Ramak Fazel – Milan Unit
Con Milan Unit, Viasaterna presenta per la prima volta al pubblico un progetto in itinere, ospitando per un anno l‘intero archivio che l’artista Ramak Fazel (Abadan, Iran, 1965) ha costruito ed assemblato lungo un arco temporale che va dal 1994, anno in cui si è trasferito a Milano, sino al 2009 quando ha fatto ritorno negli Stati Uniti.
Comunicato stampa
Con Milan Unit, Viasaterna presenta per la prima volta al pubblico un progetto in itinere, ospitando per un anno l‘intero archivio che l’artista Ramak Fazel (Abadan, Iran, 1965) ha costruito ed assemblato lungo un arco temporale che va dal 1994, anno in cui si è trasferito a Milano, sino al 2009 quando ha fatto ritorno negli Stati Uniti. Attraverso una mostra ed una serie di incontri e approfondimenti che si svolgeranno nel corso di tutto l’anno fino a settembre 2018, e con la volontà di offrire un nuovo spazio – fisico, temporale, ma anche e soprattutto di discussione – Viasaterna si propone come il luogo in cui far rivivere uno straordinario corpus di stampe, negativi, originali e personal ephemera che Ramak Fazel ha collezionato e con dedizione scelto di conservare per oltre vent’anni, sotto il nome di Milan Unit.
Un archivio, appunto, che non è solo la somma dei suoi contenuti ma che è “also about more”, e si presenta piuttosto come una raccolta multiforme di materiali in cui l’esperienza professionale dell’artista hanno finito per mescolarsi a tutta una serie di documenti, oggetti e collezioni appartenenti alla sua vita privata, dando vita ad un racconto che è sì unitario e personale, ma anche al tempo stesso estremamente espanso, frammentato, capace di includere approcci e toni estremamente diversi tra loro.
Nato a cavallo del Duemila, negli anni di spartiacque che hanno segnato il passaggio dall’analogico al digitale, Milan Unit incarna nelle parole di Fazel la volontà di “experimenting with photography and finding a way forward, exploring and preserving the material culture of a particular practice, on the cusp of an epochal change”.
Milan Unit “doesn’t make assumptions or assign value”, ma rappresenta piuttosto un tentativo di rispondere alla crisi di senso, offrendosi quale “survival strategy” rispetto al progressivo avvento del digitale ed alla conseguente smaterializzazione dei corpi, a favore del virtuale.
Presenza fisica all’interno dello spazio, l’opera di Fazel si offre quindi allo spettatore esattamente per quello che è: materia viva e pulsante, testimonianza reale e tangibile di un passato che, per quanto vicino, risulta al tempo stesso ormai lontanissimo; immagine anticipatrice di un mondo in cui il solido si è trasformato in liquido, il peso in gigabyte, lo spazio in cloud. Sfuggente di fronte a qualsiasi tipo di definizione e fedele a sé stesso senza mai restare identico, Milan Unit si presenta come una sorta di grande romanzo corale, un chaosmos di rimandi e analogie in cui diversi livelli di senso coesistono, ed in cui anche l’errore e il non-a-fuoco, hanno finito per trovare il proprio posto grazie all’elaborazione di un metodo creato apposta per accoglierli.
Niente in Milan Unit sembra essere stato affidato al caso. Al tempo sì, ma non al caso. Esistono un ordine e una regola, sistematicamente applicati. Uno schema di etichette, colori e parole chiave che da una parte funzionano come cardini per una strategia di orientamento, categorie pre-individuali messe a disposizione di chi guarda ed è chiamato a farsi parte attiva del progetto, e dall’altra sembrano ricostruire gli stessi processi di pensiero che hanno guidato l’attività di catalogazione e conservazione di Fazel.
Da qui Milan Unit come opera aperta e da-aprire, con la volontà di riattivare un rapporto tra soggetto e oggetto che sia partecipato ed anche partecipativo, con la consapevolezza che “di fronte a un’immagine, infine, dobbiamo riconoscere con umiltà che essa probabilmente ci sopravvivrà, che siamo noi l’elemento fragile, passeggero, e che è l’immagine l’elemento futuro, l’elemento della durata. L’immagine ha spesso più memoria e più avvenire di colui che la guarda”[1].
RAMAK FAZEL (Abadan, Iran, 1965. Vive e lavora a Claremont, California)
Cresciuto tra Utah, Indiana e Tehran, dopo la laurea in Ingegneria Meccanica presso la Purdue University dell’Indiana, si trasferisce a New York per studiare fotografia e graphic design. Assistente di alcuni importanti fotografi tra cui Mark Seliger e Bruce Davidson, dal 1994 al 2009 vive a Milano, dove lavora insieme ad alcune importanti riviste di moda, design e architettura, e collabora con clienti internazionali quali Flos, Vitra e Desalto. Contemporaneamente si dedica alla propria ricerca artistica superando a volte i confini della fotografia e l’installazione. Le problematiche connesse all’appartenenza geografica, politica e culturale dell’individuo, così come le contraddizioni inerenti al concetto di identità, sono temi centrali nella produzione di Ramak Fazel. Tra le mostre si ricordano 49 Capitols presso Storefront for Art and Architecture (New York, 2008), Analog Blast presso la Casa degli Atellani (Milano, 2013) e The businness of people all’interno di Monditalia durante la XV Biennale di Architettura (Venezia, 2014). Dopo aver conseguito un Master in Fine Arts presso CalArts (Santa Clarita, California), attualmente Ramak Fazel insegna fotografia presso il San Francisco Art Institute.