Quid the Hidden
“Quid the Hidden”, titolo della prima mostra del collettivo MAP Collective, è un’esposizione multimediale-interdisciplinare che presenta nove ritratti video.
Comunicato stampa
“Quid the Hidden”, titolo della prima mostra del collettivo MAP Collective, è un’esposizione multimediale-interdisciplinare che presenta nove ritratti video. Il percorso espositivo si sviluppa all’interno delle cinque sale del Cinquecentesco Palazzo Averoldi di Brescia, aperto appositamente per l’occasione, creando un contrasto tra la storicità del luogo e dei suoi affreschi e la contemporaneità delle opere e del mezzo espressivo adottato.
La prima parte del titolo della mostra, la parola “Quid”, termine latino utilizzato anche in italiano per indicare in modo generico “qualche cosa”, rimanda a un elemento indeterminato, non facilmente definibile.
L’espressione “The Hidden”, presa in prestito dal dizionario inglese, significa letteralmente “che è nascosto”, e si riferisce al “Quid” come qualità e riferimento specifico.
“Qualche cosa, la quale è nascosta”.
Il nostro “protagonista Quid”, dunque, richiede di essere indagato da chi guarda, inducendo così una vera e profonda connessione tra opere e spettatore, ponendo quest’ultimo in una posizione attiva, in quanto la fruizione stessa avviene nell’ulteriorità del sentire, rispetto al conoscere e al descrivere.
“Quid the Hidden” svela la fluidificazione delle polarità come ciò che rende possibile un incontro.
All’interno delle video “rappresentazioni”, il collettivo ha sapientemente scelto di introdurre nella gestualità delle pose, così come nello styling e nel set design, alcuni “simboli” trasversali al tempo e alle culture. Gli “elementi-simbolo” si mostrano, a volte, in forma esplicita; altre, invece, celata visivamente in modo da poter essere
re-interpretati per analogie piuttosto che per differenze.
I personaggi ed i “Quid” rappresentati si rivelano essere di tipo iconico, radicati e insiti in noi come
dogmi/archetipi, indipendenti dal mezzo e dalla fattezza al momento della restituzione: vengono chiamate in causa figure di tipo religioso, soggetti mitologici e personaggi delle favole.
Ogni singolo “attore” si esplicita, in quanto tale, proprio grazie al modus operandi adottato dagli artisti di decontestualizzazione da riferimenti temporali, connotazioni vestimentarie e regole canoniche di rappresentazione.
La “pièce” di Quid the Hidden mette in scena, da un punto di vista tecnico, una importante rielaborazione della dimensione propria del mezzo espressivo del video, fondendo i campi d’azione della fotografia, del film e dell’arte figurativa in senso lato.
Testo critico del curatore Gianlorenzo Chiaraluce
“Breve storia di un Occhio contemporaneo in un Palazzo del Cinquecento“
Accarezzandosi le gambe, vi fece scivolare l'occhio.
La carezza dell'occhio sulla pelle è di una dolcezza eccessiva...
un lacerante brivido di piacere.
Georges Bataille, Storia dell’Occhio
Un Occhio che lentamente scivola via, ormai lontano dal controllo austero del suo proprietario, potrebbe essere la parabola più̀ aderente per ripercorrere l’esperienza interiore di un mutato itinerario dell’organo visivo, che assumendo coscienza della propria autonomia e del bisogno urticante di toccare con mano, decide di vagabondare attraverso un inedito tragitto proteiforme, incurante della circolarità̀ dell’orbita e dei tempi così fulminei dell’esperienza sensibile, a cui da sempre era stato abituato. Al di là del giogo dei cinque sensi, l’Occhio freme per scoprire in qual modo possa carezzare la pelle, incarnare un nuovo ideale di visione eccentrica che si faccia tattile, distesa, sensuale, rivelatoria e voyeristica, mettendo in crisi gli assunti su cui basiamo i nostri modelli di conoscenza e il lessico che articola l’attività̀ passiva di quello che definiamo imprudentemente spettatore.
