Renato Pengo – Shock
I Musei Civici degli Eremitani di Padova presentano la mostra monografica “Shock” di Renato Pengo, a cura di Barbara Codogno. La mostra comprende una settantina di opere dell’artista padovano, appartenenti al ciclo pittorico “Shock” degli anni Novanta installate accanto a una scelta di dipinti della Pinacoteca.
Comunicato stampa
I Musei Civici degli Eremitani presentano la mostra monografica “Shock” di Renato Pengo, a cura di Barbara Codogno. La mostra comprende una settantina di opere dell'artista padovano, appartenenti al ciclo pittorico “Shock” degli anni Novanta installate accanto a una scelta di dipinti della Pinacoteca.
Le tele di Pengo si alternano a elementi video realizzati dall'artista per questa personale: l'effetto neve del tubo catodico è proiettato in loop sulle pareti delle sale del Museo e il pubblico, che lo attraversa, si mescola a questo shock primordiale. Alle pareti si stagliano i dipinti della tradizione classica, tra i quali si segnalano opere quattro-cinquecentesche sulla scia di Mantegna e Bellini, un bellissimo Garofalo, tele secentesche, risalenti a Padovanino, Guercino o Strozzi, accanto a dipinti nordici come quelli di Jan Miel, fino ad altri dei secoli XVIII e XIX. Pengo irrompe sulla scena e si presenta negli spazi per esposizioni temporanee della sede agli Eremitani. Il precursore dello “shock tecnologico”, la cui foriera intuizione è contenuta nel Manifesto firmato da Pierre Restany nel 1996, con questa mostra porta allo scoperto la sua poetica confrontandosi con il tempio dell'arte, il museo, per far ripartire un inedito dialogo tra storicizzazione artistica e arte contemporanea.
In questa mostra Pengo diventa un hacker contemporaneo; l'intrusione artistica nei Musei Civici è l'origine concettuale necessaria al suo percorso creativo.
Ciò che ne risulta è una originalissima mostra in cui il ciclo continuo dello “Shock” diventa lo strumento cruciale per fare hacking, mediante la ri-attivazione sensoriale, emotiva, intellettuale.
Lo “Shock” non è il fine della mostra, piuttosto l'inizio: traccia il metodo per rianimare lo sguardo del visitatore.
L'essenza della mostra ripropone senz'altro una cruciale tematica: dove condurrà il dilagare tecnologico? Pengo risponde con questa doppia intrusione, riunendo 70 opere e portando il suo segno nelle sale del Museo.
La riflessione investe senza dubbio l'intero mondo dell'arte contemporanea: in un contesto sempre più abbagliato dalla spettacolarizzazione dell'arte, come si colloca Pengo?
La risposta è suggerita dalla curatrice, Barbara Codogno, che nel testo critico del catalogo scrive: “Pengo riemerge dall'abisso tecnologico in cui si era cacciata l'umanità tutta; a nulla era valso questo insulso camminare, pieno di metafisica attesa nei confronti della scienza che è umana e come tale fallace e perché non v'è immortalità, non v'è, ma solo taoistica alternanza di vuoto e pieno, di vita e morte. Giacché è legge fisica, e prima ancora alchemica. E metafisica. Così riemerge la speranza su campitura densa di BLU, perfetto, che è luce di possibilità. Gli occhi screziati d'infinito di Pengo illuminano oltre il buio e anticipano la visione. Con responsabilità. Con furore ed eroica tenerezza. Il BLU diventa allora luogo inviolabile dell'animo che sempre s'apre al meraviglioso incanto. E crea. Ancora”.
Biografia
Renato Pengo nasce a Padova il 31 ottobre 1943. Dopo avere frequentato l’Istituto d’Arte Pietro Selvatico, si dedica alle diverse discipline artistiche. Del 1969 è la sua prima mostra personale, presentata dal celebre poeta e scrittore Diego Valeri, alla Galleria Traghetto di Venezia. Nel 1970 vince il primo premio alla X Triveneta dei Giovani Artisti. Nella prima metà degli anni Settanta comincia a cimentarsi con diverse forme di espressione artistica, mediante molteplici linguaggi (performance, happening, fotografia). Nel 1975 è tra i fondatori del gruppo “Azionecritica” e partecipa alla X Quadriennale di Roma. Nel 1976 espone alla Fondazione Bevilacqua la Masa di Venezia. Di questo periodo sono alcune mostre personali a Salisburgo, Villach, Rovigo e alcune collettive a Prato e a Padova. Dagli anni Ottanta il suo lavoro subisce un’importante svolta attraverso la serie di opere “Itinerari dipinti dal tempo” e “Future archeologie”; parallelamente sperimenta il video, il cui codice è fondato sulla decelerazione dell’immagine. In queste opere emerge il carattere autoriflessivo dell’artista su tematiche di particolare attualità. I suoi video vengono presentati in numerose rassegne nazionali e internazionali, tra cui: Catodica (Roma), Ifduif (Lugano), Le arti del cinema (Verona), Festival Mondial do minuto (San Paolo, Brasile) e FilmFestival Torino. A partire dagli anni Novanta, Pengo affronta nuovi ambiti legati all’antropologia e alla psicoanalisi, raffrontandoli con il mezzo tecnologico e con la cultura mediatica contemporanea. La sua indagine si focalizza sul cosiddetto “shock tecnologico”, cioè la trasposizione su tela del brusio elettrostatico del televisore, che suscita l’interesse del celebre critico francese Pierre Restany, che promuoverà a Parigi, in gallerie e musei, mostre personali dell’artista padovano. Nel 1999, a Padova, nel Palazzo Monte di Pietà, si svolge una sua importante personale, “Percezioni mutanti” (catalogo Electa), e a seguire saranno altre mostre a Madrid, Tunisi, Parigi e a New York.