corpus di opere di Livio Ninni riflette sulla definizione di “spazio spontaneo”.
Un’attenzione, la sua, che si concentra su porzioni di paesaggio nascoste, non ben definite, celate
rispetto allo sguardo comune, ma vive, atte a trasformazioni, ad evoluzioni e soggette a subire
azioni spontanee da elementi antropici e naturali.
Il suo processo creativo parte dalla fotografia, strumento utile all’artista per intercettare un lasso di
tempo impreciso nel quale la porzione di paesaggio scelta diviene spazio incerto, mai più presente e
più che mai mutevole. Le immagini, decontestualizzate e deformanti, confluiscono con elementi
pittorici, segni grafici o solidi scultorei, che producono, sul piano della fruizione, una
manipolazione sensoriale della materia e del tempo.
L’attitudine dell’artista si potrebbe definire anti-formale, capace di spostare l’interesse verso
procedimenti ed esiti che eludono costruzioni standardizzate, superando l’idea di immagine stabile,
predefinita e regolare. Certamente uno spaesamento percettivo che porta lo spettatore in un
territorio nuovo, conducendolo a riflettere sul momento vissuto - frazione minima di tempo mai
più esistente - all’interno di uno spazio indefinito e incerto.
Influenzato dal post-graffitismo, dal 2016, Ninni utilizza una tecnica di trasferimento di immagini
che gli permette di dialogare con tecniche pittoriche differenti e lavorare su supporti materici di
diversa natura e conformazione. La collaborazione con artisti del panorama dell’arte urbana e del
graffiti-writing è di fondamentale importanza per la sua evoluzione e crescita creativa.
FRANCESCO BARBIERI
Un Barbieri lo riconosci.
Riconosci l’atmosfera, gli scenari, l’abbondanza dell’uso della linea, del tratto, della prospettiva. La
ricchezza dei dettagli contrapposta all’assenza di riferimenti spazio-temporali. La scelta della carta,
di una base su cui lavorare, sovrapporre il colore; si distingue l’abuso delle “macchie”, dei materiali.
Qui tutto è voluto. Ciò che vediamo è il risultato della sua ricerca e ogni dettaglio sembra un
indizio. E l’opera, qualunque essa sia, lascia quasi sempre la sensazione che Barbieri occulti
qualcosa. Come se l’autore non volesse più vederla. O non volesse la vedessero gli altri. Una sorta di
distacco necessario, realizzato in un gioco di confusione visiva - talvolta frantumata o, interrotta,
poi anche traslata - che vive in assenza di confini e di limiti e che, per questo, se da un lato tutela
l’autore, dall’altro lo vincola: la sua è una libertà stilistica, non personale.
Perché negli scenari costruiti da Barbieri tutto è incerto, indefinito, onirico, fumoso, occultato,
anche davanti al tentativo - inutile - di sdrammatizzare le foschie più cupe tramite il ricorso a cenni
di colori fluorescenti o a personaggi naif e divertenti appartenuti a un tempo passato. Come anche
l’uso delle insegne vivaci di pubblicità popolari, che Barbieri propone sempre malconce e
sbrandellate - probabilmente eludendo qualsiasi riferimento esplicito al consumismo di Schifano -
assunte, anzi, a un ruolo di comparsa decadente nei suoi contesti senza tempo e senza spazio e che,
in quelle periferie silenziose, sembrano interpretare perfettamente un ruolo preciso in una pièce
teatrale che solo Barbieri conosce.
Mentre le sue periferie emarginate, costantemente prive di presenze umane, non ricordano solo lo
stato di una condizione umana e sociale abnegata o il modo in cui l’evoluzione dell’uomo, nel
tempo, sia stata violentata dall’alienazione originata dai danni di una rivoluzione industriale e
post-industriale, tuttora ingestita. Barbieri sorvola come un regista sulla sua poltrona mobile quei
contesti: cambia la prospettiva, l’altezza, le dimensioni, la luce del sole e della notte, ma non lo fa
mai in modo prevedibile. Perché in quel disordine voluto, ci infila anche l’odore dell’acciaio, delle
vernici, il ferro, la polvere e il silenzio e lo fa arrivare anche a noi. Se ascoltiamo bene i silenzi dei
suoi lavori, riconosciamo anche lo stridere acuto del freno del treno al passaggio sulla rotaia
arrugginita. O il rumore di una gru che si alza lentamente e che seguiamo con lo sguardo mentre la
osserviamo dal basso. Così Barbieri non è più l’autore, ma il protagonista invisibile che abita quegli
scenari e lì, in quei contesti che per lui hanno certamente significato qualcosa, sembra abbia
lasciato una parte di sé. O forse, sono quei contesti che sono ancora dentro di sé e vivono ancora e
appieno dentro di lui, alla stregua di una disillusione, lontana che, pur facendo male, non
riusciamo a mandare via.
Un poeta della tela, oltre che un artista.
Manuela Antonucci, giornalista e curatrice.