Punti linee superfici. Torino 1970
La mostra proposta è dedicata, senza pretese di esaustività, a una serie di artisti che hanno segnato la ricerca degli anni ’70 a Torino.
Comunicato stampa
Punti linee superfici. Torino 1970”. La mostra proposta è dedicata, senza pretese di esaustività, a una serie di artisti che hanno segnato la ricerca degli anni ’70 a Torino; una ricerca complessa anche da un punto di vista teoretico, iniziata in realtà a partire dalla fine degli anni ’60. L’intento è ricordare come diversi siano stati i modi di mettere in questione fondamenti e orizzonti della pittura attraverso destrutturazioni e scomposizioni analitiche del linguaggio formale; e la nostra mostra cerca di farlo immergendo il visitatore in una temperie artistica e culturale molto precisa e unitaria, a prescindere dalle singole, forti individualità che la hanno animata.
Il percorso espositivo si articola attraverso una selezione di opere di nove artisti: Mario Davico, Sandro De Alexandris, Marco Gastini, Gino Gorza, Giorgio Griffa, Horiki Kastutomi, Carol Rama, Piero Rambaudi, Mario Surbone. Passato ormai mezzo secolo abbiamo finalmente gli strumenti adeguati e la giusta prospettiva per cogliere e storicizzare l’essenza più intima della loro poetica. Per alcuni il passaggio tra i ’60 e i ’70 coincise con l’inizio di un riconoscibile percorso individuale, per altri con una messa a fuoco dei confini della propria indagine, per altri ancora con una pausa e una sosta rispetto al cardine fondamentale del loro linguaggio.
Davico e Horiki non hanno mai messo apertamente in discussione la materia della pittura o il metodo di disporla sulla tela: gli Assoluti di Davico, con la loro vibrante trama monocroma “tessuta” a tempera attraverso infiniti segni, testimoniano il punto di arrivo di un dipingere decantato quasi in segreto. Surbone invece, per realizzare i suoi Incisi, sostituiva al disegno l’intaglio “musicale” di forme geometriche a segmenti di profili lineari. Carol Rama, intorno al 1973-1974, approdò alla realizzazione di alcuni lavori con i fili, che la includono tra i protagonisti di questa mostra e che rappresentano una divagazione “minimalista” rispetto alle più note gomme.
Per Gorza la ragione dell’opera non risiede nella sua forma, ma come affermava egli stesso: «Valgono, in vece del formato, le direzioni indicate dallo spostamento dell’osservatore». In questo senso l’artista, attraverso l’atto creativo, gioca con la grammatica della percezione.
La scelta monocroma, per De Alexandris, non è segnata da una uniformità statica, ma è al contrario dinamica e vibrante, in quanto esito di un processo, di un costante tendere «verso». L’artista trasforma il bianco in un attivatore di luce, in un reagente cui è affidato il compito di mettere l’opera in connessione con lo spazio che la accoglie.
Marco Gastini in quegli anni realizzava un tipo di pittura senza pennelli, senza colori, senza tela; iniziava proprio allora a usare il plexiglas in bacchetta o delle lastre su cui faceva cadere macchie di pittura, oppure colate di piombo o antimonio. Il suo lavoro si legava a quello di Giorgio Griffa, con il quale allestì un’importante rassegna nel 1972. Quest’ultimo rimane tuttavia per lo più solitario e non inquadrabile in una corrente specifica: in mostra, accanto a due opere costituite da tragitti lineari, esponiamo un dipinto del 1967, presentato da Griffa alla personale d’esordio alla Galleria Martano (1968).
Piero Rambaudi, infine, autentico outsider accostatosi in quegli anni alla cibernetica, sperimentava in ogni suo progetto un’estesissima possibilità di variazioni, in una continua tensione dialettica tra finito e infinito, tra serie e variazione, tra norma e trasgressione.