Raffaella Benetti – L’oro del mio giardino
La galleria d’arte moderna e contemporanea Arkè si trasforma in un giardino. Non un giardino qualunque ma quello dell’artista veneta Raffaella Benetti.
Comunicato stampa
La galleria d’arte moderna e contemporanea Arkè si trasforma in un giardino. Non un giardino qualunque ma quello dell’artista veneta Raffaella Benetti. È un giardino fissato sulla stampa fotografica, sul libro d’artista, con l’acquerello, fuso in bronzo. Un giardino (21 opere dai titoli evocativi) in cui l’oro si rintraccia in innesti preziosi sulle installazioni, ma che va ben oltre la sua rappresentazione.
Tema ricorrente nell’arte e nella letteratura, il giardino di Raffaella Benetti non è una citazione colta. Ha poco a che fare con il giardino perenne, rigoglioso e fruttifero che accolse il naufrago Ulisse nell’isola del re Alcinoo. Non è il paradiso terrestre di un’alleanza mai tradita. Non è il locus amoenus in cui tanta parte della letteratura antica e moderna ha trovato riparo dalle insidie, persino dalla peste.
Il giardino di Raffaella Benetti è più simile alla vita vera, anzi, è la vita: un prolungamento esteriore dell’animo stesso.
“Dentro – scrive Micol Andreasi autrice del testo critico in catalogo - c’è il tempo che scorre, la realtà che muta, la consapevolezza della fine, il dolore del limite, la speranza dell’altrove”.
Dentro ci sono il sambuco, il melo, l’iris, le margherite, i papaveri, i licheni: compagni di viaggio, appunto. Così li chiama la poetessa polacca, cara all’autrice, Wislawa Szymborska nel “Silenzio delle piante”con cui, come per Benetti, si fa necessario e urgente comunicare in questa vita frettolosa.
Nel suo giardino, oltre le finestre dello studio nel quale lavora, nel cuore del Polesine sulle sponde della grande fiume, l’artista entra in silenzio. Si mette in ascolto. Si lascia attraversare da ciò che la natura ha da dire. In questa ritualità del tutto feriale, da giorno qualunque, la natura rivela per epifanie i suoi messaggi. La comunicazione si instaura.
“L’obiettivo fotografico – scrive ancora Andreasi - si piega su una radice, su una pianta di licheni o un seme, ne ferma l’istante del transito. Le mani della scultrice contemplano un germoglio capace di restituire colore ad una materia ormai consumata e arsa. Lo scatto su una finestra chiusa apre ad un altrove da cui filtra la luce. I semi raccolti si riempiono di mistero e di sacralità e trovano la loro giusta collocazione all’interno di una teca, dentro ad una pisside. L’uomo che ha imparato a riconoscere la sacralità della natura spinge il suo sguardo verso il cielo, tenendosi allo stelo verde di un alto tulipano rosso che scoppia di gioia”.
L’oro è trovato.
Il giardino di Raffaella Benetti è un luogo di ristoro per l’umanità. È esperienza necessaria per l’arte che vuole tornare ad essere nella storia, nel tempo degli uomini, della vita quotidiana, oggi così drammaticamente segnata, e che non rinuncia, per questo, a farsi possibilità futura.