Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA GIOVANNI BONELLI
Via Porro Lambertenghi 6, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

da martedì a sabato - 11.00 / 19.00

Vernissage
26/05/2016

ore 19

Artisti
Eva Marisaldi, Claudio Parmiggiani, Pierpaolo Calzolari, Alessandro Piangiamore, Giuseppe Gallo, David Simpson, Jaroslaw Flicinsk
Curatori
Federico Mazzonelli
Generi
arte contemporanea, collettiva

Attraverso un percorso visivo costituito da opere di autori appartenenti a diverse generazioni e con ricerche definite da necessità espressive autonome, e in alcuni casi rispondenti a logiche formali all’apparenza opposte, il termine quai diviene la parola attraverso la quale tornare a visualizzare lo spazio dell’opera come uno spazio essenzialmente poetico, sottratto all’ irrigidimento e alla convenzione linguistica o comportamentale, generatore di una possibilità di senso e di una sua circolazione, anche se in termini di continuo sconfinamento.

Comunicato stampa

ERRATA
Non sai mai dove sei.
CORRIGE
Non sei mai dove sai.
Giorgio Caproni, Il franco cacciatore, Einaudi 1973

Il termine quai (s.m. francese) significa lungofiume, ma anche argine, banchina, riva. E’ un luogo di confine, indica la fine di un insieme spaziale o geografico e al tempo stesso l’inizio di un nuovo territorio, di un orizzonte verso il quale ci troviamo a indirizzare la nostra attenzione. Se Il quai da un punto di vista puramente materiale offre uno spazio concreto e percorribile, esso si fa al medesimo tempo portatore in immagine di una condizione liminare, di un processo di sconfinamento e di sovrapposizione tra gli elementi che ne lambiscono entrambi i lati. Metaforicamente possiamo immaginarlo come un margine, un bordo, una piega, un territorio sottile, capace di aprirsi su ambo i lati, sensibile al divenire delle cose, alle metamorfosi della forma, alle possibilità del linguaggio e del senso. Non solo esso può essere inteso come un luogo privilegiato, la distanza dalla quale l’artista definisce la sua lettura del reale, dandogli forma, sostanza, dimensione, ma diviene anche l’orizzonte che si apre nell’opera stessa, una sorta di traccia che porta in sé al medesimo tempo l’idea della perdita e l’idea del contatto, ricordando il concetto benjaminiano di “immagine dialettica”.
Attraverso un percorso visivo costituito da opere di autori appartenenti a diverse generazioni e con ricerche definite da necessità espressive autonome, e in alcuni casi rispondenti a logiche formali all’apparenza opposte, il termine quai diviene la parola attraverso la quale tornare a visualizzare lo spazio dell’opera come uno spazio essenzialmente poetico, sottratto all’ irrigidimento e alla convenzione linguistica o comportamentale, generatore di una possibilità di senso e di una sua circolazione, anche se in termini di continuo sconfinamento. L’opera diviene custode di un segno inquieto, un segno che sembra porsi, ambiguo e costantemente rinnovato, sempre al di là della medesima, “a differenza di un’opera tecnica” come scrive Nancy “che esiste per se stessa, possiede una funzione e un’utilità proprie e porta con sé le sue finalità”. Nello spazio della galleria si snoda dunque un percorso fatto di luoghi, più che di opere, autonomi e insieme comunicanti tra loro. Dalle indagini sul corpo e sull’identità compiute da Urs Luthi alle forme che nascono da una sorta di archeologia della memoria praticata da Giuseppe Gallo, tanto colta ed umanistica nei suoi riferimenti estetici quanto consapevole dell’irriducibilità del nostro essere natura; dalle delicate epifanie delle opere di Eva Marisaldi che attraversano il quotidiano rivelandone, in un gioco di scarti e di slittamenti logici ed emotivi, l’imprevedibilità e la ricchezza espressive, alla condizione organica e leggera della materia nel suo divenire immagine, formulata, tra differenze e affinità, dai lavori di Alessandro Piangiamore e di Pier Paolo Calzolari, fino agli orizzonti astratti di Jaroslaw Flicinski e di David Simpson, tanto silenziosi e sospesi rispetto a ciò che li circonda quanto partecipi del mondo grazie a tutto ciò che le loro superfici riescono ad assorbirne sia in termini simbolici che fattuali. Forme, materie, oggetti, colori, finiscono dunque col riempire e modellare questa porzione di spazio che incontra il nostro campo visivo, ed è attraverso questo incontro, basato su di un processo di continua interrogazione del reale, che la realtà stessa torna ad essere un campo mobile, scostante, aperto ed in perpetuo divenire.
Interrogato su quale relazione potesse esistere tra un’automobile ed una scultura Alberto Giacometti darà la seguente risposta: “L’automobile, non diversamente dalle altre macchine e da tutti gli oggetti premeccanici, non ha niente a che vedere con la scultura. Ogni oggetto deve essere finito per funzionare o per essere utilizzabile. Più è finito, più è perfetto, meglio funziona e più è bello. Un oggetto più perfezionato detronizza quello che lo era di meno. Nessuna scultura ne spodesta mai un’altra. Una scultura non è un oggetto, è un interrogativo, una domanda, una risposta. Non può mai essere né finita né perfetta (…) Un’automobile, una macchina rotta, diventa ferraglia. Una scultura caldea rotta in quattro pezzi: origina quattro sculture, e ogni singola parte vale il tutto e il tutto, come ogni singola parte, rimane pieno di forza e attuale”.

Cit 1 int. Jean Luc Nancy in Del contemporaneo, Bruno Mondadori 2001
Cit 2 Alberto Giacometti, Scritti, Abscondita 2001