Revival

La prima di una serie di mostre che esplorano i dialoghi intergenerazionali e le connessioni tra arti visive e suono.
Comunicato stampa
REVIVAL
A cura di Giulia Civardi
con Phoebe Collings-James, Denzil Forrester, Kate Spencer Stewart
Inaugurazione mercoledì 19 marzo 2025
Fino al 10 maggio 2025
La prima di una serie di mostre che esplorano i dialoghi intergenerazionali e le connessioni tra arti visive e suono. Considerando la galleria come un dispositivo che modella i valori culturali e le tendenze di mercato, nonché le narrazioni storiche e personali, REVIVAL mette in discussione le idee di atemporalità, i cicli di consumo e di scambio. Questi dialoghi cosa risvegliano, invitano a rivivere o a rinnovare? E cosa rivelano di un preciso momento?
~
Ogni estate a East London, i miei vicini di casa si radunavano fino a tardi per ascoltare musica dub attraverso sound system monumentali. I riverberi provenienti dal giardino creavano un ambiente sonoro ipnotico e meditativo in grado di sincronizzarmi ai miei desideri, allo spazio e al tempo nel quale mi trovavo. Quando la dub uscì per la prima volta, la gente rimase sbalordita. Emersa nei tardi anni ‘60 in Giamaica per poi arrivare nei cinema e nelle case trasformate in sale da ballo del Regno Unito, questa musica era costellata da ripetizioni ed echi. Il processo di produzione prevedeva il doppiaggio (dubbing) di frammenti vocali o strumentali di pezzi sonori esistenti, manipolandoli fino a farli diventare nuove tracce ibride. La dub ha influenzato gran parte della produzione musicale successiva – dall’elettronica, all’hip hop, dal post-punk all’ambient rock – trascendendo i confini temporali e culturali. Oltre a creare ambienti sonori immersivi, questa musica dà forma a uno spazio di resistenza collettiva, rievocando esperienze comuni di persone, soprattutto di discendenza afro caraibica e background culturali misti, separate dai loro luoghi di origine. Ancora oggi, trasmette un senso di comunità, di trasformazione spirituale e ‘riporta a casa’. Se si pensa che la parola dub è stata usata per la prima volta in contesto filmico per unire immagini e suoni, come potrebbe manifestarsi visivamente questo ritmo?
Partendo dalla struttura della dub, che narra di rottura e riparazione, di qualcosa che si perde e ritorna, la mostra osserva attraverso le pratiche pittoriche di Denzil Forrester, Kate Spencer Stewart e scultoree di Phoebe Collings-James, i gesti ripetuti, sentiti e rivisti sotto nuove forme visive. Gli artisti hanno in comune un forte legame con la musica, non solo dub, ma anche con i generi emersi da essa, e abbracciano un processo di reinterpretazione di tradizioni storico-artistiche, nonché socio-politiche, che ancora oggi plasmano l’arte contemporanea e ci aiutano a comprendere le nostre posizioni di soggetti in continua formazione. Come afferma il sociologo Stuart Hall, è ‘deviando’ tra vari passati che possiamo produrre noi stessi come soggetti proiettati in avanti. “Non è quindi una questione di cosa le nostre tradizioni facciano di noi, quanto piuttosto di cosa noi facciamo delle nostre tradizioni. [...] La cultura non è una questione ontologica, dell’essere, ma del divenire”.
Da oltre trent’anni il pittore grenadiano Denzil Forrester (nato nel 1956 a Grenada; vive in Cornovaglia, GB) cattura scene di locali notturni. Disegnando al buio con pastelli e carboncino, senza vedere chiaramente ciò che fa in quel momento, Forrester registra su carta i movimenti ritmati e scomposti delle persone, percependo la loro gioia e tristezza, il loro vigore e desiderio. Rientra poi in studio la mattina successiva per continuare a dipingere. Questa connessione profonda, quasi trascendentale con la musica emerge nella sua pratica attraverso continui rimandi al dub. Forrester afferma: “la musica dub è come un rumore che ti inebria e ti entra nel sistema. (…) può volerci circa mezz’ora per abituarti a questa musica. E dopo che ci si abitua, oh…”. Questa esperienza ritmica emerge nei suoi dipinti e lavori su carta sia tematicamente che formalmente. Come nelle basslines ripetitive delle tracce dub, interrotte all'improvviso da rumori e rimbombi, nel dipinto Dub Dance, (1993) i colori si muovono su diverse frequenze e gradazioni, seguendo prima un’armonia e diventando a tratti forti, lampeggianti. La luce è frammentata come riflessa da una disco ball, rompendo i corpi in forme distorte e ammalianti. Le figure fluide e ravvicinate in Boom Boom Echoes (2023) invitano lo spettatore a far parte della scena. Sebbene le opere documentino un contesto storico e culturale Londinese delle dancehall negli anni ‘80, non si tratta di rappresentazioni nostalgiche ferme in quel periodo. Le sue opere incarnano l’energia di persone che continuano a riunirsi, mescolando storie e culture. Il ricco corpus di lavori di Forrester, contraddistinto dalla presenza di sound systems, luci viola e corpi elettrici, diventa un universo visivo che porta con sé tracce di storie e identità ibride, che riecheggiano nel tempo.
