Ragazzi contro
La mostra Ragazzi contro, quando Brera sembrava Montparnasse, ha l’ambizione di far rivivere un periodo scintillante dell’arte in Lombardia, quando un gruppo di giovani pittori e scultori, sotto l’ala protettrice di Aldo Carpi, allora ordinario della cattedra di Pittura all’Accademia di Brera, pensarono fortemente di dover cambiare il mondo.
Comunicato stampa
RAGAZZI CONTRO
Quando Brera sembrava Montparnasse
AFRO
AJMONE
BERGOLLI
BIROLLI
CARPI
CASSINARI
CHIGHINE
KODRA
LONGARETTI
MORLOTTI
Palazzo Vertemate Franchi
Cortinaccio - Prosto di Piuro
Chiavenna (SO)
7 Settembre > 7 Ottobre 2012
A cura di Anna Caterina Bellati
Orari: tutti i giorni 10.00>12.00 - 14.30 >17.30
Chiuso: mercoledì
www.bellatieditore.com
Con il patrocinio di
Città di Chiavenna
Comune di Piuro
Con il sostegno di
Bellati Editore
Fondazione Credito Bergamasco
Con il contributo di
Provincia di Sondrio
Comunità Montana Valchiavenna
BIM Adda
In collaborazione con
Centro di Studi Storici Valchiavennaschi
Pro Chiavenna
Pasticceria Mastai
Galleria Ponte Rosso
Montrasio Arte
LA MOSTRA
“Nel 1939, quando mi ci stabilii, Milano era una città affascinante. La mia vita era allora molto dura, invece di dipingere avevo dissipato il mio tempo bighellonando tra biblioteche e musei a Firenze e a Parigi, così non m’era rimasto niente in mano oltre qualche convinzione e idea fissa. Io vivevo così molto solo, ma l’ambiente era così caldo, così appassionato, che niente pesava e uno si dimenticava di se stesso. Ripensandoci ritengo che la cosa più importante di allora fosse il principio corale. C’erano giovani che stavano insieme e si stimavano, credevano nell’autonomia di una generazione, avevano la coscienza di una minoranza… Era Corrente contro corrente. Per esempio l’opposizione all’intervento in Spagna ebbe su di me uno stimolo enorme e il fatto che ci fosse qualcuno di gente comune che si opponesse all’ineluttabile, mi dava gioia e speranza. Io non pensavo neanche allora che tutto fosse oro colato, però ognuno di questi giovani avrebbe dato la camicia a chi non l’aveva e aveva veramente uno sprezzante disinteresse. C’erano da una parte per esempio i giovani pittori. Io per quelle tali ‘idee fisse’ (che allora erano Cézanne-Cubismo) non potevo essere insieme. Ciò non pertanto erano i soli pittori che stimavo, e di loro soprattutto Birolli e Cassinari. Non potevo condividere la loro inclinazione letteraria, il loro messianismo, Van Goghismo, cresciuto all’ombra di libri e non di quadri e soprattutto tinto di misticismo nordico mi dava un certo disagio. Ma i loro quadri erano pregni, scottanti, abbandonati”.
Ennio Morlotti: “Corrente” contro corrente in Realismo, n. 2 (marzo-aprile) Milano, 1955
La mostra Ragazzi contro, quando Brera sembrava Montparnasse, ha l’ambizione di far rivivere un periodo scintillante dell’arte in Lombardia, quando un gruppo di giovani pittori e scultori, sotto l’ala protettrice di Aldo Carpi, allora ordinario della cattedra di Pittura all’Accademia di Brera, pensarono fortemente di dover cambiare il mondo. Provenienti da varie regioni d’Italia, si incontrarono a Milano verso la fine degli anni Trenta e percorsero insieme alcune tappe fondamentali della propria storia di artisti interfacciata con la storia nazionale e sovranazionale.
Badodi, Birolli, Bergolli, Cassinari, Chighine, Cherchi, Grosso, Guttuso, Lanaro, Mantica, Morlotti, Migneco, Sassu, Treccani, Valenti, Vedova, Afro e poi Ajmone e Kodra, hanno partecipato a una grande occasione, un preciso momento storico nel quale si imponeva una scelta. Nel quartiere di Brera nascevano sodalizi e progetti che avrebbero investito come un vento fortissimo almeno i tre decenni successivi della storia dell’arte italiana e non solo. Per tutti loro l’antinovecentismo e le nuove possibilità aperte dal Cubismo nei rapporti spazio/luce/forma furono lo strumento attraverso il quale misurare il proprio futuro. Studiavano e si mettevano alla prova sugli stessi temi: la Natura morta, i Nudi, il Paesaggio.
La cifra di quel sodalizio si chiama “Corrente”.
