Reagents
Le rinnovate sale del Complesso dell’Ospedaletto accolgono la mostra Reagents, a cura di Daniele Capra.
Comunicato stampa
A Venezia, dall’11 maggio al 24 novembre 2019, le rinnovate sale del Complesso dell’Ospedaletto accolgono la mostra Reagents, a cura di Daniele Capra.
La collettiva riunisce otto artisti - Arthur Duff, Serena Fineschi, Silvia Infranco, Túlio Pinto, Fabrizio Prevedello, Quayola, Verónica Vázquez e Marco Maria Zanin - la cui opera è caratterizzata da una grande sensibilità e reattività ai contesti spaziali e alle dinamiche di azione-reazione innescate dalle variabili ambientali. Viene infatti evidenziato come nella loro pratica il lavoro possa essere visto quale dispositivo generato grazie ad un processo di opposizione agli stimoli e alle pressioni, fisiche e psichiche, che il contesto attua.
Una quindicina le opere esposte, bidimensionali e scultoree, che spaziano dall'approccio processuale ad una matrice più evidentemente concettuale.
Il titolo della mostra si riferisce al celeberrimo terzo principio della dinamica, enunciato da Isaac Newton nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, secondo il quale, durante l’interazione tra due corpi, la forza che il primo corpo esercita sul secondo è uguale e opposta alla forza che il secondo esercita sul primo. Alla stessa maniera Reagents analizza come l’opera possa essere la testimonianza e l’esito visivo finale di tale processo, in cui essa risponde alle forze che direttamente subisce. Difatti, in questo modo è possibile intendere l’opera dell’artista come una fattuale concretizzazione di un equilibrio frutto di un continuo e constante lavorio di forze che spingono, tirano, comprimono o espandono.
La pratica di Arthur Duff (Wiesbaden, Germania, 1973), di matrice essenzialmente scultorea ed installativa, è caratterizzata da una spiccata libertà, sia rispetto ai materiali utilizzati, frequentemente prelevati da ambiti non artistici, che nello stretto dialogo instaurato con il contesto. Sovente il suo lavoro scaturisce dalla ricerca di una relazione e di una forma di intimità, che l’artista rende manifesta nello spazio ricorrendo alla parola e all’impiego del neon o del laser. Vive e lavora a Vicenza.
L’opera di Serena Fineschi (Siena, 1973) nasce da un interesse rivolto alla materia, agli elementi costitutivi del fare arte, nonché alla fugacità e ai continui cambiamenti cui è sottoposto l’esistente. I suoi lavori, prevalentemente di forma bidimensionale, esplorano il confine tra la pratica processuale e quella concettuale, con accenti che spaziano dalla malinconia all’ironia più pungente. Vive e lavora fra Siena e Bruxelles.
La pratica artistica di Silvia Infranco (Belluno, 1982) si basa su un forte legame con la materia organica che viene utilizzata per indagare i fenomeni di cambiamento, di memoria e di tempo. Frequentemente le sue opere si configurano come un continuo accumulare, togliere, macerare e stratificare di elementi, in un processo incessante del quale rimangono esili e delicate tracce, che invitano alla introspezione. Vive e lavora a Bologna.
La ricerca dell’equilibrio tra forze contrastanti è uno degli elementi poetici più significativi dell’opera di Túlio Pinto (Brasília, Brasile, 1974). L’artista infatti indaga il concetto di tensione impiegando materiali caratterizzati da nature e comportamenti opposti, che egli porta ai limiti tecnici consentiti grazie ad un’ accorta conoscenza delle loro proprietà fisiche. Il suo è un tentativo di sfidare la materia, di mostrare all’osservatore come spesso i limiti, frutto delle nostre percezioni erronee, possano essere superati. Vive e lavora a Porto Alegre (Brasile).
Fabrizio Prevedello (Padova, 1972) si dedica in forma esclusiva alla scultura, impiegando in forma poetica ed antiretorica i materiali primari, come il gesso, il marmo ed il metallo. Centrali nella sua pratica sono l’esplorazione del paesaggio e la ricerca di una relazione quasi intima con i materiali, spesso di risulta, raccolti da cave o contesti dimenticati. Quella dell’artista è una forma vera e propria di cura offerta sotto forma di scultura, uno slancio per reagire, sottraendo la materia all’abbandono. Vive e lavora in Versilia.
La ricerca di Quayola (Roma, 1982) si basa sull’utilizzo di software, funzioni computazionali e algoritmi, grazie ai quali egli scompone le forme e le immagini che provengono dalla realtà o da altre opere d’arte che appartengono al nostro immaginario. Tali stimoli vengono poi riformulati digitalmente e, successivamente, trasposti in forma bidimensionale o scultorea. Nella sua indagine le tensioni tra reale e artificiale, vecchio e nuovo, figurativo e astratto, deflagrano, mostrando l’inefficienza delle tassonomie con cui siamo soliti ordinare il mondo. Vive e lavora a Londra.
Verónica Vázquez (Treinta y Tres, Uruguay, 1970) lavora di frequente con materiali industriali di scarto - come metalli, pelli e plastiche - che ricompone in sorprendenti assemblaggi poetici, impiegando modalità in cui reitera delle azioni manuali. Nella sua opera è possibile cogliere gli echi dell’arte tessile e della scultura modernista, unite ad una sensibilità compositiva personalissima in cui anche il frammento più piccolo trova la propria intima ragion d’essere. Vive e lavora in Uruguay.
I lavori di Marco Maria Zanin (Padova, 1983) nascono da un interesse visivo verso il paesaggio, i resti degli interventi antropici, nonché i lasciti fisici e simbolici della civiltà rurale, che egli indaga grazie alla fotografia. La sua ricerca si sviluppa a partire da approcci antropologici e dalla comparazione di tempi, convenzioni e modalità distanti, delle quali evidenzia l’inconciliabilità, come sottolineato più volte da immagini di manufatti il cui uso è andato perduto. Vive e lavora a Padova e a San Paolo (Brasile).
La mostra, che si inserisce nella programmazione del progetto Ospedaletto Con/temporaneo, è realizzata con il fondamentale supporto di Marignana Arte.