L’Occhio è un protagonista senza nome, che come in molte delle finzioni narrative condite di quel letale fascino discreto della decadenza, attraversa con religioso silenzio il cortile di servizio di un palazzo nobiliare. Gli sembra questo il luogo più̀ consono, dove dar sfogo a sconosciuti impulsi ormai impossibili da tenere a freno, ma soprattutto mettersi alla ricerca di qualcosa di sommerso dalla storia e dalla polvere della coscienza. Quid, qualche cosa, quel quid in più̀, l’astrazione imprecisata di un incontro predestinato che gli riporta alla mente la coincidenza tra brama interiore e ciò che arriva inaspettatamente dall’esterno. Andrè Breton lo definì̀ “caso oggettivo”; grazie a questo lo scultore Alberto Giacometti sarebbe incappato, nel corso di una passeggiata al mercato delle pulci, in una maschera di metallo con cui avrebbe risolto un problema realizzativo relativo alla testa della sua scultura L’oggetto invisibile. Grazie allo stesso inciampo desiderante, l’Occhio rotola su un antico pavimento di cotto rosso, di un colore porfirico analogo a quello in cui nascevano e morivano le antiche regalità̀ bizantine. Ciò̀ che gli si para davanti corrisponde all’epifania che non sapeva di attendere, ma era lì, nascosta, ad aspettare.
Una serie di schermi televisivi, gli oggetti d’arredo con più̀ complicazioni e devianze delle nostre case, germinano come protesi artificiali di un ambiente che la sapienza incantatrice di pittori cinquecenteschi, quali Romanino e Lattanzio Gambara, ha trasformato nella quinta prospettica di un racconto mitologico, che prende avvio dall’episodio del Carro di Fetonte. Una leggenda ellenica che ci riporta all’imprudenza giovanile, all’imprevedibilità̀ degli eventi, ma anche all’incontrollabile potere del Sole e per estensione della luce, la fonte inesauribile che secondo Man Ray dava vita all’immagine. La pittura, musa ingannevole, dispiega un impianto scenografico che accompagna lo sguardo oltre i limiti fisici delle pareti e del soffitto. La pittura catodica invece, mette l’Occhio di fronte a una serie di sagome austere ed enigmatiche che non vogliono più̀ illuderlo, ma tenerlo incollato a un circuito chiuso e specchiante, dove l’immagine si allinea alla verticalità̀ del suo corpo di organo e produce lo spazio di un’esperienza dilatata nel tempo.
Le figure che avanzano dal nero traslucido degli schermi hanno appreso qualche quid dalle sorelle affrescate sulle pareti, ma la loro necessità di vivere nel presente le agita di un fremito elettrico che produce un moto a prima vista impercettibile, riguardante i corpi e gli oggetti che s’immettono spesso, con devoto rispetto, nelle scene. Allo stesso modo delle increspature sottili generate da un sasso gettato nell’acqua e destinate in poco tempo a dissolversi, così le azioni eseguite dai personaggi, tra cui l’accarezzare una tovaglia, l’aprire o roteare i propri occhi, lo sputare perle in un bicchiere, come quelle non completate direttamente da loro ma parte della drammaturgia scenica, quali una calda colata di latte o la lenta discesa dal cielo di coriandoli da festa, divengono porzioni di un riverbero chimerico, una liturgia collettiva che estende la fugacità̀ dell’attimo fino al suo frenetico ed estatico sfinimento. L’Occhio riconosce tali protagonisti come familiari, hanno una certa assonanza con i racconti che leggeva sui libri o le favole che la madre gli raccontava da bambino, ma la trasfigurazione perturbante cui sono sottoposti genera instabili cortocircuiti visivi e di senso. Emergono sconosciuti interrogativi, distillati di una nuova linfa vitale che vivifica e problematizza un patrimonio collettivo ormai considerato solidificato. In questo tentativo di disvelamento, i simboli disseminati nei tableau vivant, che l’Occhio continua a scrutare con ponderata curiosità̀, come a percorrere meticolosamente il testo di una novella, giocano un ruolo essenziale: il loro essere trasversali, congelati in una capsula del tempo in fase di scioglimento, attiva il racconto codificando però un astuto anagramma visuale da decifrare.