“Nonostante gli eventi funesti di quegli anni, le basi gettate all’interno di quel movimento costituiranno un ponte che li terrà insieme e consapevoli, benché la guerra o la vita stessa li costringano a un certo punto a separarsi. Scriveva Treccani anni dopo: “Corrente” fu di per sé un movimento contraddittorio e in esso confluirono fermenti diversi e anche contrastanti; entro la comune opposizione al fascismo vi erano tra di noi delle differenze, non soltanto di età e di temperamento, ma di propositi e di prospettiva e questo è significativo per quel che è accaduto negli anni successivi. In “Corrente” si possono distinguere due momenti abbastanza diversi e con caratteri e accentuazioni particolari. Il secondo movimento di Corrente, per esempio, al quale presi parte come pittore assieme a Cassinari, a Morlotti, a Vedova e a Guttuso (erano gli anni della Bottega di Corrente e della galleria al primo piano di Via Spiga) aveva della pittura una concezione morale e civile che si differenziava notevolmente dalle prime manifestazioni antinovecentiste che oggi si è soliti chiamare con il nome di Corrente”.
(Da: Ernesto Treccani, Il movimento di Corrente, 1950)
L’esposizione offre al visitatore la possibilità di vedere accostati alcune opere di nove degli artisti sopra citati e del loro insegnante, Aldo Carpi. Questi autori il cui essere insieme, almeno in senso affettivo e di stima reciproca è durato fino alla fine della loro vita, hanno dalla nascita di Corrente fino a Dopo Guernica, lavorato in stretta collaborazione, condividendo povertà, idee, modelle e scontri con il potere che avversava la loro politica antinovecentista.
Il testo in catalogo affronta le fasi fondamentali che hanno condotto i protagonisti della mostra dalla frequentazione dei corsi all’Accademia alla fondazione di Corrente; quindi dal Fronte Nuovo delle Arti a Dopo Guernica. Per arrivare a cogliere i cambianti e le nuove direzioni intraprese da ciascuno di loro all’inizio degli Anni Cinquanta. Il clima e il tempo che qui ci interessano vanno dalla seconda metà degli anni Trenta sino al periodo in cui, finito il secondo conflitto mondiale, il nostro Paese cominciava con fatica a rimettersi in piedi. Oggi, molti decenni dopo, questa mostra vuole ricordare non solo lo splendore del lavoro di dieci straordinarie persone e la grande apertura morale che lo sostenne, ma sottolineare come la forza delle idee non cessi mai di essere attuale.
Dall’inizio del decennio Aldo Carpi insegna Pittura all’Accademia di Brera, un fatto che avrà conseguenze dirompenti.
Carpi è stato ritrattista, paesista, pittore di “maschere”, forse un surrealista lontano dal Surrealismo.
Si sono espressi tanti luoghi comuni su questo artista definito “candido” ma la sua poetica fu tutt’altro che banale e quella spontaneità che la caratterizza deriva da una continua decantazione del lavoro precedente. Lo sorreggeva l’inesausta ricerca della libertà da schemi, scuole, movimenti artistici, imposizioni del gusto. Curiosamente, dopo essere stato messo in ombra per diverso tempo, quando fu pubblicato il Diario di Gusen gli si attribuì l’appellativo di “pittore della libertà” nell’accezione più ampia.
Bruno Cassinari, del quale ricorre quest’anno il centenario della nascita, tra gli artisti italiani cresciuti nella culla di Brera sotto l’ala protettrice di Carpi, è quello che più di ogni altro ha studiato gli esseri viventi nella loro fragile pienezza, capaci di dare la vita ad altri esseri uguali a sé, ma incapaci di contrastare la propria finitudine. Una creatività prorompente ha segnato tutta la sua storia e una ricerca inesausta del segno sublime, quello che contiene la forza, la precisione e insieme l’orgoglio di chi è artista nel sangue.
Anche un suo amico che spesso mi ha parlato di lui, Ennio Morlotti, scomparso vent’anni fa, possedeva quella medesima qualità di determinazione, di fierezza e di impegno. Ma Morlotti sviluppò un’altra strada, l’informale e una volta incamminata lungo i sentieri segreti della natura, la sua pittura è diventata studio chimico delle leggi che governano fisicamente l’accadere della vita.
Un altro loro compagno di scuola, Trento Longaretti, raccontando dell’amicizia che li legava e degli anni ruggenti dell’Accademia, lui che di quella classe a Brera è l’unico ancora vivente, mi ha confidato, “in quegli anni era tutto un ribollire di idee, anche se io non ho davvero partecipato alle discussioni e alle nottate nei caffè milanesi in cui si costruiva l’antinovecentismo… Io, finite le lezioni, tornavo con il treno a Treviglio. Ma l’indomani ero ancora con loro e passavamo insieme la giornata a lavorare a certi quadri picassiani.”