Con un interesse per la narrazione non lineare e il linguaggio simbolico, Phoebe Collings-James (nata nel 1987 a Londra, GB; vive a Londra, GB) incorpora il suono nella sua pratica scultorea per il suo potere spirituale e trasformativo. In Joy comes with the morning [V3] (2025) – un’installazione sonora composta da una campana di ceramica come amplificatore e recipienti contenenti acqua – i rumori del mare e delle metropoli si confondono con voci che recitano poesie, suoni di trombe e tamburi. Alcune delle registrazioni prese dal film Our Song (Jim McKay, 2000) raccontano la storia di giovani ragazze di Brooklyn che trovano un senso di appartenenza e spazio per esprimersi suonando strumenti musicali in una banda della comunità. Mentre i suoni degli strumenti a fiato e la scultura di un trombone richiamano parti del corpo legate alla respirazione, le onde sonore mescolate a quelle d’acqua evocano un senso di fluidità. Reinterpretando la tradizione dei sound system attraverso l’argilla, l’artista crea uno spazio acustico per sentire la malleabilità dei corpi, attivando diversi processi emotivi. I riferimenti musicali attribuiscono alla sua pratica un potenziale rivoluzionario. L’artista trae ispirazione dalla musica rastafariana e giamaicana, da artisti come Midnite e Ranking Anna e Barrington Levy, e da altre figure come esempi di protesta e resistenza. Una serie di sculture di ceramica presenta diverse interpretazioni dell'infedele: un personaggio archetipico che simboleggia il dissenso e la divergenza dagli schemi dogmatici tradizionali, abbracciando un proprio senso di spiritualità. Le forme arrotondate rimandano a corpi astratti che sfuggono a posizioni consolidate, dando vita a nuove figure che portano i segni primitivi. Le iscrizioni sono realizzate con lo sgraffito, una tecnica scultorea utilizzata in Italia fin dal Cinquecento, ma anche nella ceramica tradizionale africana, così come nelle tavolette di argilla cuneiformi babilonesi e sumere. Facendo rivivere antiche forme di comunicazione e riconoscendo la resistenza caraibica attraverso la materialità dell’argilla, Collings-James mette in discussione i modi eurocentrici di costruire la conoscenza, plasmando un linguaggio transculturale, una nuova memoria materiale.
I dipinti minimali di Kate Spencer Stewart (nata nel 1984 a Phoenix, AZ, USA; vive a Los Angeles, USA) raffigurano tutto e niente. È quasi impossibile vederli in foto. Bisogna camminarci intorno, abbassare gli occhi o muoversi di continuo per metterli a fuoco. La superficie si trasforma con la luce e il movimento, creando vuoti, bagliori, mix ottici e momenti di suspense. Se osservati abbastanza a lungo, i colori diventano inebrianti, allucinatori. La loro ombra si imprime sulla retina come un rumore bianco nello spazio, mettendo in atto un processo di trascendenza simile a quello provocato dalla musica ambient e drone. Stewart è infatti cresciuta suonando diversi strumenti tra cui l'organo, il piano, il sax, la fisarmonica, il basso. Prima di esporre in gallerie, i suoi dipinti sono stati presentati in locali per concerti. Il processo di Stewart prevede la sovrapposizione di pennellate e segni ripetitivi sulla pittura di fondo, spesso in contrasto con la stesura finale. Le opere rievocano la tradizione minimalista della pittura ‘color-field’, in particolare i distintivi ‘Black Paintings’ di Ad Reinhardt, dove il colore diventa un soggetto a sé. I dipinti di Stewart diventano visualizzazioni piuttosto che rappresentazioni; non sono solo oggetti da guardare, ma con cui guardare. Fissando attentamente i suoi lavori può rivelare una moltitudine di storie. Frag (2025) richiama le influenze edoniste del Rococò di Fragonard; Troche, (2025) uno studio pittorico del pigmento Rose Madder, derivato dalle radici della robbia e altamente sensibile alla luce, ricordano le tombe egizie, le rovine di Pompei, i paesaggi perturbanti di J.M.W. Turner. Altri ‘black studies’ evocano vuoti e fondali teatrali. Come si chiede l'artista: “Perché non possiamo vedere il mondo come pura materia, pura forma, puro gesto? O è il linguaggio che ci trattiene?”.
Giulia Civardi è curatrice e scrittrice. Dal 2020 è curatrice e responsabile della collezione presso la Nicoletta Fiorucci Foundation. Ha curato progetti per istituzioni tra cui Tate Modern, Rupert Center for Art and Education, Kunstraum London e gallerie tra cui Gianni Manhattan per Curated by a Vienna, Clima a Milano, Galerie In Situ a Parigi, Madragoa a Lisbona. Partecipa regolarmente come speaker a conferenze e ha tenuto lezioni come Guest Lecturer presso Central Saint Martins, Goldsmiths University, Barbican Centre, Academy of Fine Arts Venice. È membro di AWI Art Workers Italia. I suoi scritti su arte e cultura sono stati pubblicati, tra gli altri, da NERO, Flash Art, CURA., this is tomorrow.