Il magma da dove questa rinnovata realtà̀ prende forma materializza davanti all’Occhio un’iconologia del presente, che necessita di un metodo investigativo per arrivare ad assaporarne l’esegesi, ma anche della finale consapevolezza del potere iconico della rappresentazione. Le tavole che si profilano vanno pensate come degli ecosistemi che uniscono in una linea temporale - dove non esiste principio e fine - passato e presente, visione e sensazione, pathos ed ethos, forme creative interdisciplinari che spaziano dall’arte, alla moda al design. Un ritmo fluidificato che incarna l’energeia dell’immagine, la sua potenza formale e formativa di cui ci parla Horst Bredekamp: “opere occhieggianti” che rifiutano di limitarsi a essere l’oggetto della visione, ma guardano a loro volta l’Occhio e gli parlano in prima persona, invitandolo a partecipare al gioco seducente del disvelamento.
L’Occhio ha ormai concluso il suo viaggio, appagato dalla voracità con cui si è saziato a lungo di frammenti e residui visivi. In cuor suo sa che i segreti custoditi gelosamente dalle immagini in movimento con cui si è confrontato rimangono in parte ancora celati. La trasparenza, però, non avrebbe reso necessaria la ricerca e la fuoriuscita dall’orbita a cui, tristemente, si accinge a rientrare. Prima di varcare la soglia che concluderà la parabola estetica del figliol prodigo, viene come percorso da un sussulto, un brivido improvviso gli riporta alla mente alcune parole lette in un vecchio libro di Edgar Allan Poe, che lo penetrano come un mantra: “Il posto migliore per nascondere qualsiasi cosa è in piena vista”.
MAP Collective – BIO
MAP Collective è un collettivo di ricerca e di arti visive in senso lato, fondato nel 2022 a Brescia da
Annalisa Mazziotti (1993), Erminando Aliaj (1984) e Camilla Pasetto (1974).
MAP Collective risponde al bisogno individuale dei fondatori, e collettivo allo stesso modo, di promozione della libertà espressiva e di approfondimento culturale e artistico.
I membri del collettivo, provenienti da differenti campi d’azione (Annalisa - fashion design, Erminando - fotografia, Camilla - danza contemporanea), mossi dalla necessità di una condivisione dei più svariati processi creativi al di fuori dei condizionamenti culturali ed estetici, lavorano alla produzione della prima mostra “Quid the Hidden” a partire dalla fine del 2021.
L’interesse verso l’immagine iconica e le sue possibili declinazioni nella cultura visuale contemporanea
è alla base della ricerca del collettivo. I differenti ambiti dai quali gli artisti provengono contribuiscono a
interrogare varie forme creative ai fini di estrapolare una rappresentazione ibrida e sintetica che funzioni in quanto attivatore sinergico.
Elenco delle Opere
“VP 01”
Ritratto video – 8min 03sec
“VP 02”
Ritratto video – 11min
“VP 03”
Ritratto video – 4min
“VP 04”
Ritratto video – 8min 42sec
“VP 05”
Ritratto video – 23min
“VP 06”
Ritratto video – 17min 07sec
“VP 07”
Ritratto video – 8min 16sec
“VP 08”
Ritratto video – 11min 13sec
“VP 09”
Ritratto video – 5min 51sec
Pubblicazione
Il progetto grafico del catalogo bilingue (italiano, inglese) della mostra “Quid the Hidden”, è a cura di Elisa Castrini.
Pagine a colore
10€
Con testi di: MAP Collective, Gianlorenzo Chiaraluce.