Giuseppe Ajmone è il più giovane dei dieci ragazzi, ma è dotato di grande perspicacia e subito comprende la portata del qui e ora in cui gli è capitato di vivere.
Quando conosce Morlotti, Cassinari e Guttuso diventano come fratelli. Con i primi due condividerà lo studio in Corso Garibaldi a partire dal 1944 e non solo quello. Per questioni d’età non attraversa il movimento di Corrente, ma ne sente il vigore e si immerge a ritroso in quella questione per capire il presente. Appena finita Brera nel 1945 è alla I Mostra di Pittura e Scultura con Birolli, Cassinari, Cavaliere, Chighine, Dova, Migneco e altri amici. Lavora tra Picasso e Morandi, dal primo mutuando tavolozza e rigore spaziale, dall’altro la metafora dell’oggetto come presenza testimoniante l’essere. In mostra c’è un dipinto dell’anno dopo, Llanto por Ignacio Sànchez Mejias, che stabilisce una cesura con il recente passato. Le meste figure verticali contrastano l’orizzontalità del personaggio steso a terra, nell’aria grave aleggiano i versi di Garcia Lorca, Verrà l’autunno con conchiglie, / uva di nebbia e monti aggruppati, / ma nessuno vorrà guardare i tuoi occhi / perché sei morto per sempre.
Ajmone si confronta con i contenuti del manifesto Oltre Guernica di cui è uno dei firmatari. Il principio di realtà sotteso a qualunque gesto artistico deve possedere un carattere di forte eticità e intervenire sul presente. Le mostre continuano a vederli esporre tutti insieme e certi legami si rinsaldano, come quello con Alfredo Chighine e Aldo Bergolli, presenti in mostra con lavori importanti degli anni in cui hanno già scelto di abbandonare la figurazione per l’astrattismo.
Renato Birolli è uno degli esponenti più vigili di Corrente, spesso in viaggio e grande scrittore di lettere, nella prima metà degli anni Trenta è alle prese con una figurazione libera e spontanea. Molto vicino al cromatismo dei chiaristi, il giovane Birolli dipinge su basi gessose e pallide. La sua visione del mondo cambia nel 1936, quando parte per Parigi. Lì ha l’appoggio di Lionello Venturi, con il quale nascerà un legame indissolubile. La ville lumière lo affascina e, come del resto i suoi compagni d’Accademia, tra mostre e musei il veronese scopre la forza di Van Gogh e la passione di Cézanne. Tornerà dalla Francia con una tavolozza espressionista e la pennellata postimpressionista piene di felicità inquieta. Birolli è il più incendiario dei nostri ragazzi contro, quello che rischia di più. Di nuovo a Milano, continua l’attività politica avversa al regime e nel 1937 finisce a San Vittore per due mesi. Il carcere non lo scoraggia e il suo lavoro piega nella direzione di una anti-monumentalità della pittura.
La presenza di Afro (anche di lui ricorre il centenario della nascita) in questa mostra è connessa con il Premio Bergamo e due amici. Dal 1930 per tre anni vive a Milano, ma gli eventi di cui l’esposizione si occupa sono ancora lontani.
È solo nel 1942 che entra in contatto con alcuni degli esponenti di Corrente, quando partecipa al IV Premio Bergamo, a Palazzo della Ragione. Bergamo diventa in tal senso il trait-d’union tra la Scuola Romana, della quale Afro fa parte, l’Accademia di Brera e Venezia. Questo ritorno in terra di Lombardia allaccia contatti e curiosità con Morlotti e Birolli. In un primo tempo le occasioni per lavorare insieme saranno rare e poi diventeranno, tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio del decennio successivo, sempre più fitte e coinvolgenti. Il loro vero incontro accade infatti mentre tutti e tre sono alle prese con il tracollo della forma.
La storia di Ibrahim Kodra è anomala rispetto a quella degli altri artisti presenti. Nel 1938 la regina d’Albania mette a disposizione una borsa di studio per giovani meritevoli, in premio c’è la possibilità di andare a studiare in una accademia italiana. Kodra è il prescelto e arriva pieno di aspettative a Milano, a Brera. Frequenta i corsi di Carrà, Funi e Carpi e viene incantato da Cézanne di cui vede delle riproduzioni, ma lo attira molto anche il lavoro sanguigno di Goya. Negli anni della guerra, tra il 1942 e il 1944, matura una concezione dell’arte fortemente morale. Le azioni della Resistenza, il clima di miseria sia reale che spirituale in cui versa Milano -diventata ormai la sua città- lo inducono a privilegiare una pittura civile capace di denunciare i tempi che corrono.
Anna Caterina Bellati