La mostra è accompagnata da un foglio di sala con testi di MAP Collective e Gianlorenzo Chiaraluce, disponibile gratuitamente in mostra, in italiano ed inglese.
Informazioni Pratiche
Palazzo Averoldi
Via Contrada Santa Croce, 38
25122 – Brescia (BS)
Fermata metro: Vittoria
(500 m - 6 min a piedi)
DATE DI APERTURA
26.11.2022 – 22.01.2023
Aperto dal Venerdì alla Domenica, dalle ore 10 alle ore 19.
Curatela di Gianlorenzo Chiaraluce
Visite guidate dedicate alle mostre su prenotazione.
Per informazioni:
+39 030 782 3288
[email protected]
IG: @quid_the_hidden
ACCESSIBILITÀ
Palazzo Averoldi è raggiungibile senza barriere architettoniche.
L’interno è totalmente accessibile ai visitatori con difficoltà motorie.
MEDIATOR* CULTURALI
È presente sul luogo una
squadra di mediator* culturali,
pronti a facilitare la fruizione della mostra.
Palazzo Averoldi
Il Palazzo nasce come residenza di una delle più importanti famiglie nobiliari di Brescia: gli Averoldi. Costruito nel 1544, forse su disegno di Ludovico Beretta, trasformato nel XVIII secolo, conserva nel pianterreno preziosi affreschi, a dimostrazione del ruolo che le maggiori famiglie nobili bresciane ebbero nel promuovere l’arte tra XVI e XVIII secolo.
Ascrivibili alla prima fase dei lavori sono infatti i pregevoli affreschi, a tema mitologico, delle sale a piano terra del corpo di fabbrica centrale, realizzati da due grandi artisti del tempo: Gerolamo Romanino e Lattanzio Gambara; al primo piano, (oggi Rotary House) salone affrescato da Giuseppe Manfredini e altre sale dipinte da Giuseppe Teosa e con pannelli di gusto cinese, una rarità per l’epoca.
Palazzo Averoldi è oggi di proprietà della Fondazione Casa di Dio, dal 1861, Amministrazione degli orfanatrofi e delle pie Case di ricovero, che comprende una rete di istituzioni assistenziali che si sono formate a partire dal Cinquecento per assecondare i bisogni della povertà.
Partnership
Con il Patrocinio del Comune di Brescia
In occasione di Brescia e Bergamo Capitali della Cultura 2023
Produzione – Moonwalk
Team di Produzione:
Erminando Aliaj,
Giulio Tonincelli,
Camilla Pasetto,
Martina Smadelli Bonardi
Location concessa da Fondazione Casa di Dio Onlus
Sponsor – Villa Paradiso Cosmetics
Sponsor tecnico ed allestimenti interni – DASS Allestimenti
Sponsor tecnico monitor – Pixel
Con il supporto di: Cascina Belmonte, Penelope, La Fiorellaia, Fasoli
Protagonisti dei video: Edoardo Monti, Roberta Valentini, Travis Clausen Knight, James Pett,
Alessandro Rodighiero, Luisa Ruzzenenti, Gioele Facchini, Giovanni Enrico Mazziotti, Giorgia Mazzaferro, Tejaswini Loundo
Video-makers: Giulio Tonincelli, Vladimir Motroi
Video editing di Giulio Tonincelli
Direzione del movimento di Camilla Pasetto
Styling di Annalisa Mazziotti – in collaborazione con l’archivio Penelope
Make-up di Francesca Momone
Hair styling di Angelo Pagano
Traccia di Glenx
Un ringraziamento speciale a: Laura Castelletti, Laura Rossi, Luciana Cattafi, Albano Morandi, Lo Scarabocchio – Centro per l’Infanzia, Alessandro Zanoletti, Tommaso Algozzino,Martina Smadelli Bonardi, Martina Oldani, Morris Bellini, Diego Rossini